Coming Out Etnico

Coming out etnico: orgogliosi di essere Rom e Sinti. Un viaggio collettivo e personale sul palco del Centro Studi

Benedetta Pisani

Benedetta Pisani intervista Ivana Nikolic

Il 26 gennaio, il Centro Studi Sereno Regis ospiterà la prima dello spettacolo teatrale, Coming out etnico: orgogliosi di essere Rom e Sinti, scritto e diretto dall’artista e attivista per i diritti umani, Ivana Nikolic. L’idea è nata dopo il viaggio di cinque ragazz* Rom e Sinti nei luoghi della Memoria ad Auschwitz-Birkenau, in occasione della Giornata di commemorazione del Samudaripen, il 2 agosto 2022. Un viaggio nato dal bisogno di riscoprire le proprie origini, di fondere la Memoria collettiva con quella personale, più intima e nascosta. 

“Sono entrata in contatto con Swami, Demila, Mike, Laura e Vittorio tramite i social. Qualcuno di loro mi seguiva su Instagram, dove mi scrivevano per chiedere suggerimenti e consigli, e per raccontarmi la loro esperienza. Qualcun altro mi ha conosciuto ascoltando il podcast  +Rom -Rum. Tutti avevano fatto coming out etnico da poco tempo ed erano nel pieno del percorso di riappropriazione della loro identità. E con tutti si è progressivamente creato un legame, anche se a distanza.”

Per sostenere le spese del viaggio, Ivana aveva chiesto un finanziamento in Italia, che non le è stato concesso. La risposta negativa da parte delle istituzioni ha determinato, però, la spinta più fiduciosa verso uno strumento diverso, che nasce e si sviluppa a partire dall’emotività degli individui.

“Ho deciso di lanciare un crowdfunding, raccontando l’importanza della Memoria anche per le persone Rom, le cui famiglie sono state deportate oppure hanno preso parte alla lotta partigiana. Con questa esperienza, che è stata molto forte e formativa, abbiamo esplorato il passato. Il presente già lo conosciamo. E poi? Concretamente cosa possiamo fare noi nel nostro piccolo? C’era da parte dei ragazzi una gran voglia di raccontarsi, di aprirsi e riappropriarsi dell’orgoglio di essere Rom e Sinti. Insieme, abbiamo così deciso di fare uno spettacolo, in cui la Storia si intreccia con le storie personali. La prima messa in scena è a Torino ed è stata finanziata da Ternype (International Roma Youth Network), nell’ambito dell’iniziativa Dikh He Na Bister. Poi faremo tappa anche a Norimberga e Amsterdam.”

Il teatro – e, in generale l’arte – diventa, quindi, strumento creativo di denuncia sociale, per dare voce a chi non è ascoltato.

“L’arte è fondamentale per poter cambiare la narrazione che spesso viene condotta sulla mia minoranza etnica, completamente sbagliata e sempre fatta da persone esterne. È giunta l’ora che noi in primis ci raccontiamo. Il mio primo amore è stato la danza, poi nel tempo la mia arte si è evoluta in altre forme, come teatro sociale, installazioni e mostre. In generale, faccio arte sociale, ossia denuncia sociale attraverso diverse espressioni artistiche. Parlare della mia minoranza etnica e di altre minoranze, dei diritti umani, dell’orgoglio di essere Rom e Sinti. Io lavoro con la comunità e in base all’esigenza collettiva mettiamo in scena una performance.”

Già dal nome scelto per lo spettacolo si intuisce l’approccio intersezionale che Ivana adotta nel suo lavoro quotidiano con la comunità, online e sul territorio. Il termine coming out significa “uscire fuori”, dichiararsi o rendersi visibili, e viene generalmente utilizzato in riferimento all’orientamento sessuale o all’identità di genere. Rendere visibile una parte di sé, della propria identità, e dichiarare liberamente e con orgoglio la propria appartenenza a una comunità. Nel caso specifico, una comunità etnica, quella Rom e Sinti.

“Dovrebbe sempre esserci una prospettiva intersezionale, perché l’appartenenza a una minoranza etnica non esclude l’appartenenza ad altre minoranze. Nell’apertura dello spettacolo, Kabala leggerà una sua poesia, a cui tengo molto perché si rifà alla questione della intersezionalità, in quanto lei è italiana e appartenente alla comunità nera. Poi, Demila e Swami faranno un monologo sulla loro appartenenza alla comunità rom e a quella LGBTQIA+, proprio per portare ancor di più alla luce il tema. Credo che la comunità romanì debba lavorare sul percorso di coming out etnico, il quale per avviarsi ha bisogno di supporto, di una rete. Ovviamente non può essere fatto quando non ti senti al sicuro. Inoltre, rivelare la propria identità è un carico che ti devi assumere consapevole delle conseguenze. È innegabile che le opportunità lavorative sono ridotte e, se ci sono, spesso sfociano in una discriminazione positiva, per cui la presenza di una persona Rom permette di spuntare la richiesta di diversity.”

Coming out etnicoLa prima parte dello spettacolo è dedicata alla Resistenza romanì, reale e sconosciuta. Un viaggio nel passato, narrato da voci presenti. Il secondo atto si sviluppa, invece, a partire da fatti di attualità, raccontando le discriminazioni che le persone di etnia Rom e Sinti subiscono oggi in tutto il mondo, da Teplice a Napoli.

