Crisi ucraina

La crisi ucraina è un classico “dilemma di sicurezza”

Medea Benjamin, Nicolas J.S. Davies

Le alternative pacifiche e diplomatiche nella crisi ucraina sono sempre state disponibili se le parti avessero scelto di perseguirle, ma non lo hanno fatto.

Il 27 dicembre 2022, sia la Russia che l’Ucraina hanno lanciato un appello per porre fine alla guerra in Ucraina, ma solo a condizioni non negoziabili che ciascuna delle due parti sa che rifiuterà.

Il Ministro degli Esteri ucraino Kuleba ha proposto un “vertice di pace” a febbraio, presieduto dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres, ma con la condizione che la Russia debba prima affrontare un processo per crimini di guerra in un tribunale internazionale. Dall’altra parte, il ministro degli Esteri russo Lavrov ha lanciato un agghiacciante ultimatum: l’Ucraina deve accettare le condizioni di pace della Russia o “la questione sarà decisa dall’esercito russo”.

Non c’è alcuna morale in un massacro di massa incessante e senza limiti, gestito, diretto e di fatto perpetrato da persone in abiti eleganti e uniformi militari in capitali imperiali a migliaia di chilometri dal fragore delle granate, dalle grida dei feriti e dal fetore della morte.

Ma se ci fosse un modo di comprendere questo conflitto e le possibili soluzioni che comprendesse i punti di vista di tutte le parti in causa e ci portasse al di là delle narrazioni e delle proposte unilaterali che servono solo ad alimentare e ad inasprire la guerra? La crisi ucraina è di fatto un caso classico di quello che gli studiosi di Relazioni Internazionali chiamano “dilemma di sicurezza“, e questo fornisce un modo più oggettivo di guardarla.

Un dilemma di sicurezza è una situazione in cui i Paesi di ciascuna parte intraprendono azioni per la propria difesa che i Paesi dell’altra parte vedono come una minaccia. Poiché le armi e le forze offensive e difensive sono spesso indistinguibili, l’accumulo difensivo di una parte può essere facilmente visto come un accumulo offensivo dall’altra parte. Poiché ogni parte risponde alle azioni dell’altra, il risultato netto è una spirale di militarizzazione ed escalation, anche se entrambe le parti insistono, e forse credono, che le loro azioni siano difensive.

Nel caso dell’Ucraina, ciò è avvenuto a diversi livelli, sia tra la Russia e i governi nazionali e regionali ucraini, ma anche su una scala geopolitica più ampia tra la Russia e gli Stati Uniti/NATO.

L’essenza stessa di un dilemma di sicurezza è la mancanza di fiducia tra le parti. Nella Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, la crisi dei missili di Cuba è stata un campanello d’allarme che ha costretto entrambe le parti a iniziare a negoziare trattati di controllo degli armamenti e meccanismi di salvaguardia che limitassero l’escalation, anche se rimanevano profondi livelli di sfiducia. Entrambe le parti riconobbero che l’altro non era intenzionato a distruggere il mondo e questo fornì la base minima necessaria per i negoziati e le salvaguardie per cercare di garantire che ciò non accadesse.

Dopo la fine della Guerra Fredda, entrambe le parti hanno cooperato con importanti riduzioni dei loro arsenali nucleari, ma gli Stati Uniti si sono gradualmente ritirati da una serie di trattati sul controllo degli armamenti, hanno violato la promessa di non espandere la NATO nell’Europa orientale e hanno usato la forza militare in modi che violavano direttamente il divieto della Carta delle Nazioni Unite contro la “minaccia o l’uso della forza”. I leader statunitensi hanno sostenuto che la concomitanza del terrorismo e l’esistenza di armi nucleari, chimiche e biologiche conferivano loro un nuovo diritto di condurre una “guerra preventiva“, ma né l’ONU né alcun altro Paese hanno mai acconsentito a ciò.

L’aggressione statunitense in Iraq, Afghanistan e altrove allarmava la popolazione di tutto il mondo e anche molti americani, quindi non c’è da stupirsi che i leader russi fossero particolarmente preoccupati dal rinnovato militarismo americano post-Guerra Fredda. Con l’incorporazione da parte della NATO di un numero sempre maggiore di Paesi dell’Europa dell’Est, iniziò a delinearsi un classico dilemma di sicurezza.

Il Presidente Putin, eletto nel 2000, iniziò a utilizzare le sedi internazionali per sfidare l’espansione della NATO e l’azione bellica degli Stati Uniti, insistendo sulla necessità di una nuova diplomazia per garantire la sicurezza di tutti i Paesi europei, non solo di quelli invitati a entrare nella NATO.

I Paesi ex comunisti dell’Europa dell’Est hanno aderito alla NATO per timori difensivi nei confronti di una possibile aggressione russa, ma ciò ha anche esacerbato le preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza nei confronti dell’ambiziosa e aggressiva alleanza militare che si stava radunando intorno ai suoi confini, soprattutto perché gli Stati Uniti e la NATO si sono rifiutati di affrontare tali preoccupazioni.

In questo contesto, le promesse non mantenute sull’espansione della NATO, l’aggressione seriale degli Stati Uniti in Medio Oriente e altrove e le assurde affermazioni secondo cui le batterie di difesa missilistica statunitensi in Polonia e Romania avrebbero dovuto proteggere l’Europa dall’Iran, non dalla Russia, hanno fatto suonare un campanello d’allarme a Mosca.

