Per una ciocca di capelli…

Paola Ginesi

Ebraim Raissa, il presidente iraniano, che denuncia le proteste delle donne come «il disegno dei nemici per destabilizzare l’Iran», concorda con l’analisi di non pochi nostri media ed opinionisti “occidentali” di vari schieramenti ideologici.

Per quest’ultimi, le proteste delle donne iraniane sono, da una parte, un ulteriore fenomeno di emulazione per aderire a costumi lontani dalla loro storia e contrari alle loro tradizioni; dall’altra, un’ulteriore dimostrazione del disegno dell’Occidente che «attraverso la liberazione del corpo femminile tenta di penetrare e invadere» (Michele Castaldo) un paese per imporre i propri valori per cui, di fatto, nel togliersi il velo, la donna passerebbe da una schiavitù di tipo teocratico ad una schiavitù incentrata sul sesso.

La stessa polizia morale è in un certo senso “necessaria”: «La domanda da porsi e?: ancor prima di definire il fatto come conservatore, retrivo e reazionario, perché esiste una “polizia morale”? perché si ritiene da parte dell’Islam in quanto religione, di dover frenare in qualche modo l’istinto naturale che la femmina interpreta del desiderio sessuale maschile, un istinto che Malthus definisce primordiale e insopprimibile […] L’Iran, avendo subito ricatti e sanzioni continue da parte dell’imperialismo occidentale, e? costretto ad essere guardingo nei confronti dei costumi occidentali per non essere invaso e disgregato. […] Chi oggi saluta trionfalisticamente la ribellione di giovani donne in Iran contro l’oppressione femminile sa di proporre come modello alternativo a quello teocratico islamico quello del liberismo occidentale, dell’individualismo femminile preda della mercificazione di tutta la società, compreso il corpo e la mente della donna, anzi proprio attraverso la donna» (Michele Castaldo).

Milioni di donne che vivono in quell’“altro mondo” non possono andare a scuola, non possono fare sport, non possono guidare un’automobile, sono escluse dalla società, subiscono mutilazioni genitali, vengono date in sposa quando sono ancora bambine, devono rinunciare al cibo se per i fratelli non ce ne è abbastanza…

E sono anni che ciò avviene tra tradizione e conseguenze di colonialismo e sfruttamento da parte del “civile” Occidente.

La difesa della tradizione, l’identità di un popolo minacciata da potenze estranee…

I popoli indigeni rivendicano il diritto ancestrale alla proprietà comune delle terre su cui vivono e lavorano da sempre, usurpate da conquistadores dei paesi dell’Occidente; da parte degli organi istituzionali dello Stato esigono la legittimazione dei rappresentanti scelti come interpreti della loro visione del mondo e dei loro interessi vitali; chiedono il rispetto delle decisioni prese nelle tradizionali assemblee comunitarie, riconosciute dalla legge ma non dalla politica…

Richieste lontane dal pericolo di un’occidentalizzazione della loro storia… eppure non vengono ascoltati, anzi sono tacciati da “primitivi”, “selvaggi”, inutili alla nazione, una presenza che mette a repentaglio il progresso del paese in cui vivono da generazioni e generazioni – quando neppure si sapeva l’esistenza di un Occidente – ma del quale, di fatto, non sono riconosciuti “cittadini”.

È cedere al disegno perverso dell’Occidente rivendicare il diritto di andare a scuola, guidare un’automobile, uscire da sole, essere protagoniste nella vita sociale, non subire dolorose e umilianti mutilazioni genitali, rifiutarsi di divenire una sposa-bambina, mangiare senza dover rinunciare al cibo per i “maschi” della famiglia?

Quando le donne dicono “basta!” e rompono l’immagine stereotipata imposta all’opinione pubblica – accanto a sostegno e condivisione, fortunatamente sempre più vaste -, sorgono perplessità, spesso coniugate in condanna, senza chiedersi il perché di un fenomeno non isolato in un paese, ma eco di altri numerosi episodi di protesta.

