Pace attesa e progresso sconfinato

Howard Richards

Il fallimento della pace attesa e il suggerimento di un percorso di progresso sconfinato

Per “pace attesa” intendo la pace attesa dopo la Seconda guerra Mondiale: in pochi brevi anni dopo la sua fine, fu fondata l’ONU, si ridefinirono i diritti umani includendovi i diritti sociali, si dissolsero gli imperi coloniali e nuovi stati nazionali furono accolti nel sistema-mondo moderno, fu creato l’emblematico NHS – Sistema Sanitario Nazionale – nel Regno Unito, e furono fondate le istituzioni di Bretton Woods. Ci furono battute d’arresto, ciò nonostante era ragionevole credere che gli esseri umani stessero finalmente imparando come convivere in pace e prosperità condivisa.

È tuttora ragionevole credere che se i diritti sociali fossero divenuti realtà anziché vane promesse, e se il sistema ONU avesse funzionato come inteso da chi l’aveva progettato, allora l’umanità e il pianeta non sarebbero nei guai tremendi in cui si trovano oggi. La pace attesa sarebbe stata una pace reale, definibile come la definì il cardinale Amigo di Siviglia: “la pace è un tavolo con quattro gambe; che sono giustizia, giustizia, giustizia e giustizia”.

La socialdemocrazia, dico io, era il centro della pace attesa. Se fosse fallita, sarebbe fallita anche la pace attesa. Alla socialdemocrazia veniva richiesto di dimostrare che pagare per i diritti sociali era effettivamente una possibilità economica e politica. Emblematicamente, Bevan [ministro della sanità britannico nel 1948 – ndt] portò avanti la legislazione che creava il Servizio Sanitario nazionale di Keynes, ottenendo da lui l’approvazione prima di apporci il suo timbro finale.

Alla socialdemocrazia si chiedeva anche di disinnescare l’affermazione, da dimostrare, di Friedrich von Hayek che qualunque passo in direzione di uno stato assistenziale fosse una leccornia data in pasto a un insaziabile Leviatano, lo stato; il cui appetito per il potere sarebbe cresciuto a ogni boccone. Il risultato finale sarebbe stato un’altra Russia sovietica di Stalin o un’altra Germania nazista di Hitler. Ci volevano le esperienze vissute di Finlandia, Svezia, Norvegia e altre social-democrazie per dimostrare che la Strada per il servaggio di von Hayek era una parata speciosa di orrori eventuali. Una parata che manco iniziò mai in alcuna delle socialdemocrazie del secondo dopoguerra.  In quanto alle nuove nazioni nate dopo la Seconda guerra mondiale alla morte delle colonie, e alle nazioni latinoamericane e altre che erano state a lungo nominalmente indipendenti ma dipendenti di fatto, la gran maggioranza di esse adottò una qualche combinazione di propri valori autoctoni e di valori socialdemocratici europei. Relativamente poche presero a modello gli Stati Uniti o l’Unione Sovietica. Emblematicamente, per parecchi anni Gunnar Myrdal della Svezia fu a capo di un ufficio ONU incaricato di mostrare alle nazioni del mondo afflitte da povertà come anch’esse potessero porvi fine, come aveva appunto fatto la propria.

Insomma, dopo la 2^ guerra mondiale, l’ottimismo riguardo alle prospettive future di un mondo di pace con una prosperità condivisa era ancorato alle riuscite socialdemocrazie allora esistenti. Giovò che l’ONU fosse allora guidata in quota più che proporzionale da Scandinavi.

Adesso (2022) la socialdemocrazia è in declino in Europa. La sua versione nordamericana, il liberalismo”, è in declino negli USA. La predizione di Mikhail Gorbachev che una Russia post-sovietica sarebbe stata socialdemocratica non si avverò. Né quella di Jürgen Habermas che dopo la caduta del Muro di Berlino la Germania Est sarebbe stata solidamente socialdemocratica.

Le istituzioni socialdemocratiche pilotate in Scandinavia non han dimostrato di essere, come ci si aspettava nel 1948, modelli di ciò che poteva essere il resto del mondo. Qui avanzo la tesi che le ragioni per cui la socialdemocrazia è in declino, siano le stesse o analoghe a quelle per cui le alternative più note alla socialdemocrazia non sono o non più anch’esse praticabili. Non è come se oggi potessimo prima concludere che la socialdemocrazia non funziona e poi, in un secondo tempo, volgerci a un’alternativa che sappiamo funzioni.

