Attenta vigilanza. Nonviolenti, antimilitaristi, lotte per l’obiezione di coscienza nelle carte del Ministero dell’Interno

Andrea Maori

Gli archivi che contengono documentazione sull’obiezione di coscienza al servizio militare possono essere sommariamente divisi in due gruppi: quelli che fanno riferimento ai protagonisti delle lotte e delle varie iniziative prima e dopo la legge del 1972 e quelli del potere costituito, segno di un’attenta viglianza. Si tratta di una classificazione di comodo per poter entrare in punta di piedi in un mondo fatto di carte che si presenta fortemente variegato e con diversi gradi di ordinamento, tutela e valorizzazione.

Nella prima tipologia di archivi si segnalano quelli che per le loro finalità fanno riferimento a movimenti o persone in prima linea per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza e per la gestione del servizio civile o gruppi o persone che per un motivo o per l’altro si sono trovati, tra varie attività, a conservare testimonianze rientranti in episodi ben specifici del lungo cammino dell’ODC. [1]

Un discorso a parte riguardano gli archivi del potere costituito, in particolare del ministero della difesa e del ministero dell’interno, cioè gli archivi del controllo, dell’ordine pubblico, della repressione e della burocrazia statale.

Con due ruoli molto distinti: il ministero della difesa – di cui gli obiettori di coscienza che ne hanno sempre rivendicato l’abolizione o una sua radicale riforma – che custodisce tutti gli atti relativi alla vita dell’obiettore, e il ministero dell’interno – in quanto braccio del controllo statale su partiti, movimenti e potenziali sovversivi. Questi ruoli sono testimoniati dai loro complessi archivistici, molto articolati e con una fruibilità differente: da fondo a fondo

La documentazione sui complessi archivistici del ministero dell’interno riguardo l’ODC e i movimenti ad essi collegati si trova in gran parte presso l’ACS e presso gli AS territoriali nei fondi archivistici delle carte di polizia e dei servizi di intelligence.

Durante il fascismo il ferreo controllo di polizia su singoli cittadini o su movimenti sovversivi è testimoniato da vari fondi del ministero dell’interno depositati presso l’Archivio Centrale dello Stato all’EUR. :per quanto riguarda i movimenti pacifisti e singoli refrattari alle guerra, segnalo le carte deli fondi archivistici della direzione generale di pubblica sicurezza, serie associazioni e partiti sovversivi, il casellario politico centrale (CPC), vale a dire un archivio composto da oltre centocinquantamila fascicoli personali con documentazione prevalentemente compresa tra il 1894 e il 1945 con fascicoli che contengono note informative, relazioni, verbali di interrogatori, provvedimenti di polizia, indicazioni di iscrizione nella Rubrica di frontiera o nel Bollettino delle ricerche e spesso una scheda biografica che sinteticamente e cronologicamente contengono tutta l’attività dello schedato; l’archivio della Polizia Politica (POLPOL), diviso in fascicoli personali o per materia.

All’interno di queste enormi banche date cartacee è possibile rintracciare materiale utile per ricerche sull’ODC durante il periodo fascista. Alcuni esempi: un fascicolo sulle “organizzazioni pacifiste” del fondo “Associazioni sovversive” ci permette di avere qualche informazione sull’attività italiane ed estera di alcune associazioni, compresa la War Resisters’ International e i suoi riferimenti in Italia: informazioni che si possono completare con la consultazione dei fascicoli del CPC e della POLPOL.

Un esempio ancora più incisivo viene dalla segnalazione dei fascicoli riguardanti l’attività di Aldo Capitini ricchi di testimonianze di estremo interesse. Capitini fu vigilato costantemente, – «ripetuto», nel linguaggio burocratico, dal 1933 anno in cui svolse il lavoro di segretario della Scuola Normale Superiore a Pisa fino pochi giorni prima della morte avvenuta il 19 ottobre 1968 a seguito di un intervento chirurgico. Segnalo, di sfuggita che l’assenza dalle iniziative politiche nel lungo periodo passato in ospedale in malattia viene burocraticamente annotata dall’Ufficio Affari Riservati come “cessata attività”

Il suo caso è uno degli esempi tipici della sorveglianza operata dalle forze di polizia nei confronti di tutti i rappresentanti di movimenti e partiti in nome della prevenzione e della salvaguardia dell’ordine pubblico. Sta di fatto che Capitini viene seguito con costante scrupolo, dall’inizio alla fine della sua vita, nei suoi movimenti e nelle sue attività, nella sua corrispondenza e nella sua pubblicistica. E, seguendo lui, venivano seguiti più o meno indirettamente tanti e tanti altri protagonisti di primo e primissimo piano dell’antifascismo e delle lotte per la pace: per citarne solo alcuni tra i protagonisti di queste lotte ci fu Claudio Baglietto Edmondo Marcucci, Danilo Dolci, Maria Remiddi, Marco Pannella, Andrea Gaggero.