Il ritiro degli Stati Uniti dai trattati sul controllo degli armamenti nucleari e il loro rifiuto di modificare la loro politica di primo attacco nucleare hanno sollevato timori ancora più forti che una nuova generazione di armi nucleari statunitensi sia stata progettata per dare agli Stati Uniti una capacità di primo attacco nucleare contro la Russia.

Dall’altro lato, la crescente assertività della Russia sulla scena mondiale, comprese le azioni militari per difendere le enclave russe in Georgia e l’intervento in Siria per difendere il governo di Assad, suo alleato, ha sollevato preoccupazioni per la sicurezza in altre repubbliche e alleati ex sovietici, compresi i nuovi membri della NATO. Quale potrebbe essere il prossimo intervento della Russia?

Mentre gli Stati Uniti si rifiutavano di affrontare diplomaticamente le preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza, entrambe le parti hanno intrapreso azioni che hanno acuito il dilemma della sicurezza. Gli Stati Uniti hanno appoggiato il violento rovesciamento del Presidente Yanukovych in Ucraina nel 2014, che ha portato a ribellioni contro il governo post-golpe in Crimea e Donbas. La Russia ha risposto annettendo la Crimea e sostenendo le “repubbliche popolari” separatiste di Donetsk e Luhansk.

Anche se tutte le parti hanno agito in buona fede e per motivi difensivi, in assenza di una diplomazia efficace tutti hanno pensato al peggio delle motivazioni dell’altro, mentre la crisi andava sempre più fuori controllo, esattamente come il modello del “dilemma della sicurezza” prevede che le nazioni facciano in caso di tensioni crescenti.

Naturalmente, poiché la sfiducia reciproca è alla base di qualsiasi dilemma sulla sicurezza, la situazione si complica ulteriormente quando si vede una delle parti agire in malafede. L’ex cancelliere tedesco Angela Merkel ha recentemente ammesso che i leader occidentali non avevano alcuna intenzione di imporre all’Ucraina il rispetto dei termini dell’accordo di Minsk II nel 2015, e che avevano accettato solo per guadagnare tempo per costruire l’Ucraina militarmente.

La rottura dell’accordo di pace di Minsk II e la continua impasse diplomatica nel più ampio conflitto geopolitico tra Stati Uniti, NATO e Russia hanno fatto precipitare le relazioni in una crisi sempre più profonda e hanno portato all’invasione russa dell’Ucraina. I funzionari di tutte le parti devono aver riconosciuto le dinamiche del dilemma di sicurezza sottostante, eppure non hanno preso le iniziative diplomatiche necessarie per risolvere la crisi.

Le alternative pacifiche e diplomatiche sono sempre state disponibili se le parti avessero scelto di perseguirle, ma non lo hanno fatto. Questo significa che tutte le parti hanno deliberatamente preferito la guerra alla pace? Tutte lo negherebbero.

Eppure, a quanto pare, tutte le parti vedono ora dei vantaggi in un conflitto prolungato, nonostante l’incessante massacro quotidiano, le condizioni terribili e in via di deterioramento per milioni di civili e i pericoli impensabili di una guerra su larga scala tra la NATO e la Russia. Tutte le parti si sono convinte di poter o dover vincere, e quindi continuano a intensificare la guerra, con tutti i suoi effetti e i rischi che sfugga al controllo.

Il Presidente Biden è entrato in carica promettendo una nuova era della diplomazia americana, ma ha invece condotto gli Stati Uniti e il mondo sull’orlo della Terza Guerra Mondiale.

È chiaro che l’unica soluzione a un dilemma di sicurezza come questo è un cessate il fuoco e un accordo di pace per fermare la carneficina, seguito dal tipo di diplomazia che ha avuto luogo tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica nei decenni successivi alla crisi dei missili di Cuba nel 1962, che ha portato al Trattato per la messa al bando parziale degli esperimenti nucleari nel 1963 e ai successivi trattati sul controllo degli armamenti. Anche l’ex funzionario delle Nazioni Unite Alfred de Zayas ha chiesto che i referendum amministrati dall’ONU determinino la volontà della popolazione di Crimea, Donetsk e Luhansk.

Non è un’approvazione della condotta o della posizione di un avversario negoziare un percorso di coesistenza pacifica. Oggi in Ucraina assistiamo all’alternativa assolutista. Non c’è alcuna morale in un massacro di massa incessante e senza limiti, gestito, diretto e di fatto perpetrato da persone in abiti eleganti e uniformi militari in capitali imperiali a migliaia di chilometri dal fragore delle granate, dalle grida dei feriti e dal fetore della morte.

Se le proposte per i colloqui di pace devono essere qualcosa di più di un esercizio di pubbliche relazioni, devono essere saldamente fondate sulla comprensione delle esigenze di sicurezza di tutte le parti e sulla volontà di trovare un compromesso per far sì che tali esigenze siano soddisfatte e che tutti i conflitti sottostanti siano affrontati.


Fonte: Common Dreams, 27 dicembre 2022

http://www.commondreams.org/opinion/the-ukraine-crisis-is-a-classic-security-dilemma

Traduzione di Enzo Gargano per il Centro Studi Sereno Regis


 

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