“In nome dei diritti delle donne” sono state svuotate rivendicazioni e proposte di cambiamento e legittimati obiettivi non certo di liberazione e partecipazione nella società.

Il gesto di donne che si tolgono o bruciano l’hijab viene interpretato – anche in paesi estranei alla visione islamica – come il rifiuto tout court dell’Islam, della propria cultura e tradizioni, per cui è legittimo intraprendere azioni per “salvare la donna musulmana” in pericolo nella sua stessa essenza, e ci si rifiuta di capire la valenza delle richieste delle protagoniste e del contesto in cui si rivelano.

Ancora una volta ci si serve del “corpo femminile” per motivi politico-religiosi… e di questo è piena la storia, anche quando non è così evidente, nascosto tra le ombre di poteri e interessi devastanti.

Le donne sono sempre state parte del bottino di saccheggi e invasioni in ogni guerra, “tradizione” ben di rado contrastata. La ciociara con Sofia Loren denuncia la tragedia delle donne violentate dalle truppe coloniali francesi al seguito dell’esercito regolare; con il tempo la violenza sessuale diviene una vera e propria arma di guerra, non più “danno collaterale”, ma strategia (basta pensare all’ex Jugoslavia e al Ruanda), sino a divenire strumento di pulizia etnica, mezzo di distruzione del tessuto di intere società.

Ascoltando gli slogan scanditi nelle piazze e nelle strade iraniane è difficile definirli rivendicazioni per “occidentalizzarsi”, se ne possiamo condividere molti è perché la dignità, la libertà, la democrazia, la pace, il rispetto reciproco non sono valori occidentali ma esigenze umane condivise in ogni storia e geografia:

«Per la libertà di ballare in strada, […] per le nostre madri e sorelle scomparse, per cambiare la mentalità arretrata […] per l’umiliazione di non poter sfamare la propria famiglia, […] per questa economia dettata dall’arbitrio, per la nostra aria satura di inquinamento, per il desiderio di una vita normale […] per tutti questi assurdi divieti, per i nostri intellettuali dietro le sbarre […] Donna, Vita, Libertà».

Il problema è che questi movimenti si diffondono a macchia d’olio: la situazione dello status giuridico delle donne tra controllo del loro corpo, violenza di genere in tutte le espressioni, “sessismo di Stato” è divenuta l’elemento focalizzatore di una rivolta di massa che si sta sempre più estendendo perché la difesa di un diritto è difesa di ogni altro diritto e per tutte, per tutti…

Ed è proprio questo che fa paura: si inizia con poco e non si sa mai come andrà a finire.

E soprattutto ora, quando l’età media di chi scende in piazza in Iran è molto bassa, coinvolge un alto numero di adolescenti: una garanzia per la continuità delle proteste negli anni, ma un “pericolo” per il potere religioso-politico e per gli strati della popolazione aggrappati al conformismo di una tradizione, presentata come garanzia di “sicurezza” in ogni campo dell’esistenza, contro “esperimenti” inediti ed oscuri per il futuro.

Perché un movimento così imponente, trasversale alla società, che rischia di scuotere le radici del sistema di potere, non ha la ripercussione di altre mobilitazioni? Ogni giorno di più ci si sta muovendo in vari ambienti, ma l’opinione pubblica, la cosiddetta “gente normale”, non appare coinvolta come in altre occasioni.

Siamo dinanzi ad una vera e propria “rivoluzione” al femminile con enormi valenze culturali e sociali… e forse proprio il protagonismo delle donne – che nel loro paese suscita una maggiore repressione – nel nostro mondo “occidentale” relega ad un secondo piano la loro protesta, la fa guardare con lenti distorte, interpretare con letture “storiche” legate ad esperienze estranee a quella realtà.