In sede territoriale presso gli Archivi di Stato sono depositati gli archivi di prefetture e questure che, in quanto organi periferici del ministero dell’interno, richiamano l’organizzazione e per tanti versi la classificazione degli archivi della direzione generale del ministero. Un lavoro di scavo potrebbe dare qualche sorpresa.

Nel secondo dopoguerra, la pubblica sicurezza cominciò ad interessarsi degli antimilitaristi nonviolenti nell’ambito del controllo verso tutti i movimenti politici attivi nel paese. Il linguaggio poliziesco delle relazioni e delle note a volte pittoresco ma molto più spesso formale e burocratico; rispondeva però a canoni precisi. Infatti la raccolta di informazioni da parte della polizia serve a stabilire le strategie di intervento di ordine pubblico rispetto ai movimenti all’interno di una politica di prevenzione di gestione e controllo. Il continuo flusso documentario dalle prefetture e dalle questure al ministero dell’interno è fatto non solo di nominativi ma anche di informazioni sulle strutture e sulla capacità di mobilitazione dei movimenti e dei loro protagonisti.

Le relazioni, tra quelle disponibili, consultate presso l’Archivio Centrale dello Stato, cambiano nel tempo: da relazioni lunghe, dettagliate, fatte soprattutto di elenchi con biografie dei dirigenti si è passati a relazioni più analitiche sulla struttura delle organizzazioni. Si cerca di capire con più attenzione le dinamiche interne ai gruppi anche se l’obiettivo rimane sempre il rilevamento del potenziale sovversivo del gruppo che si osserva. Gli apparati si evolvono: a metà degli anni sessanta si avverte che una nuova generazione di poliziotti scende in campo e che sostituisce poco per volta quella precedente formatasi durante il fascismo. A partire dalla metà degli anni Ottanta, almeno per la documentazione ora disponibile, le relazioni si riducono a segnalazioni di iniziative e diventano solo semplici comunicazioni di fatti. Con maggiore o minore analiticità di relazione, colpisce lo schema fisso, permanente delle informazioni che prevede sempre: 1) individuazione dei soggetti organizzatori di un evento; 2) quantificazione precisa del numero dei partecipanti all’evento e segnalazione dei personaggi più attivi e dinamici: 3) valutazione del potenziale sovversivo o di pericolo dell’ordine pubblico delle proposte elaborate durante l’evento. Per ogni organizzazione attiva nel campo dell’ODC viene aperto un fascicolo. Nel fondo del ministero dell’interno depositato presso l’ACS la serie archivistica che contiene molto materiale è la «G Associazioni» che fa riferimento al servizio ordine pubblico della direzione centrale della polizia di prevenzione del dipartimento della pubblica sicurezza (1944-1986) e al dipartimento della pubblica sicurezza (1986-2000) mentre altro materiale è rintracciabile nel fondo del gabinetto dello stesso ministero, sempre attraverso fascicoli intestati ad organizzazioni. In questi fascicoli sono disponibili le carte inviate anche dai servizi di intelligence, come la divisione affari riservati, il SISDE o il SIFAR contenenti documentazione su fatti che erano valutati come possibile attentato alla sicurezza dello stato. Si tratta di relazioni e richieste di informazione. Ricerche nei fondi prefettura e questura presso gli AS territoriali confermano lo schema di produzione delle carte del ministero dell’interno.

Per quanto riguarda le carte dell’Ufficio Affari Riservati, il progressivo riordino dei vari fondi dell’archivio scoperti nel 1996 in una sede situata lungo la Circonvallazione Appia a Roma e depositati presso l’Archivio Centrale dello Stato, potrà far emergere documentazione più completa sulla sorveglianza verso il mondo antimilitarista, pacifista e nonviolento. Tra il materiale su cui indagare, attualmente a disposizione degli studiosi c’è quello relativo alla categoria Z che contiene fascicoli personali, in parte erede del Casellario politico centrale. L’Archivio della divisione affari riservati restituisce l’idea di una struttura di intelligence che agì per più di vent’anni al di fuori delle regole di uno stato democratico, come se fosse un servizio segreto ma senza il controllo parlamentare, per esercitare un controllo pervasivo sull’attività politica delle opposizioni.

