L'Ucraina diversa dalla Serbia

Ucraina diversa dalla Serbia? Perché il Kosovo? Perché non il Donbas?

Richard Falk

Questo testo è un adattamento espanso delle mie risposte alle domande sul tema “L’Ucraina diversa dalla Serbia” postemi il 14 settembre u.s. da Stasa Salacanin del New Arab.

Sfida alla sovranità territoriale serba in Kosovo, conferma della sovranità territoriale ucraina nella regione del Donbas. L’Ucraina diversa dalla Serbia.

Concorda sull’essere i ripetuti incidenti e crisi indice della gran limitazione dell’UE e dell’Occidente, che paiono aver perso da tempo il proprio senso di approccio a una soluzione, senza offrire alcun incentivo o promessa tangibile ad alcuno degli stati balcanici occidentali, specialmente quando si tratti di date esatte verso una piena associazione all’Unione Europea?

È mia opinione che la UE non abbia mai fatto un’alta priorità della stabilità, della sicurezza, dei diritti di autodeterminazione dei Balcani occidentali, né l’associazione alla UE per i rispettivi popoli. Tali stati sono stati trattati dalla UE con modalità transazione piuttosto che nello spirito della comunità regionale e di civiltà.

L’Eccezione del Kosovo fu motivata da considerazioni politiche altre dal benessere e dai desideri dei kosovari della maggioranza albanese, giustificazione data per l’intervento umanitario del 1999, che mascherava il perseguimento di interessi strategici degli stati intervenuti nella coalizione. Ivi compresa l’asserzione dell’attualità della NATO pur dopo la fine della guerra fredda e lo scioglimento del Patto di Varsavia, nonché il perdurante senso di colpa per la mancata reazione al massacro di Srebrenica del 1995 insieme alla preoccupazione che potesse ripetersi in Kosovo – cosa percepita come tradimento del proposito europeo di ‘mai più’ maturato dopo l’Olocausto – ma anche espressione di un’ostilità generale verso la Serbia e il suo leader.

A quel tempo Noam Chomsky richiamò opportunamente l’attenzione ai due pesi e due misure tipici di tali interventi occidentali definendola guerra del Kosovo come un caso di ‘umanesimo militare’. Dopo tale rivitalizzazione post-guerra-fredda della NATO, le élite liberali d’Occidente cercarono un termine per legittimare gli usi non-difensivi della forza che si conformasse superficialmente all’ethos di un mondo post-coloniale, ethos particolarmente sensibile alle pretese di ‘interventi’ aventi la meglio rispetto alla ‘sovranità territoriale’.

Dopo che il Kosovo fu ‘liberato’ dal servaggio alla Serbia, le élite cercavano di riconciliare tali usi della forza con comportamenti né difensivi né autorizzati dal Consiglio di Sicurezza ONU (UNSC). La normativa più soddisfacente finì per dismettere il linguaggio dell’‘intervento umanitario’ sostituendolo con un’espressione giustificatoria meno abrasiva, la cui migliore formulazione risultò dal rendiconto 2001 dell’iniziativa canadese di Commissione Internazionale sulla Sovranità Statale, che proponeva l’adozione di una norma che vincolasse a una ‘responsabilità di proteggere’ – R2P. che nel 2005 fu accettata dall’ONU come riferimento per l’esercizio della responsabilità internazionale, in quanto necessaria conferma di giustificazioni umanitarie per l’uso della forza a protezione dei diritti basilari.

La R2P fu invocata dai membri NATO del UNSC nel 20ll a sostegno della proposta imposizione di una No Fly Zone Intesa a proteggere la popolazione civile di Benghazi dalla presunta minaccia di forze armate libiche in avvicinamento. Parecchi paesi (non solo Cina e Russia, ma India, Brasile e Germania) erano contrari a un intervento armato, ma cedettero alla richiesta apparentemente più modesta di una No Fly Zone difensiva riferita a una sola città – deliberata quindi conla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1970 del 17 marzo 2011, con 10 stati a favore, nessuno contrario e 5 astenuti.