Foto Loco Steve da Flickr (CC BY-SA 2.0)

Molti, fin dall’inizio, si sono affannati a dimostrare che non era una protesta di massa, non era presente ovunque, Teheran e poco più, non c’erano grandi raduni, solo «rivoli di folla, donne e uomini, che continuano a fluire nelle strade di un paese di 84 milioni di abitanti. Si vuole forse sminuire il problema? No, ma solo collocarlo correttamente dal punto di vista quantitativo e anche per la natura della partecipazione che non e? fatta solo di donne. Questo per un verso, mentre per l’altro verso bisogna porsi correttamente il problema sapendo che molto probabilmente si tratta di un dito che indica la luna e non possiamo ridurci a fissare l’obiettivo sul dito e/o guardare altrove» (Michele Farina).

Ed è divenuta una protesta trasversale a tutti i generi, età, generazioni, classi sociali, appartenenza etnica…, un progetto comune per un paese intero.

Il potenziale di protesta delle donne sembra nascere con loro: le “madri coraggio” di ogni angolo del mondo, le Madres de Plaza de Mayo in Argentina e in Tunisia le madri dei desaparecidos nel Mediterraneo; le donne dell’Afghanistan, abbandonate dall’ipocrisia dell’Occidente nelle mani dei Talebani, rivendicano – soprattutto per le figlie – una vita degna di questo nome, così nell’Egitto dove vedono ogni giorno di più negati diritti essenziali; le vediamo in prima fila per denunciare i danni dei cambiamenti climatici con Greta e “ragazze” di ogni età; le donne imprigionate, torturate, scomparse, uccise per difendere la Terra e l’ambiente; le madri in Colombia, Messico, Guatemala, Honduras che reclamano il ritorno – per lo meno una notizia – dei figli inghiottiti nel nulla lungo le vie dell’immigrazione.

Oggi, in Iran, non sono tanto gli intellettuali aperti, gli oppositori di sempre, i “laici” che vogliono affrancare il loro popolo, tutti coloro che, in lunghi anni di lotta, hanno pagato duramente il dissenso… la stragrande maggioranza sono adolescenti e giovani donne che affrontano a testa alta la violenza del potere.

Non si sa cosa accadrà, cosa si otterrà, quanto sangue e dolore costerà; non si sa se si stiano aprendo spiragli di vita diversa o se si vada verso una dura repressione… ma queste energie giovani e inedite, la scoperta che la libertà è possibile, il sentirsi parte di un noi da cui sono state per troppo tempo tenute lontane, non saranno mai messe a tacere definitivamente.

Sì, sempre più spesso, sono le donne ad accendere la miccia ed a portare avanti la lotta… “fino alla vittoria”?

Tra i tanti, cito l’esempio di una donna boliviana, Domitila Barrios Chungara, come lo raccontò Eduardo Galeano.

«Ricordo un’assemblea di operai, nella miniera di stagno di Catavi, in Bolivia, tanti anni fa: una donna, unica presente tra tutti uomini, si alzò e chiese: “Vi faccio una piccola domanda: qual è il nostro nemico principale?”. Si levarono varie voci che risposero: “la dittatura militare”, “la borghesia boliviana”, “l’oligarchia”, “l’imperialismo”… e lei, Domitila, spiegò: “No, compagni, vi dico solo una cosa: il nostro nemico principale è la paura, e lo portiamo dentro di noi”. E allora venne nella capitale con altre quattro donne e una ventina di figli. A Natale iniziarono lo sciopero della fame. Nessuno credeva in loro. Più di uno le prendeva in giro: “Cinque donne per rovesciare la dittatura!”. Il sacerdote Luis Espinal fu il primo a unirsi a loro e, poco a poco, lo seguirono a migliaia: alla fine cinque donne avevano rovesciato la dittatura militare».

Non si sa come andrà a finire in Iran, ma il risultato dipenderà anche dalla nostra indifferenza o dalla nostra indignazione e partecipazione ad una protesta che non esclude nessuno.

Rimanga fuoco vivo che si diffonde ovunque o braci sotto la cenere della repressione protette per divampare di nuovo… è un movimento destinato, ripeto, a durare, allo scoperto o in modo carsico per riaffiorare e riaffermarsi in altri tempi, in altri luoghi, ma non sarà mai definitivamente vinto.

