Sociocidio

Sociocidio, Genocidio, Ecocidio d’Israele in Palestina

Johan Galtung

Sociocidio è un nuovo concetto che non ha ancora trovato il proprio spazio nel diritto internazionale positivo.

Genocidio, l’ineffabile crimine di uccisione di massa di membri di un genus, una nazione, per nessun altro motivo che tale loro appartenenza.

Ecocidio, l’ineffabile crimine di uccisione della Madre Terra che ci nutre tutti, sta trovando il proprio spazio giuridico mediante le costituzioni di alcuni paesi in LatinAmerica.

Sociocidio

L’uccisione della capacità di una società di sopravvivere, riprodursi, dovrebbe diventare un crimine contro l’umanità altrettanto prominente. Una società è un sistema sociale auto-riproducentesi. Così sono gli esseri umani, con i propri bisogni essenziali per la sopravvivenza, il benessere, l’identità, la libertà. Anche la società è un organismo, con una vita ben aldilà di quella degli individui. Affinché gli umani sopravvivano come umani si devono soddisfare i propri bisogni. E affinché questo accada deve sopravvivere la società. Affinché la società sopravviva si devono soddisfare i prerequisiti sociali essenziali per:

  • la sicurezza, contro la violenza, le uccisioni e le lesioni ai propri membri;
  • la sostenibilità economicamente, contro fame e malattia;
  • l’identità culturalmente, un significato alla vita, contro l’alienazione;
  • l’autonomia politicamente, essere padroni di casa propria.

Con lo sviluppo della società, si sviluppano gli umani, e viceversa. Vita alimenta vita.

Ciò vale anche per le società nomadi basate sui cacciatori -raccoglitori. I monasteri sono incapaci di auto-riproduzione biologicamente quando si basino su un solo genere, ma sono società molto vitali basate sul reclutamento.

Nella modernità l’identità è dinamica della nazione, con quattro caratteristiche: un idioma, una religione-visione del mondo, una storia – del passato, del presente e del futuro – e un attaccamento geografico. Tempo, Spazio, con i mezzi per comunicare e, cruciale, qualcosa in cui credere. Nella modernità lo stato è l’esecutore chiave di tutti quanti gli elementi citati.

Il sociocidio è la lesione (fatale) intenzionale di una società mediante l’eliminazione dei pre-requisiti per una società viva, vibrante, dinamica.

Il sociocidio ne angaria i membri umani, alla lunga è letale. Sociocidio è quel che il colonialismo occidentale e non solo, ha fatto per secoli, negando agli altri la loro autonomia, imponendo la propria identità – lingua e visione del mondo cacciando altri dalla propria dialettica storica e nella storia come periferia occidentale, negando loro la terra cui sono attaccati col cuore e la mente. E i loro corpi per la sicurezza e il sostentamento, per il cibo, l’acqua, la salute.

Israele fa parte di quella tradizione occidentale, con un’eccezione: il passato ebraico, nascosto nella nebbia dei miti; ma un certo effettivamente è stato, e proprio su quelle terre. Sicché io stesso sono stato e sono sostenitore di uno stato con caratteristiche ebraiche, non di uno stato ebraico per soli ebrei, entro i confini del 1967, come ho fortemente argomentato in paesi arabi. Non credo però in una soluzione né a uno stato, né a due stati, bensì a sei: una comunità modellata sulla Comunità europea del 1958, di Israele con i cinque stati arabi confinanti: Siria, Libano, Giordania, Egitto, e Palestina pienamente riconosciuta secondo il diritto internazionale.

Ma la politica israeliana è tata e resta nella tradizione del colonialismo dei coloni occidentali, facendo affluire altri occupanti che approfondiscono il colonialismo.

Introduciamone quindi i criteri del sociocidio:

Sicurezza: Ai palestinesi è negato il diritto di un proprio apparato militare; qualunque sforzo di difendersi dall’occupazione è per Israele un casus belli. Inoltre, per Israele la nonviolenza come approccio alternative alla sicurezza palestinese si scontra con mezzi militari, da guerra. E compito della polizia palestinese è proteggere i coloni israeliani dai palestinesi, non proteggere i palestinesi.

Sostentamento: privare i palestinesi di enormi appezzamenti di terreno mediante la nakba, cancellare/confiscare interi villaggi, negare ai palestinesi un buon suolo e acqua – tutto ciò senza un temine in vista.

Idioma, visione del mondo: in linea di massima restati intatti, ma asimmetrici: gli arabi devono imparare l’ebraico, non viceversa; nessun rispetto per l’islam.

Tempo: assolutamente cruciale. La resa illegale di ogni riferimento pubblico alla nakba priva i palestinesi di una parte molto importante del proprio passato; senza monumenti, nessuno dei propri simboli nella spazio pubblico. Il presente è un’interminabile angheria che rovina un decorso esistenziale logico. E peggio ancora risulta in un’assenza di futuro per l’assediante incertezza. Israele non dichiara mai dove siano i suoi confini riconosciuti e sicuri (dal Nilo all’Eufrate?). In quanto imprevedibile, il futuro si raggrinzisce a sopravvivenza.

Spazio, spazio sacro, la nostra terra, non suolo come risorsa; anch’esso si reduce a un minimo appena che rende i palestinesi stranieri nelle proprie terre.

Stato. Sua negazione, invece solo una debole “autorità”, senza “assetto conclusivo”. Invece, sfruttamento dei palestinesi, tentativi di colonizzarne la mente come cittadini di seconda classe, utilizzandoli solo per i compiti più umili, frammentandone il territorio dentro-fuori Israele, Cisgiordania contro Gaza, in Cisgiordania anche con il Muro, in generale marginalizzato.

La Palestina è vittima di sociocidio da parte d’Israele? Senza dubbio.

Gli elementi di cui sopra sono un disastro, per almeno cinque su sette. Che ne fanno una società allo stremo, non morta ma gravemente ferita. E con nessuna guarigione in vista. Gaza è viva, ma gli attacchi armati ad Israele per quanto comprensibili sono controproducenti.

La nonviolenza sostiene il futuro che si vuol vedere, cautamente, data la reazione israeliana. Usando diplomazia bi- e multilaterale, aumentando la legittimazione internazionale di uno stato palestinese, promuovendo la nazione mediante l’UNESCO, e lo stato mediante l’ONU. Ma soprattutto lavorando per una visione positiva del futuro. E’ indispensabile uno stato palestinese vivo con tutti i prerequisiti. Ma altrettanto lo è un’immagine di una comunità con Israele, adesso autistico, forse in un processo di socio-suicidio, sempre più isolato. Con una cooperazione equa, reciproca empatia e sgombrando i traumi, il percorso sudafricano [sarebbe agibile].

Gli USA e Israele sono nati allo steso modo, come popolo eletto da Dio con terre promesse, e il ricorso al sociocidio e al genocidio (gli USA). Senza mutamento di politica possono entrambi declinare e cadere allo stesso modo. Magari fra poco.


Testimonianza per il Tribunale Russell sulla Palestina NewYorkCity, 7 ottobre 2012


EDITORIAL, 1 Aug 2022 | #756 | Prof. Johan Galtung – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

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