Prima di concludere, voglio accennare ad alcuni casi di controllo di polizia in cui espressamente si fa riferimento a fonti fiduciarie, vale a dire ad infiltrati nei movimenti

Una relazione di una fonte fiduciaria della Questura di Roma del 6 maggio 1970 ci fa sapere quale poteva essere la campagna propagandistica al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica per ottenere il diritto all’obiezione di coscienza.

Il documento è interessante perché dà un’idea del metodo di lotta politica che veniva usato dal movimento degli obiettori, si forniscono informazioni sulle future manifestazioni in preparazione, tra cui un corteo per le strade centrali di Roma in cui – cito – «ogni partecipante alla sfilata innalzerà un cartello con sopra scritto il nome di un obiettore di coscienza e la condanna riportata, l’uso di rappresentare scene teatrali nelle strade principali delle città, simulazione di processi agli obiettori ed altre iniziative di richiamo alle tematiche care agli obiettori». Veniva quindi fornito il metodo di lotta politica usato generalmente dal movimento in modo da poter prevenire al meglio eventuali problemi di ordine pubblico. Ma la fonte fiduciaria non si ferma a questo e relaziona, in modo semplice ma chiaro il dibattito interno al variegato movimento. Scrive la fonte:

«Sulle iniziative in questione si sono trovati d’accordo sia i pacifisti “moderati” che aderiscono alla Lega [si intente Lega per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza] (per i quali l’obiezione è un diritto morale e basta), sia gli antimilitaristi, cioè “i rivoluzionari” della Lega (rappresentati, in prevalenza, da cattolici di sinistra). Si può aggiungere, anzi, che il sopravvento nell’organizzazione è stato preso appunto da coloro – gli antimilitaristi – che nettamente si distinguono da quelli che vorrebbero dare all’obiezione di coscienza un limitato valore di “testimonianza di pace”. Per gli antimilitaristi, invece, la scelta dell’obiettore di coscienza è “una scelta rivoluzionaria e come tale, per essere valida, deve tendere all’abbattimento radicale dell’odierna situazione di sfruttamento e di falsa democrazia». [2]

Si tratta di informazioni dettagliate di prevenzione e di attenta vigilanza verso future manifestazioni.

Un altro esempio di relazione proveniente da fonte fiduciaria, ce la fornisce la prefettura di Torino che fornisce informazioni molto minuziose sui lavori del campo autunnale della comunità valdese di Agape “Le forze armate per farne che cosa?” che si svolse per una settimana, a Prali, nel settembre 1973. Preceduta da una serie di informative “sulle persone più attive della Comunità di Prali ed ivi residenti”[3] il seminario fu ampiamente resocontato da una o più fonti fiduciarie che relazionavano. Le giornate di studio furono un tentativo di tracciare un profilo storico delle forze armate in Italia e di valutare la loro consistenza, i loro rapporti con l’industria e con la politica.[4]

La relazione della polizia si soffermò molto sulle considerazioni svolte dai convegnisti sul tema della giustizia militare, sulla incostituzionalità dei reati perseguiti dal codice di procedura militare e sulla difficoltà di far valere per il soldato i propri diritti di cittadino

Non poteva mancare un lungo accenno al decalogo di comportamento e di autodifesa dei militari in servizio e la possibilità di costituire collettivi di avvocati democratici per la difesa di soldati di fronte ai tribunali militari che si appoggiavano all’Anpi o al partito radicale. Sul piano strettamente politico veniva ribadito l’appoggio al referendum che il partito radicale stava predisponendo per l’abolizione del codice di procedura militare e dei tribunali militari.

La ricchezza di queste fonti archivistiche è indubbia. Un lavoro di scavo nei vari Archivi di Stato può fornire informazioni dettagliate anche su realtà locali, preziose soprattutto se pensiamo ad una difficile raccolta di archivi privati.


Note

[1] Rimando al mio articolo Il variegato arcipelago degli archivi sull’OdC Un patrimonio storico e dl lotta, Azione Nonviolenta, n. 652, 2022, pp. 8-15,

[2] Archivio Centrale dello Stato, [di seguito ACS], Ministero dell’Interno, [di seguito MI], Gabinetto, (1967-1970). b. 279. Obiettori di Coscienza – Affari militari, fonogramma della questura di Roma, 8 marzo 1971.

[3] ACS, MI, Pubblica sicurezza, Categoria  G, b. 286. Chiesa evangelica valdese, relazione della prefettura di Torino, 17 agosto 1973.

[4] Ivi, relazione della prefettura di Torino, 20 settembre 1973.


Relazione al convegno “Preferirei di NO.” | Torino, 8 ottobre 2022.


 

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