Sono tre mesi e, contro l’evidenza, si sente tuttora dire, “sono ancora così poche le donne che protestano! e poi non sono soltanto loro!” (come se coinvolgere altri settori sociali fosse una ‘colpa’, un insuccesso)… questi soloni nostrani, oltre a non volersi informare meglio, dimenticano facilmente che non è facile vincere la paura di affrontare proiettili sparati, “per distruggere la bellezza delle donne”, contro il volto – mirando soprattutto agli occhi -, al seno, ai genitali.

Si tenta di ridurre il tutto ad un processo circoscritto, insignificante, che non coinvolge i nostri interessi (e questo forse è il taglio di lettura!!!)… ma, di fatto, è un capovolgimento dell’intero sistema di “valori” imposto, un ribellarsi all’autorità politico-religiosa e, spesso, anche familiare.

È affermazione della dignità dell’essere umano, la rivendicazione di diritti che danno maggiori garanzie anche ai nostri, l’indifferenza è connivenza con il potere iraniano e con ogni potere che opprime, discrimina, esclude: dimentichiamo troppo spesso che nessuno sarà davvero libero finché i diritti di tutte, i diritti di tutti non saranno rispettati.

Invece di fare i sofisti che spaccano in due il capello sotto le forche degli impiccati perché “nemici di dio”, sulle tombe di ragazze colpevoli di ballare intorno al fuoco della libertà, sulla disperazione di donne che non potranno più generare figli per le ferite riportate… dovremmo invece

alzarci in piedi davanti ad una donna – e non solo iraniana –
per tutte le violenze consumate su di lei,
per le umiliazioni che ha subito,
per quel suo corpo che avete sfruttato
per l’intelligenza che avete calpestato
per l’ignoranza in cui l’avete tenuta
per quella bocca che le avete tappato
per la sua libertà che le avete negato
per le ali che le avete tagliato [1].

[1] William Jean Bertozzo, Il Chisciotte, spettacolo teatrale liberamente tratto dall’opera Don Chisciotte della Mancia di Cervantes.


 

1 commento
  1. ROSA DALMIGLIO
    ROSA DALMIGLIO dice:

    nel 2004 fui invitata in Cina ed in Russia dall’UNESCO, con sorpresa notai che erano donne le Presidente UNESCO-
    ARTE per la PACE nasce a PARIGI nel 2005 e comincia l’inclusione delle Donne Disabili ambasciatrici di Pace
    invitate dal nostro Governo e dalla Cooperazione internazionale si esibiscono al Teatro dell’Opera di Roma, ricevute in Parlamento e da Papa Benedetto XVI,
    solo nel 2010 le giornaliste cinesi iniziano a visitare e raccontare le DONNE in IRAN
    nasce in Russia la WGHA associazione PACIFISTA di DONNE, per la mia esperienza nella AWCF ALL CHINA WOMEN FEDERATION vengo eletta vice-presidente, la prima IRANIANA pittrice ed Avvocato Attivista sui Diritti Umani è LIDA rifugiata politica, nel 2020 con lei nel Nord Macedonia inizia la nostra pacifica battaglia, l’ARTE per la PACE entra nel web delle Nazioni Unite con PRAYER in COLOUR, la Cina le dedica un francobollo, il dipinto ripreso dall’Università di Cambridge nella copertina dell’ultimo libro sull’IRAN.
    dove eravamo noi? nessuno ha voluto finanziare il film sugli ORRORI in IRAN (raccontato dagli iraniani) eppure oggi ha Roma incontrando le Donne IRANIANE in ACTION mi chiedono un abbraccio simbolico mentre si tagliano le chiome- un simbolo per la loro lotta
    aveva ragione Papa Francesco bisogna creare un giornalismo di PACE, quanti sapevano?, sicuramente i Politici, quelli che in Campidoglio hanno coperto le statue nude di Michelangelo per ricevere il Presidente Iraniano in Italia per AFFARI

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