Ridatele il suo nome curdo

Ridatele il suo nome curdo: Jina Amini

Anna Mahjar-Barducci

La conosciamo tutti come Mahsa Amini, la ragazza di 22 anni che è stata torturata e uccisa dalla “polizia della morale” della Repubblica islamica iraniana. Tuttavia, il suo nome era Jina, uno splendido nome curdo, che significa “vita”. Ridatele il suo nome curdo: Jina Amini. 

In Iran, la popolazione curda, continuamente discriminata, non può dare ai propri figli un nome curdo. “L’Iran controlla il modo in cui i suoi cittadini chiamano i propri figli e vieta i nomi che non sono nella loro lista. I nomi che rappresentano il nazionalismo etnico o l’orgoglio regionale sono vietati, ad eccezione dei nomi persiani e islamici”, spiega l’esperto di affari curdi Himdad Mustafa. Pertanto, nei suoi documenti ufficiali, era registrata come “Mahsa”, un nome persiano consentito dalla Repubblica Islamica. A casa però era Jina. Questo è il nome con il quale la sua famiglia la chiamava, questo è il nome che ha pronunciato la madre piangendo sulla sua tomba. 

Ridatele il suo nome curdo

Lo slogan curdo “Jin, Jiyan, Azadi” (“Donna, vita, libertà”). (Fonte: Twitter)

Fu costretta a chiamarsi “Mahsa”

Gli attivisti curdi per i diritti umani sottolineano che Jina non è stata picchiata a morte solo perché indossava il hijab in modo non “appropriato”, ma anche perché era curda. L’attivista curdo-svedese, Kochar Walladbegi, scrive: “In Iran… le minoranze come i curdi vengono represse… Per i curdi, essere uccisi e torturati è una routine, è il comportamento sistematico [della Repubblica islamica], che devono affrontare ogni giorno della loro vita! … Jina è stata torturata dalla polizia ‘morale’ iraniana… anche perché era una curda ed era una donna, il che la rende una minoranza all’interno di una minoranza! Ho deciso di chiamarla con il suo nome curdo Jina che significa ‘vita’, un nome che lei, come molti altri curdi, le è stato negato. E’ stata invece costretta a ad vere ‘Mahsa’ come nome ufficiale.”

La Repubblica islamica accusa i gruppi di opposizione curda di aiutare i manifestanti

Dopo la morte di Jina, le manifestazioni contro la Repubblica Islamica si sono intensificate in tutto il Paese, soprattutto nella regione del Kurdistan. Il sito Rudaw ha riferito che il governo iraniano ha minacciato i partiti di opposizione curda ai confini della regione del Kurdistan orientale, dicendo loro di “evacuare” dalle loro basi, prima che vengano “considerate altre opzioni”. “Verso la fine di settembre, il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (IRGC) ha inondato i cieli delle province di Erbil e di Sulaimani, nella regione del Kurdistan, con missili balistici e droni suicidi, prendendo di mira le basi dei gruppi di opposizione curda, che sono accusati di fornire armi ai manifestanti nel paese,” ha spiegato Rudaw.

Nazim Dabbagh, rappresentante dell’ufficio del governo regionale del Kurdistan a Teheran, ha poi dichiarato: “Il governo iraniano ha detto che partiti di opposizione [curda] iraniana hanno interferito nelle proteste, accusandoli di incitare alla rivolta. L’Iran ha pertanto ordinato a questi partiti di abbandonare i loro quartieri generali.”

” Jin, Jiyan, Azadi “

E’ importante sottolineare che il motto persiano delle proteste “Zan, Zendegi, Azadi [Donna, Vita, Libertà]” è in realtà un noto slogan curdo, utilizzato da anni nel movimento indipendentista. È stato Abdullah Öcalan, il membro fondatore del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), a rendere popolare questa frase nei suoi scritti.

L’attivista politica Zozan Sima scrive: “L’intimidazione, [che la Repubblica islamica dell’Iran] ha cercato di esercitare sulle donne, sui curdi e su coloro che si oppongono al sistema nel ricordo di Jina, è stata controproducente. La repressione ha acceso una nuova scintilla nella lotta contro il regime. E’ significativo che donne e uomini – in Iran e nel Kurdistan iraniano in particolare – cantino all’unisono in curdo e in farsi: ‘jin-jiyan-azadi !’ e ‘zan-zendegi-azadi! [Donna, vita, libertà!]“.

Spiegando il significato dello slogan nel libro “The Art of Freedom” (PM Press, Oakland, CA, 2021), l’attivista curda Havin Guneser afferma: “Con il motto ‘Jin, Jiyan, Azadi’ … il movimento di liberazione curdo ha mostrato le connessioni che rendono la rivoluzione delle donne la liberazione della vita stessa. Si tratta di liberare la vita. Pertanto, anche gli uomini vedono che, in realtà, non hanno alcun vero privilegio. Allo stesso modo, diciamo che la colonizzazione e l’oppressione dei curdi impedisce ai turchi di diventare democratici [e lo stesso si può dire dell’Iran!]. La riduzione in schiavitù delle donne perpetua anche la schiavitù degli uomini…

Ecco perché diciamo che la rivoluzione delle donne libera la vita. In curdo, la radice della di vita è ‘Jin’ significa vivo e jiyan significa vita. Ed è per questo che diciamo Jin, Jiyan, Azadi. Azadi significa libertà. E dato che la parola sumera per libertà è Amargi, che significa ‘ritorno alla madre’, le tre parole sono interconnesse e hanno perfettamente senso: donne, vita, libertà. Man mano che le donne diventano libere, è inevitabile che la vita stessa torni alla sua magia e al suo incanto. Così nasce lo slogan: Jin, Jiyan, Azadi.” 

Cosa c’è in un nome?

È innegabile che le proteste per la libertà in Iran abbiano anche una radice curda. Il cambiamento in Iran parte dalle donne e dalle minoranze etniche, che sono stanche di essere oppresse e perseguitate.

Nei social media, molti utenti scrivono: “Dì il suo nome”. Bene, il suo nome era Jina. Non dimentichiamo la sua morte e non cancelliamo la sua identità curda. La lotta “per la libertà” (“baraye azadi“, come dice la popolare canzone anti-regime) si oppone alla discriminazione della Repubblica islamica contro le donne, contro le minoranze e contro i curdi. Jina era sia una donna sia una curda.

Il suo nome Jina trova la sua radice nello stesso slogan per la libertà, Jin, Jiyan , era una donna (Jin), rappresenta la vita (Jiyan). Dì il suo nome: Jina Amini.

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