Trasformazione del conflitto per Ucraina e Russia

Jake Lynch

Tentare di risolvere un conflitto solo badando alla violenza diretta è una credenza errata realista, ci disse una volta Johan Galtung – come se le sue cause soggiacenti possano essere domate in modo semplice e permanente con l’uso della forza. Concentrarsi invece solamente sulla violenza strutturale – credendo che se si possano risolvere temi di formazione societaria e rapporti di potere, tali conflitti non avvengano mai – è una credenza errata marxista. E focalizzarsi esclusivamente sulla violenza culturale, nella Speranza che se gli antagonisti potessero arrivare a capirsi meglio smetterebbero di uccidersi, è una credenza errata liberale.

Invece, bisogna esplorare tutt’e tre le fonti di forza generativa – con i problemi diagnosticati, le prognosi fatte in base alle tendenze attuali se possono continuare, e le terapie appropriate concepite – se un conflitto dev’essere trasformato.

Che cosa comporterebbe ciò nel conflitto che coinvolge Russia e Ucraina? Dico ‘che coinvolge’ anziché ‘fra’ poiché molte altre parti vi sono implicate. In questo di Nuovo seguo l’insegnamento di Galtung: dovremmo curare gli obiettivi, i bisogni e gli interessi degli attori del conflitto nella gamma trasversale di un’ampia formazione geopolitica, non solo nell’arena dove ha luogo lo scambio di ostilità. È necessario affinché s’inverta l’invasione russa e non si veda alcun guadagno nell’averla fatta.  Viviamo in e con un Sistema di stati-nazione, intrinsecamente competitivo. In evoluzione con questo sistema, fin da quando ha tirato il primo fiato nel Trattato di Westfalia del 1648, ci sono sforzi di restringere e regolare la competizione mediante accordi.

Oggi, l’ONU è al centro di tali sforzi – motivo per cui è minaccioso quanto sia marginalizzato – e il suo Statuto chiaramente priva di legittimità le incursioni armate transconfinarie. Dev’essere mantenuto, oppure il principale influsso restrittivo e regolatore sugli stati cadrà in disuso. Dev’essere anzi rafforzato e applicato a violazioni di altri, comprese alcune ben note come l’invasione dell’Iraq e l’occupazione della Palestina.

La domanda è: che cosa si lascerà dietro questo? Il rischio per l’Ucraina è di essere lasciata in rovina. Ancora solo poche settimane fa il presidente Zelensky parlava dei contorni di un accordo: autonomia sostanziale per le province orientali; rinnovato status ufficiale per la lingua russa, e un impegno di non associarsi [alla NATO o equivalente]. Questo avrebbe potuto risolvere il conflitto, a si dimostrò impossibile da negoziare. In ogni caso, avrebbe lasciato un’eredità pericolosa.

John Paul Lederach punta alle dimensioni relazionali e strutturali, che esigono attenzione se un conflitto dev’essere non solo risolto ma trasformato. Ciò comporta guardare oltre la superficie o presentare tematiche di discordia. This entails looking beyond the surface or presenting issues of disagreement. In qualche modo, trent’anni dopo la caduta del comunismo, la Russia è testata il nemico. A tutti adesso si è rammentato di come il presidente Putin abbia richiesto due volte di associarsi alla NATO, solo per venire respinto. Questo avvenne dopo che fallì la visione di una nuova architettura di sicurezza per l’Europa, nonostante il sostegno di figure prominenti degli anni 1980, come il presidente di Francia Mitterand e ovviamente del campione del trascendimento nella guerra fredda, Mikhail Gorbachev.

Impresso a fuoco nel profondo dell’esperienza collettiva dei russi di oggi è il ricordo della catastrofe economica determinata dalla frettolosa imposizione di una versione estrema di capitalismo neoliberista. Fra le macerie lasciate dopo l’imperversare d’ispirazione occidentale a mo’ di boccia da demolizione contro lo stato sovietico, l’inflazione s’impennò a percentuali di varie migliaia. Funzionari imploravano gli stranieri di scucire qualche dollaro per comprare da mangiare per la famiglia, come rievoca Guy Standing, il rappresentante ILO a Mosca. L’aspettativa di vita precipitò, con la democrazia liberale incolpata e screditata per una generazione di russi.

La storia abbonda di echi di un momento precedente allorché una nazione sdrucciolò in una sconfitta storica – senza che la sua popolazione abbia mai davvero capito come e perché – e fu poi piombata in infima penuria e miseria, spianando il terreno al fascismo. Che è davvero l’unica designazione adeguata all’odierno regime cleptocratico molto centralizzato al Cremlino, con gli spazi restanti per i diritti umani adesso chiusi, come sottolineato dall’appello del mese scorso da parte della comunità patrocinante del paese per la nomina di uno Special Rapporteur ONU.

La deprimente sequenza dopo la Prima guerra mondiale condusse inesorabilmente alla Seconda, ovviamente, e a una seconda sconfitta per la Germania. Una sua ripetizione nel contesto di oggi dev’essere sicuramente evitata a tutti i costi. Ma volgiamo per il momento l’attenzione a quello che successe poi.

