Gemila Durmis, attrice di Coming Out Etnico: orgogliosi di essere Rom e Sinti: Incontro su consapevolezza personale e attivismo intersezionale

Benedetta Pisani

Benedetta Pisani intervista Gemila Durmis – Consapevolezza personale e attivismo intersezionale

Fin da subito, l’accento romano e la risata coinvolgente di Gemila Durmis mi hanno fatto sentire accolta nel gruppo di ragazz* che, il 26 gennaio, porterà in scena al Centro Studi lo spettacolo diretto da Ivana Nikolic, Coming Out Etnico: orgogliosi di essere Rom e Sinti.

L’ultima volta che ci siamo viste di persona, lei doveva andare in stazione per tornare a Roma dopo due giornate di prove, con una valigia enorme che poi ha dimenticato di portare con sé. Un animo essenzialmente naif, capace di lasciarsi meravigliare – e distrarre – dalla bellezza della compagnia e delle emozioni che questa suscita. Alla fine, la valigia enorme è riuscita a partire con lei.

Nel terzo atto dello spettacolo, Gemila recita un monologo sul suo viaggio personale alla scoperta delle tante sfaccettature che compongono la sua identità. Un viaggio che parte da un senso di estraneità e confusione, generato proprio dall’appartenenza a più comunità.

“Per molto tempo, non mi sono sentita né italiana e né rom. Manifestavo una forte e dolorosa disforia etnica… e poi, piano piano, con la giusta consapevolezza e con tanta terapia, sono arrivata a capire che effettivamente contengo una moltitudine di caratteristiche e che è giusto che ciascuna di loro influenzi il mio essere in maniera diversa. Sono Gemila, sono rom, sono italiana, sono macedone e sono queer.”

Emerge dalle sue parole il filo rosso di tutto lo spettacolo e, in generale, della prospettiva intersezionale, che ho imparato a conoscere anche grazie a Ivana: comprendere che ogni persona può contenere una moltitudine di caratteristiche, che queste determinano eventuali privilegi e oppressioni, e che il senso di estraneità e di vergogna di chi è oppresso è risultato di dinamiche di potere subordinanti e violente. L’attivismo ci consente di comprendere il funzionamento di queste dinamiche e di scardinare le politiche persecutorie che spingono ai margini specifiche comunità, tra cui quella Rom e Sinti. 

“Far parte sia della comunità LGBTQIA+ che della comunità Rom è una bella sfida. Però, grazie al mondo dell’attivismo mi sono resa conto che effettivamente non è impossibile. Il mio avvicinamento all’attivismo romanì è recente. Ho conosciuto Ivana su Instagram un anno fa circa e in una sua storia ho scoperto che sarebbe venuta a Roma per un evento da Scomodo. Sono andata lì con mia zia e ho pianto tantissimo. Me lo ricordo benissimo perché non avevo mai visto delle persone rom socialmente accettate. Quello è stato un avvenimento molto forte, perché ho ascoltato per la prima volta delle persone condividere una storia simile alla mia, in contrasto con la narrazione mediatica carica di pregiudizio. Lì mi sono resa conto di non essere l’unica. Ivana mi ha, poi, invitata a fare il viaggio nei luoghi della Memoria l’estate scorsa.

Da quel momento è iniziato tutto il percorso che mi ha portata al coming out etnico… è stato un bel lavoro di scoperta identitaria di me stessa e ha messo in gioco anche tutto il resto. Di solito parlo dei miei due coming out insieme, perché sono avvenuti quasi contemporaneamente: il coming out etnico con la società e il coming out come queer con la mia famiglia. Sono andati di pari passo e credo che questo rifletta il mio personale processo di consapevolezza e accettazione di quello che sono, perché sono nata Rom così come sono nata queer. La parola coming out assume quindi un senso più ampio, relativo all’essere consapevoli della propria identità e riuscire a condividerla con il mondo fuori.”

La consapevolezza di sé spinge a portar fuori il proprio mondo interiore, a renderlo pubblico e, così, anche politico. L’attivismo rom, in quest’ottica, si assume non solo il delicato compito di accompagnare l’individuo verso questa consapevolezza liberatoria, ma anche quello di ribaltare la narrazione mediatica riduttiva e ingannevole, per mantenere viva la cultura, la Memoria e l’orgoglio romanì.

“È assurdo che non si parli di genocidio rom nelle scuole… L’importanza del non dimenticare è nota a tutti e per me è inconcepibile che ancora oggi la narrazione non sia completa. Inserire questo pezzo di storia nei programmi didattici potrebbe essere uno stimolo a contrastare l’ignoranza e le discriminazioni che ne derivano. Il viaggio ad Auschwitz, per me è stato emotivamente sfiancante, una delle esperienze più forti e significative che io abbia mai vissuto. Sicuramente a livello identitario è stata una bella botta.

Di solito per me è molto difficile aprirmi e sentirmi a mio agio con gruppi che non conosco, quindi mi sono sentita davvero fortunata nel poter condividere questo viaggio con delle persone belle, con le quali è nato un forte legame personale che ci ha portati a fare questo spettacolo insieme. Quando Ivana mi ha fatto questa proposta, ho accettato pur non avendo alcun tipo di preparazione – da anni mi riprometto di frequentare un corso di teatro! La difficoltà più grande non è tanto quella di parlare in pubblico e vincere l’imbarazzo, ma farsi vedere e uscire allo scoperto, condividendo la mia storia personale. Però sono molto fiduciosa.”

Nel caso di Gemila, la fortuna di aver incontrato persone belle e la capacità di aver creato uno spazio sicuro si sono intrecciate, facilitando quel processo intimo e personale di riappropriazione dell’orgoglio identitario. Per fare coming out e decidere di rivelare una parte della propria identità, infatti, è necessario che ci sia una condizione esterna favorevole, una rete che accolga, senza far sentire in trappola.

“Il mio trasferimento a Roma nel 2017 è stato fondamentale. Per la prima volta mi sono distaccata da quella che era la mia realtà, dalla mia famiglia biologica. Ho sempre provato a creare legami profondi con le persone che ho attorno, però non ero mai riuscita a condividere le varie parti della mia identità, finché non sono arrivata qui. Ho iniziato un lavoro su me stessa, ho conosciuto persone che sono diventate la mia famiglia e alle quali ho detto per la prima volta che sono rom. Poi, durante il viaggio in Polonia ho capito non solo che non ero l’unica, ma anche che nonostante sia sparsa in tutto il mondo, la comunità romanì riesce a mantenere intatto nello spazio e nel tempo il suo senso di orgogliosa appartenenza.”


 

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