Perché i bambini palestinesi lanciano pietre

Perché i bambini palestinesi lanciano pietre? Sulla morte di Rayan Suliman e la sua paura dei mostri

Ramzy Baroud

I bambini del mio campo profughi di Gaza raramente avevano paura dei mostri, ma dei soldati israeliani. Non si parlava d’altro prima di andare a letto. A differenza dei mostri immaginari nell’armadio o sotto il letto, i soldati israeliani sono reali e possono comparire da un momento all’altro: alla porta, sul tetto o, come spesso accadeva, proprio in mezzo alla casa. Perché i bambini palestinesi lanciano pietre? Sulla morte di Rayan Suliman e la sua paura dei mostri.

Perché i bambini palestinesi lanciano pietre

Soldati e polizia di frontiera contro bambini | Foto Palestine Solidarity Project da Flickr (CC BY-SA 2.0)

La recente tragica morte di Rayan Suliman, un bambino palestinese di 7 anni del villaggio di Tuqu, vicino a Betlemme, nella Cisgiordania occupata, ha risvegliato tanti ricordi. Il piccolo dalla pelle olivastra, il viso innocente e gli occhi luminosi è caduto a terra mentre veniva inseguito dai soldati israeliani, che accusavano lui e i suoi coetanei di lanciare pietre. Ha perso i sensi, il sangue gli è uscito dalla bocca e, nonostante gli sforzi per rianimarlo, ha smesso di respirare.

Questa fu la brusca e tragica fine della vita di Rayan. Tutte le cose che avrebbero potuto essere, tutte le esperienze che avrebbe potuto vivere, tutto l’amore che avrebbe potuto trasmettere o ricevere, finirono all’improvviso, mentre il bambino giaceva a faccia in giù sul selciato di una strada polverosa, in un povero villaggio, senza aver mai vissuto un solo momento di vera libertà, o addirittura di sicurezza.

Gli adulti spesso proiettano la loro visione del mondo sui bambini. Vogliamo credere che i bambini palestinesi siano guerrieri contro l’oppressione, l’ingiustizia e l’occupazione militare. Sebbene i bambini palestinesi sviluppino una coscienza politica in età molto giovane, molto spesso le loro azioni di protesta contro l’esercito israeliano, i canti contro i soldati invasori o persino il lancio di pietre non sono spinti dalla politica, ma da qualcos’altro: la paura dei mostri.

Questo collegamento mi è venuto in mente quando ho letto i dettagli della straziante esperienza che Rayan e molti dei bambini del villaggio subiscono quotidianamente.

Tuqu è un villaggio palestinese che, un tempo, esisteva in un paesaggio incontrastato. Nel 1957, l’insediamento ebraico illegale di Tekoa fu fondato su terre palestinesi rubate. L’incubo era iniziato.

Le restrizioni israeliane sulle comunità palestinesi in quell’area aumentarono, insieme all’annessione delle terre, alle restrizioni di viaggio e all’approfondimento dell’apartheid. Diversi residenti, per lo più bambini del villaggio, sono stati feriti o uccisi dai soldati israeliani durante le ripetute proteste: gli abitanti del villaggio volevano riavere la loro vita e la loro libertà; i soldati volevano garantire la continua oppressione di Tuqu in nome della salvaguardia della sicurezza di Tekoa. Nel 2017, un ragazzo palestinese di 17 anni, Hassan Mohammad al-Amour, è stato colpito e ucciso durante una protesta; nel 2019, un altro, Osama Hajahjeh, è stato gravemente ferito.

I bambini di Tuqu avevano molto da temere e le loro paure erano tutte fondate. Il viaggio quotidiano verso la scuola, compiuto da Rayan e da molti suoi coetanei, accentuava queste paure. Per raggiungere la scuola, i bambini dovevano attraversare il filo spinato militare israeliano, spesso presidiato da soldati israeliani pesantemente armati.

A volte, i bambini cercavano di evitare il filo spinato per evitare il terrificante incontro. I soldati lo prevedevano. “Abbiamo provato ad attraversare il campo di ulivi accanto al sentiero, ma i soldati si nascondono tra gli alberi e ci afferrano”, ha raccontato un bambino di 10 anni di Tuqu, Mohammed Sabah, in un articolo di Sheren Khalel pubblicato anni fa.