Quelle due conflagrazioni globali avevano al loro epicentro la rivalità di Germania e Francia, che presero le armi contro l’altra tre volte in 70 anni. Il ministro degli esteri francese Robert Schumann varò la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio precursora dell’UE – con le seguenti parole: “L’assiemarsi dei paesi d’Europa richiede l’eliminazione dell’antica opposizione di Francia e Germania… la solidarietà nella produzione così stabilita renderà chiaro che qualunque guerra fra Francia e Germania diventa non puramente impensabile, ma materialmente impossibile”. Questo nel 1950, quando stava nascendo una nuova generazione che finalmente avrebbe costretto, mediante le sollevazioni sociali dei decenni successivi, a una considerazione conclusiva in Germania e completato il processo di denazificazione. Che a sua volta permise la Vergangen-heitsbewältigung, la doma del passato, che comporta esaminare apertamente idee storiche nocive per metterle fuori uso.

Fu nella nuova struttura d’Europa che i vecchi rapporti finalmente si dissolsero e furono sostituiti; la violenza culturale fu esposta e superata, e la violenza diretta resa impensabile. Allora come sarebbero nuove strutture che permetterebbero nuove relazioni – per la Russia, l’Ucraina e una nuova Europa? E come potremmo arrivarci, senza un’altra guerra mondiale?

Dobbiamo ricordarci le infrazioni ai concetti di sicurezza della Russia che hanno provocato Putin a sferzare senza mezze misure. La NATO non doveva (non era intesa) espandersi verso est. Il concetto di province pretoriane è vecchio come l’antica Roma, e ha acquisito nuovo rilievo per Mosca un secolo fa quando le potenze capitaliste orchestrarono una campagna d’interventi armati contro la nuova rivoluzione bolscevica. La ‘grandezza’ russa ha formato un baluardo in secoli passata contro la tirannia di Napoleone (1812), degli Ottomani (1877-8), e ultimamente, ovvio, di Hitler. Come per la ‘grandezza’ britannica, però, nel mondo d’oggi è una minaccia e uno [stimolo allo] scompiglio; deve sparire – ed esser messa fuori uso. La nozione di una zona di legittima influenza sui destini di altri popoli è odiosa – come peraltro lo è nelle Americhe, con la dottrina Monroe perché non costruire sull’esistente Comunità degli Stati Indipendenti (CIS), formata nello spazio ex-sovietico alla caduta del comunismo? Nell’era imperiale, il potentato di San Pietroburgo era lo tsar di tutte le Russie, che governava ruvidamente sulle aspirazioni e identità regionali. La risposta precipitosa del presidente Clinton alle proposte di Putin fu che la Russia era troppo grossa per associarsi alla NATO. Forse lo è, come attualmente costituita, troppo grossa per accomodarsi nel sistema regolato degli stati-nazione?

Invece, potrebbero parti riluttanti della Russia attuale, come la Cecenia e il Tatarstan, staccarsi come membri indipendenti di un’unione economica e politica, centrata sulla CIS, che offrirebbe anche ospitalità al ‘quasi-estero’, comprese Ucraina e Georgia – entro una struttura di sovranità consortile e d’impegno alla pace? Questo è sicuramente una base più promettente per una sicurezza sostenibile.

La prosperità russa si basa grevemente sull’esportazione di petrolio e gas, e anche quelli dovranno sparire. Indipendentemente dalla provenienza, è stato molto irresponsabile da parte della cancelleria Merkel programmare nuove infrastrutture per idrocarburi da attivare nell’Europa degli anni 2020. Il gasdotto Nordstream Baltic messo in naftalina dev’essere rottamato definitivamente, a favore di un programma accelerato di decarbonizzazione.

L’economia russa avrà bisogno di investimenti massicci e prolungati per fare altrettanto, mirando a plasmare una socialdemocrazia stabile, con un ruolo per lo stato di socio, non dittatore, e un’adeguata provvidenza sociale. Non ci dev’essere alcun ‘trattamento shock’ ripetuto – e ci sarà bisogno di uno sforzo globale, guidato dalle Istituzioni Finanziarie Internazionali, per realizzare un risultato più benigno. Che potrebbe procedere in parallelo con i riallineamenti politici ipotizzati poc’anzi.

Tutto ciò per quanto attiene alla violenza culturale e strutturale. E adesso quella tosta: la violenza diretta. Siamo ormai addentro al copione neoconservatore per la guerra. È stato sagace da parte di Ali Abunimah cogliere il tono indecentemente gratificato di Hillary Clinton, nei primi tempi dell’invasione, per la prospettiva che questa diventasse il prossimo Afghanistan della Russia: una piaga cronica che indebolirà gradualmente un rivale strategico. Un parallelo più espressivo potrebbe essere il Vietnam.

La priorità per la pace è chiedere a Putin di ritirarsi, come fu per gli USA dall’Asia del sudest. Come allora, l’opposizione alla guerra, nazionale e internazionale, deve catalizzare esigenze più ampie di mutamento politico e sociale. Dobbiamo offrire solidarietà e abbondante comunicazione a sostegno a quei difensori russi dei diritti umani nel loro appello all’ONU, e ai patrocinatori di democrazia. A breve termine dobbiamo sperare che queste pressioni conducano a un ritiro russo al più presto possibile. Un po’ di quell’armamento fornito dall’Occidente in Ucraina potrebbe essere restituito. Poi, proprio come le riparazioni di guerra pretese a Versailles negli anni 1920 furono sostituite dagli aiuti del Piano Marshall a un’Europa devastata dopo il 1945, dobbiamo darci da fare affinché venga attuata una politica giusta, efficace, la prossima volta.

 

EDITORIAL, 20 Jun 2022 | #750 | Jake Lynch – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

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