Cito ora , raccomandandolo, un nuovo approccio chiamato “organizzare senza confini” (si veda www.unboundedacademy.org)

Quali sono alcune ragioni per cui ha fallito la socialdemocrazia, e con essa la pace attesa? Ne propongo alcune, pur senza tentare di dimostrare alcunché qui. I miei co-autori e io abbiamo argomentato abbastanza a favore della nostra prospettiva in altri scritti. Sarebbe sicuramente onesto dire che a questo punto chi non è persuaso dalle prove da noi addotte, dalla nostra logica, è di gran lunga meno numeroso  di chi non non le ha neppure considerate, per la sola ragione che non sa della loro esistenza. Forse questo breve testo motiverà qualcuno a guardare più in profondità se la nostra prospettiva “sconfinata” possa essere davvero importante.

Si potrebbero identificare le ragioni per cui la socialdemocrazia ha fallito anche solo con termini del linguaggio comune.  Come: “Quando partecipi a un’economia globale, una nazione non può continuare indefinitamente ad essere un’isola di alti salari in un mare di bassi salari”.  O come:” La produzione oggi è motivata dall’accumulo di capitale. Le istituzioni che favoriscono di più l’accumulo di capitale prevalgono su quelle che lo favoriscono di meno”. La socialdemocrazia svedese fu condannata quando Volvo scelse di fabbricare veicoli in Brasile, pagando i lavoratori brasiliani un decimo dei salari degli operai svedesi”.”  O come: “Un sistema che deduce il 65% della paga intascata da un operaio non può durare”.

Studi specifici dettagliati su socialdemocrazie particolari (I dilemmi delle socialdemocrazie; capitol 7 di Teoria economica e sviluppo delle comunità), ha condotto a supporre come causa profonda e decisiva di quanto osservato in ogni caso di studio, con una logica che C.S. Peirce avrebbe definito abduzione, “strutture culturali basilari” che costituiscono e asserragliano i mercati. La lingua comune, seppure è ovvio che è indispensabile, dev’essere assistita se deve interpretare il mondo e cambiarlo. I tre esempi di cui sopra non fanno che riferire quel che succede e viene osservato facendo supposizioni invece di esaminare le strutture culturali basilari socialmente e storicamente costruite che rendono il loro avvenire pensabile e possibile, e anzi inevitabile.

Costruendo tacitamente sull’idea generale di una struttura culturale basilare, in quanto segue ne nominerò specificamente una; conierò un termine tecnico critico con due elementi: “libertà metafisica”, nota anche come “libertà razionale” che significherà – in modo non esclusivo, perché qualunque cosa reale può essere chiamata in vari modi — potenti forze culturali.

Prendo le mosse da contributi di Leon Walras all’economia ortodossa, continuando con apporti complementari di economisti successivi. A pagina 61 della traduzione di William Jaffé della quarta edition di Éléments d´Économie Politique di Leon Walras leggiamo: “Ora, il primo punto da notare è che possiamo divider i fatti del nostro universo in due categorie: quelli risultanti dal gioco di forze naturali cieche ed ineluttabili e quelli risultanti dall’esercizio della volontà umana, forza libera e cognitiva”. Walras continua alla pagina seguente: “che la volontà umana sia cognitiva e libera rende possibile dividere ogni entità dell’universo in due grandi classi: persone e cose”. Walras esprime una cosmologia, una visione cosmica, una metafisica. Descrive immediatamente tutto dividendolo in due categorie; descrizione non innocente. Non lascia ciò che descrive come lo ha trovato prima di descriverlo. Per pensatori come Walras, il mondo viene cambiato e plasmato da una libertà metafisica o razionale. La quale libertà costituisce una persona.

Vedere, Martin Heidegger ha scritto, è sempre vedere come. Walras raccomanda di vedere tutto come una persona o una cosa. Segue Immanuel Kant, per il quale una persona allein hat W?rde. (solamente ha dignità).  Nelle 434 pagine ssuccessive alla 61, Walras resta fedele alla sua distinzione fra cose e persone. Una vendita o un acquisto, o qualunque contratto, non risulta dal gioco di forze di natura cieche e ineluttabili, ma dall’esercizio della volontà umana.

L’equilibrio di mercato – lodato da Walras come un optimum da conseguire col laisser faire — non pretende di essere la soddisfazione ottimale dei bisogni umani in armonia con la natura. E’ una cessazione di scambi volontari al punto in cui non ci sono più due negozianti che trovino di proprio interesse scegliere di commerciare.