L’incubo continua da anni. Rayan ha vissuto per oltre un anno quel viaggio terrorizzante, fatto di soldati in attesa dietro i fili spinati, di creature misteriose che si nascondevano dietro gli alberi, di mani che afferravano piccoli corpi, di bambini che urlavano per i loro genitori, imploravano Dio e correvano in tutte le direzioni.

Dopo la morte di Rayan, avvenuta il 29 settembre, il Dipartimento di Stato americano, il governo britannico e l’Unione Europea hanno chiesto un’indagine, come se il motivo per cui il ragazzino ha ceduto alle sue paure paralizzanti fosse un mistero, come se l’orrore dell’occupazione militare e della violenza israeliana non fosse una realtà quotidiana.

La storia di Rayan, per quanto tragica oltre ogni dire, non è unica, ma è una ripetizione di altre storie vissute da innumerevoli bambini palestinesi.

 

Quando Ahmad Manasra è stato investito dall’auto di un colono israeliano e suo cugino Hassan è stato ucciso nel 2015, i media e gli apologeti israeliani hanno alimentato le fiamme della propaganda, sostenendo che Manasra, all’epoca tredicenne, fosse una rappresentazione di qualcosa di più grande. Israele ha affermato che Manasra era stato colpito per aver tentato di accoltellare una guardia israeliana e che tale azione rifletteva l’odio profondo dei palestinesi per gli ebrei israeliani, un’altra comoda prova dell’indottrinamento dei bambini palestinesi da parte della loro presunta cultura violenta. Nonostante le ferite e la giovane età, Manasra è stato processato nel 2016 e condannato a dodici anni di carcere.

Manasra proviene dalla città palestinese di Beit Hanina, vicino a Gerusalemme. La sua storia è per molti versi simile a quella di Rayan: una città palestinese, un insediamento ebraico illegale, soldati, coloni armati, pulizia etnica, furto di terra e veri e propri mostri, ovunque. Nulla di tutto ciò è importato al tribunale israeliano o ai media mainstream e aziendali. Hanno invece trasformato un ragazzino di 13 anni in un mostro e hanno usato la sua immagine come manifesto del terrorismo palestinese insegnato in tenera età.

La verità è che i bambini palestinesi lanciano pietre contro i soldati israeliani, né per il loro presunto odio intrinseco verso gli israeliani, né come atto puramente politico. Lo fanno perché è il loro unico modo di affrontare le proprie paure e di venire a patti con l’umiliazione quotidiana.

Poco prima che Rayan riuscisse a sfuggire alla folla di soldati israeliani e venisse inseguito fino alla morte, è avvenuto uno scambio tra suo padre e i soldati. Il padre di Rayan ha raccontato all’Associated Press che i soldati avevano minacciato che, se Rayan non fosse stato consegnato, sarebbero tornati di notte per arrestarlo insieme ai suoi fratelli maggiori, di 8 e 10 anni. Per un bambino palestinese, un’incursione notturna dei soldati israeliani è la prospettiva più terrificante. Il giovane cuore di Rayan non poteva sopportare questo pensiero. Ha perso i sensi.

 

I medici del vicino ospedale palestinese di Beit Jala hanno fornito una spiegazione medica convincente del perché Rayan sia morto. Uno specialista pediatrico ha parlato di un aumento dei livelli di stress, causato dalla “secrezione eccessiva di adrenalina” e dall’aumento dei battiti cardiaci, che hanno portato a un arresto cardiaco. Per Rayan, i suoi fratelli e molti bambini palestinesi, il colpevole è un altro: i mostri che tornano di notte e terrorizzano i bambini che dormono.

È probabile che i fratelli maggiori di Rayan tornino nelle strade di Tuqu, con pietre e fionde in mano, pronti ad affrontare le loro paure dei mostri, anche a costo di pagare con la propria vita.


Fonte: MintPress News, 13 ottobre 2022

Traduzione di Enzo Gargano per il Centro Studi Sereno Regis


 

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