L’attuazione della missione fu delegata alla NATO, con gli USA ‘alla guida da dietro’ come disse Obama. I limiti imposti nella risoluzione non furono rispettati, e l’effettiva operazione parve dall’inizio chiaramente intesa ad attuare un cambiamento di regime. Già all’inizio delle operazioni militari fu molto esteso l’uso della forza, specialmente dall’aria, ben più di quanto gli astenuti ritenevano autorizzato dal voto UNSC. Pertanto, la R2P risultò un espediente diplomatico per dare copertura all’umanesimo militare, questa volta però velato da un’ambigua approvazione ONU. Col risultato di abbassare il livello di fiducia fra i membri del UNSC, rendendo più problematiche successive richieste occidentali di autorizzazioni ONU d’uso della forza, come evidente nella ripetuta fredda accoglienza durante la guerra civile siriana dello scorso decennio.

Anche l’altro aspetto della critica di Chomsky a proposito dei due pesi e due misure è pertinente. Nel caso del Kosovo Chomsky illustrò la sua valutazione riferendosi alla situazione precaria della minoranza curda, specialmente in Turchia. In relazione all’intervento in Libia, ci sono molti casi di indifferenza geopolitica, smaccatamente il non avere autorizzata, ma neppure proposta, l’attuazione [della R2P] verso i palestinesi, da lungo tempo privati dei propri diritti basilari ed esposti periodicamente a grevi operazioni militari da parte di Israele, specialmente i due milioni di civili palestinesi rinchiusi a Gaza da un incessante blocco militare fin dal 2007.

Sarebbe importante contestualizzare l’intervento russo in Ucraina in relazione alle ben documentate condizioni miserande della minoranza russofila nella regione del Donbas. Ovviamente la crisi ucraina è aumentata dalla complessità degli obiettivi di ambo i lati del conflitto. La Russia in cerca di ristabilire le sue sere tradizionali d’influenza perse al tempo del crollo sovietico e di sfidare quel che è percepito a Mosca (e altrove) come gli effetti secondo regia USA della guerra fredda sotto forma di unipolarità egemonica occidentalista. Gli Stati Uniti, e un’Europa condiscendente, che considerano l’aggressione russa una sfida ai criteri della sicurezza globale su cui hanno esercitato il controllo dalla fine della guerra fredda; e che volendo infliggere una sonora sconfitta alla Russia, vantano credito per la difesa dell’Ucraina, segnalando alla Cina che sfidare la unipolarità è autodistruttivo.

Pensa che il cosiddetto processo di normalizzazione – patrocinato da UE e USA – che prevede lo stabilirsi graduale di un rapporto funzionale fra Belgrado e Pristina condurrà alla lunga a un reciproco riconoscimento di due stati – Kosovo e Serbia, che riesca nell’attuale situazione (e per sfide analoghe in Bosnia e Herzegovina, ma anche col conflitto in Ucraina)?

Ciascun conflitto di tale carattere, sottoponendo a tensione i diritti di popoli afflitti diversi entro i confini di uno stato riconosciuto internazionalmente, solleva un problema generale di integrità e di diritti territoriali di stati sovrani esistenti in contrasto con la gamma di diritti dell’autodeterminazione. L’interpretazione delle opzioni politiche in ciascun caso è molto influenzata dal contesto strategico generale e solo in secondo luogo dai diritti legali e dal principio morale.

A livello generale la geopolitica gioca un ruolo decisivo nelle istanze di alto profilo dove interessi strategici e identità etniche sono al cuore delle tensioni. Questo è il solo modo di capire le presentazioni contraddittorie occidental del Kosovo da un lato, e del Donbas dall’altro. In un caso, la pretesa di uno stato esistente dell’integrità dei propri confini è accantonata per la presunta primazia di preoccupazioni umanitarie, mentre nell’altro quella pretesa si sostiene, [e] in ambo i casi mediante un intervento NATO/USA a sostegno del governo nazionale e a spese delle pretese separatiste e dei diritti umani di una minoranza prigioniera.