Stanislav Tomáš è stato ucciso da tre poliziotti con una dinamica che ricorda la morte di George Floyd, ma nessuno ne parla. Anna, una romnì di Napoli, aveva partorito da pochi giorni e accusava forti dolori. Voleva andare al pronto soccorso, però il poliziotto di fronte al campo glielo ha impedito e le ha riso in faccia. Non ce l’ha fatta.”

La conclusione è, invece, incentrata sulle storie personali dei ragazz* e sul percorso di orgogliosa accettazione della loro identità etnica. È la prima volta che recitano di fronte a un pubblico, eppure, con l’aiuto della coach teatrale Mindfulness Marta Indra Di Giulio, ognuno ha già scoperto la modalità attraverso cui esprimersi e sentirsi a proprio agio sul palco. Mike, per esempio, si racconta attraverso il rap, mentre Swami con la scrittura di testi che diventano intensi monologhi. 

“Anche se non sono professionisti, sono molto professionali nell’approcciarsi al teatro, lo fanno con impegno. È essenziale riuscire a portare fuori l’emotività quando si è sul palco, riuscire a raccontarla agli altri. Pian piano, sono riusciti a togliere l’insicurezza e la vergogna di mostrare senza veli la propria vulnerabilità. In fin dei conti è questo il teatro, esprimere e suscitare emozioni. Abbiamo fatto a dicembre due giornate di preparazione e altre due a gennaio. In totale, quattro incontri prima di andare in scena.”

Storie e personalità diverse e uniche, legate da un vissuto comune. L’essere stati messi a tacere all’interno di dinamiche di potere che negano l’esistenza, la Storia, la vita e l’identità romanì.

“Tutti noi abbiamo in comune una sensazione di vergogna, che ci fa sentire sbagliati. È molto difficile da eliminare, ma con una comunità che si sostiene a vicenda, un percorso di riappropriazione della cultura, della lingua e dell’orgoglio Rom è possibile. Quanto dobbiamo rinnegare noi stessi per poter essere accettati? Noi abbiamo il diritto di essere Rom, di essere orgogliosi e di dirlo senza avere nessun tipo di ripercussione, a lavoro, all’università, nella ricerca di una casa…Quindi, coltiviamo il desiderio comune di non arrenderci, affinché ciascuno di noi possa vivere la nostra minoranza in serenità.”

“Ci vuole coraggio”, mi ha detto Željko Nikolic, il papà di Ivana. Quando si fa coming out etnico, spesso accade di essere allontanati, discriminati, insultati… 

“Le parole fanno male. Si dovrebbe conoscere una persona, prima di decidere di allontanarla. Le caratteristiche identitarie non hanno valore morale. Tutto dipende dal tipo di educazione che hai ricevuto. Ci vuole coraggio. Io sono scappato dalla guerra con la mia famiglia e ho vissuto nel campo. Poi, ho trovato un lavoro e una casa da solo, senza l’aiuto di nessuno.” 

Željko Nikolic aprirà lo spettacolo con la lettura di una sua poesia in lingua romanì, Pesma te zove (La canzone che ti chiama). L’attesa di un amore sconosciuto e reale. La storia di un incontro casuale e destinato, sulle sponde del fiume Po.

[…]

Che non passi questa stagione.

Amore mio, cartomante zingara

Rispondimi, ti supplico.

La mia e la tua canzone, ti chiama.

[…]

“Le mie poesie e i disegni che faccio significano molto per me, perché rappresentano non solo il mio vissuto, ma quello di tutta la mia minoranza etnica. In televisione l’immagine è distorta e manovrata. Abbiamo sofferto, ma non abbiamo mai fatto la guerra a nessuno. Io voglio percorrere un cammino, fatto di libri e disegni, che rimanga ai Rom che verranno, ai bambini. Con la mia arte provo a raccontare il canto, la vita, il pianto e il dolore di noi Rom. Il passato e il futuro.”

Il Centro Studi è felice di essere lo spazio in cui la voce di Željko, Ivana, Swami, Demila, Mike e Vittorio possa essere ascoltata.

Sam Barikane Roma! Proud to be Roma!


 

2 commenti
  1. Enzo
    Enzo dice:

    Lettura molto interessante e scorrevole. Il poter esprimere l’ingiustamente celato è sempre difficile anche se liberatorio, e fortifica tanto se riesce anche a portare orgoglio. Quello etnico, evidenziatomi grazie a questo bell’articolo, è anche difficile da immaginare allorché si tratta di persone appartenenti ad una cultura non riferentesi ad un popolo migrante.grazie

    Rispondi
    • Loredana
      Loredana dice:

      È davvero insolito leggere qs testimonianze.. purtroppo siamo abituati
      ad associare le persone di etnia rom ad una realtà fatta di degrado , di furti e in generale di illegalità. Pertanto poter ascoltare le rivendicazioni di orgoglio di appartenenza nonché il diritto a ricordare quanto sofferto x via le persecuzioni subite penso sia utili a sganciarsi dai cliché legati al loro mondo e a guardare la loro realtà con occhi diversi . Riguardo “al non essere un “ popolo migrante” credo invece lo siano sempre stati !

      Rispondi

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