HUMANS of the Balkans – Bratunac 1

Benedetta Pisani

Diciotto giorni nei Balcani, per incontrare persone e ascoltare le loro storie. Da Lubiana a Tirana, 55 ore di autobus e tanta voglia di condivisione. HUMANS of the Balkans – Bratunac 1

Capitolo 1 – Incontro con Maja Dukanovic

A fine giugno di quest’anno, ho fatto il primo viaggio con Cecilia e Micaela, le mie amiche-colleghe. Siamo andate in Inghilterra, a Bridport, per partecipare a un progetto sul ruolo educativo delle arti partecipate nel lavoro sociale. Lì, nella main hall del Municipio, ho conosciuto Maja. Ricordo perfettamente la sera in cui le ho raccontato del viaggio nei Balcani che avevo intenzione di fare di lì a poche settimane, delle perplessità e, soprattutto, della voglia di incontrare persone e ascoltare le loro storie. Eravamo a cena con il sindaco di Bridport, con calice di vino rosso in una mano e piatto pieno di curry vegano nell’altra. Lei mi raccontava di Bratunac, la cittadina bosniaca dove è nata e cresciuta, e dove si sarebbe svolta la terza parte del progetto, scritto dal Centro Studi Sereno Regis in collaborazione con Opera Circus, un’associazione a cui Maja è professionalmente ed emotivamente legata.

L’entusiasmo nelle sue parole accresceva la mia curiosità di scoprire quel luogo, dal passato pesante eppure vivacemente proiettato verso il futuro. Tante persone giovani, tantissimi bar aperti fino a tarda sera, cicchetti di rakija a due marchi e la voglia di far festa. Dopo ho capito che quei bar sono nati dall’esigenza di disarmare i cittadini e dare loro un’occupazione lavorativa che potesse sostituirsi alla violenta sopravvivenza. Luci e ombre. Questo ho capito.

Ogni luogo, come un volto, è segnato da rughe di delicata saggezza, cicatrici ricucite lentamente dal tempo e ferite sanguinanti, dolorose. La guerra è una ferita ancora aperta ma, in attesa che si rimargini, non se ne parla. Si guarda al futuro, alle cose belle, mi spiega Maja. In Bosnia, però, i palazzi distrutti, le case abbandonate, i muri segnati dai proiettili sono ancora lì. I balconi senza ringhiera, i cani randagi, le macerie per strada sono ancora lì. Ma non se ne parla.

A Srebrenica, in particolare, quella ferita è visibile e difficile da celare. Le strade sono praticamente deserte. Cerco online l’ultimo censimento e non mi sorprende scoprire che il più recente, nonché il primo effettuato dopo la guerra, risale al 2013. Ma i dati riportano numeri che mi sembrano surreali: 13.409 abitanti, di cui 7.248 bosgnacchi. Approfondisco la ricerca, fino a risalire a dati ufficiosi ma decisamente più vicini alla realtà. Oggi, a Srebrenica ci sono circa 5.000 persone, un settimo di quelle che la abitavano nel 1991. 

Mi incammino, un po’ stanca, sulla salita che porta all’area termale. Incrocio un gruppo di turisti tedeschi, due signori molto anziani seduti sulle panchine in legno di un chioschetto e una donna che, per stare al passo veloce di suo figlio, mi supera. Poi, si volta verso di me e sorride, senza fermarsi. Vuole una foto. Al suo fianco, c’è – anche se non si vede – una ragazza poco più giovane di lei, con un velo rosa chiaro.

Non riesco a non pensare alle famiglie come la sua che, venticinque anni fa, sono state vittime del genocidio che ha distrutto vite, cancellato identità e traumatizzato un’intera comunità, quella bosgnacca. Anche se non se ne parla. Il trauma collettivo ha bloccato Srebrenica in uno stato di sospensione, dove non si vive ma si aspetta. Tutto sembra immobile, nella incredula attesa che quella casa in mattoni rossi possa essere abitata. E la giacca verde sulle scale, indossata. Che la lettera incastrata nella porta di vetro possa essere letta e che negli uffici vuoti possano tornare a squillare i telefoni. 

HUMANS of the Balkans - Bratunac 1

Foto di Magdalena su Unsplash

Maja mi ha raccontato che Srebrenica ha avuto un ruolo importante nel suo percorso formativo e personale. In quella città, ha frequentato le scuole superiori, ha conosciuto l’amore e, nel 2009, ha cominciato il suo percorso artistico con il Children’s Music Theatre, una compagnia teatrale nata dall’esigenza delle persone più giovani – appartenenti a qualsiasi gruppo etnico, religioso o nazionale – di creare bellezza insieme. Ancora oggi, ogni tanto, valuta l’opzione di trasferirsi lì, dove tutto ha avuto inizio. Ma quando chiude gli occhi per immaginare la casa in cui vorrebbe trascorrere le sue giornate, sente il profumo degli albicocchi in fiore, il ronzio delle api e le gocce d’acqua che schizzano dalla piscina. Una casa di legno in campagna, dove il tempo non è il nemico, ma l’occasione per creare una connessione lenta e profonda con la natura. Uno scenario un po’ naif, come piace anche a me.

Una sera, sedute sul balconcino con una sigaretta e un bicchiere di birra, ci siamo fatte trasportare dalle forti emozioni che i progetti Erasmus e la leggera ebbrezza verosimilmente suscitano. Io e lei siamo simili. Abbiamo estrema fiducia nelle persone e spesso le idealizziamo. Ci piace tantissimo romanticizzare la realtà, cogliere la bellezza che esiste in ogni essere umano e enfatizzare lo struggimento che ciascuno di essi può provocare. Bianco o nero, e i grigi si perdono un po’. Ogni cosa bella è pura meraviglia. Ogni cosa triste è assolutamente insopportabile. Dico a Maja che, a volte, sono stufa di essere come sono. Lei prende il telefono, vuole farmi leggere una frase di Jovan Ducic, uno dei suoi scrittori preferiti.

“Solo gli sciocchi sono astuti e solo le persone intelligenti possono essere ingenue. L’astuzia non è la fonte di alcuna idea sulla vita, e l’ingenuità di per sé rappresenta sempre una certa idea sulla realtà, anche se solitamente idealizzata. Ingenue sono quelle persone che hanno almeno una propria illusione sulla vita, e l’astuzia, al contrario, sono condannate a distorcere e degradare sempre la verità. L’ingenuità, cioè la giovinezza del cuore, e anche negli anni successivi. Ingenuità significa abbellire tutto ciò che ti circonda. È rendere il criterio interno maggiore dell’evidenza esterna. L’ingenuità è quindi una caratteristica delle anime belle”.

J. Ducic, L’ingenuità è una caratteristica delle anime belle

Ingenua e felice. Non mi sembra più una combinazione così terribile; forse funziona. Almeno per me e Maja.


 

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