La situazione in Kosovo è comparabile al conflitto in Ucraina (specialmente riguardo alla Crimea e al Donbas), dove l’Occidente in un caso sostiene l’integrità territoriale dello stato e condanna l’invasione dell’Ucraina mentre nell’altro caso sostiene la secessione/autodeterminazione giustificando l’intervento internazionale (regionale) -aggressione/occupazione del Kosovo? Le loro argomentazioni non sono state convincenti. La Russia nonché la Cina e la Serbia non han perso l’occasione di rinfacciare all’Occidente collettivamente i propri due pesi e due misure (e il fatto che circa la metà dei membri ONU, nonché 5 membri UE, non riconoscono ancora il Kosovo).

La comparabilità è questione d’interpretazione del contesto più ampio del conflitto, ed è spesso plasmata dall’occhio dell’osservatore. Nel caso del Kosovo c’è stata una prontezza euro-americana nell’intraprendere un’azione punitiva contro la Serbia dato lo sfondo delle sue affinità politiche e culturali con la Russia, mentre in Ucraina il governo centrale anti-russo di Kyiv gode del sostegno incondizionato occidentale, compresa la partecipazione alla condotta deliberatamente provocatoria nel decennio precedente l’attacco russo. I due pesi e due misure sono pervasivi e responsabili di gravi ingiustizie verso alcuni popoli assoggettati, e non solo in Europa.

Non vedere sistematicamente le negazioni al diritto di autodeterminazione del popolo palestinese in quello che è stato il proprio paese, la Palestina, rappresenta un esempio flagrante di doppiopesismo internazionale. Il Progetto Sionista d’istituire uno stato ebraico in Palestina si è attuato nel corso di oltre un secolo, risultando nella fondazione di un regime d’insediamento coloniale che mantiene la supremazia ebraica mediante l’imposizione di un regime di apartheid, di controllo discriminatorio e di sfruttamento.

Per quanto la Palestina sia un esempio notevole d’ingiustizia, è lungi dall’essere il solo caso del genere di negazione prolungata dei diritti basilari (Sahara Occidentale, Kashmir).  La Palestina, però, è collegata unicamente all’ONU mediante la sua successione al Mandato Britannico. Con l’accettazione ONU nel 1947 della responsabilità di trovare una soluzione pacifica fra le pretese contraddittorie della popolazione palestinese residente e il Movimento ebraico Sionista post-Olocausto, questa lotta espone drammaticamente più d’ogni altra dal 1945 la debolezza ONU di fronte a una forte resistenza geopolitica.

La situazione in Ucraina rassomiglia al Kosovo nel senso che l’ONU non può venire mobilitata dall’Occidente a causa del diritto di veto goduto da Russia e Cina. Di conseguenza, le restrizioni dello Statuto OU all’uso della forza vengono accantonate a vario grado sia da Russia che USA. La lotta verrà risolta infine dai costi e rischi che questi due attori geopolitici sono disposti a sopportare nel tempo. La gente dell’Ucraina viene vittimizzata dall’evidente rifiuto dell’una e dell’altra parte di por fine alla macelleria e rivolgersi alla diplomazia nella speranza di trovare un compromesso diplomatico. Avendo tracciato le linee geopolitiche di battaglia così rigidamente, è probabile che la devastante guerra d’Ucraina venga protratta a spese del popolo ucraino.

La questione se l’unipolarità post-1989 sia confermata o se perda terreno a vantaggio degli sfidanti multipolari probabilmente determinerà il flusso della storia per almeno il prossimo decennio. Queste alte poste geopolitiche sono una brutta prospettiva per gli ucraini, ma non sembra venir compresa dai loro dirigenti di Kyiv, sicché si potrebbero intraprendere passi di mitigazione indipendenti e iniziative diplomatiche fra Ucraina e Russia, sperando che Mosca possa essere disposta ad accantonare le proprie ambizioni geopolitiche e riportare pace e sicurezza ai suoi confini.


TRANSCEND MEMBERS, 26 Sep 2022 | Richard Falk | Global Justice in the 21st Century – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

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