Quando economisti come Walras hanno respinto la teoria lavorista del valore e qualunque teoria oggettiva del valore, optando invece per una teoria soggettiva del valore (avallando la sovranità del consumatore secondo “quel che dovrebbe essere prodotto è ciò che si vende”), non è stato soprattutto perché era(no) scettico/i su tutti i giudizi di valore presunti oggettivi; bensì perché le scelte dei compratori esprimono un principio sacro: la libertà della volontà umana.

Analogamente, un optimum alla Pareto non è un optimum in qualunque senso oggettivo. Di certo non è un optimum nel senso della miglior soddisfazione dei bisogni umani con tecnologie sostenibili. Denomina invece il momento ideale in cui il mercato raggiunge un punto in cui non ci sono più transazioni volontarie; non restano più accordi cui aderiscano volontariamente ambo i contraenti. Qualunque ulteriore transazione richiederebbe coercizione. Se ci fossero solo due persone sul mercato, e una possedesse tutto e l’altra nulla, sarebbe un optimum di Pareto.

Tutta un’economia, e tutta una civiltà, può essere costruita su un fondamento di preferenze rivelate – perché quando gli avventori comprano agiscono come persone; ricadono sul versante “persona” della dicotomia persone/cose che divide l’universo in due parti separate.

Sicché, in tempi moderni, tematiche fondamentali d’etica, dibattute e continuamente riconsiderate da Socrate in poi, e anche continuativamente materie di studio e riflessione secolo dopo secolo nelle culture non-occidentali, sono state occultate in quanto tecniche. L’economista Abba Lerner mi disse una volta: “L’economia è lo studio del valore inquanto sia stato quantificato. La fiosofia è lo studio del valore in quanto non sia ancora stato quantificato”.

Le norme legali dell’economia globale odierna risalgono all’antica Roma. E anche ad avvenimenti emblematici più recenti fra cui i trattati di Westfalia del 1648; che posero i singoli stati nazionali nel quadro giuridico neo-romano di un sistema internazionale.

Ma si noti quel che fa Kant negli anni 1780 e 1790. Il Diritto Romano non viene semplicemente “ricevuto” e usato, come riferisce Max Weber, per organizzare il capitalismo. Kant nella sua filosofia del diritto non si limita a citare in latino ed avallare i principi articolati da Ulpian quindici secolo prima, bensì cambia il loro status logico, spacciando la proprietà e altri principii del diritto romano come eterni e universali, [mentre] sono allora dedotti dalla libertà metafisica. Un’idea, Freiheit (libertà) – un’idea eterna non di questo mondo—scolpisce la norma nella pietra.

I diritti di proprietà scolpiti nella pietra dalla libertà metafisica sono campi minati per qualunque socialdemocrazia. Insieme, proprietà e libertà metafisica costituiscno, nei termini di Michel Foucault, le condizioni storiche di possibilità per i conflitti odierni fra potere economico e potere politico.

Ma non sempre prevalgono le argomentazioni fondate sulla libertà metafisica. Non sono prevalse in controversie sul potere legale di società farmaceutiche di negare il vaccino Covid a persone non in grado di pagarlo. Alla fine, non sono prevalse in controversie sul condono di debiti esteri di nazioni povere devastate dagli alti tassi d’interesse e dagli “aggiustamenti strutturali” degli anni 1980. L’organizzazione sconfinata considera tali piccole vittorie come punti di crescita verso strutture culturali trasformate.

L’organizzazione sconfinata si definisce come “collaborazione trasversale nella società per il bene comune”. Talvolta diciamo invece “bene generale” per evitare un’interpretazione ristretta di “bene comune” che lo identifica come “beni pubblici” contrapposti a “beni privati”. Nella teoria dell’organizzazione sconfinata il termine versatile “comunità” è sospinto a servire da contrasto rispetto a “economia (come scienza)” – quel che è comunità non essendo tale.

L’organizzazione sconfinata è un atteggiamento non esasperatamente di sfida. Non ha un pregiudizio a priori per o contro soluzioni basate sul mercato. Per qualunque problema è aperta a considerare innumerevoli opzioni. La stella polare (fissa) non è la soluzione, bensì l’impegno a lavorare insieme per trovarla. È nata nel 21° secolo, ed è nata in Africa, la terra dell’Ubuntu.


EDITORIAL, 28 Nov 2022 | #773 | Howard Richards – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

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