Too Much Democracy, un film di Varrun Sukhraj

Daniela Bezzi

Le epiche proteste dei contadini dell’India in un film, Too Much Democracy, che verrà presentato domenica sera, 22 maggio, allo Spazio Comala di Torino

Too Much DemocracyEra solo l’anno scorso e sembra di evocare un tempo e un mondo ormai così lontano: quella lunga, epica, infinita protesta dei contadini dell’India, sempre nuova e imprevedibilmente in grado di aggregare nuove forze proprio quando sembrava sul punto di soccombere… Ed ecco arrivare ora anche a Torino (in contemporanea con l’anteprima di Mumbai, oh wow!) questo film, Too Much Democracy, frutto di centinaia di ore di girato in momenti diversi nell’arco di un intero anno di proteste, che il regista Varrun Sukhraj è riuscito a contenere nella misura di un’oretta e mezza, densissima di situazioni, interviste, colpi di scena, musica, rap, spari di lacrimogeni, spezzoni di TG che si alternano alle voci dei protagonisti – un film insomma non meno epico della situazione che documenta.

Di questa storia, che l’esperto di Affari Rurali P.Sainath (tra gli intervistati nel film) definisce “la più grande e fantastica protesta che si potesse immaginare in epoca di pandemia”, anche il Sereno Regis si è occupato in più occasioni, in particolare con un webinar dal titolo Trolley Times: Il tempo dei trattori, con contributi di Matteo Miavaldi e Maria Tavernini (giornalisti), di Harvinde Kapil Singh (filmmaker e ricercatore), oltre che di Elena Camino e della sottoscritta, che già da un certo tempo seguivano sulla News Letter l’evolversi della vicenda.

Era il 26 marzo e la protesta era già arrivata al quarto mese di ininiterrotto e oceanico sit-in in ben cinque diverse aree di accesso, alle porte di Delhi. Particolarmente affollati e partecipati i presidi che si erano sviluppati come vere e proprie cittadelle, per chilometri e chilometri, lungo le vie di accesso a Singhu e Gazhipur, dove la città confina con gli stati dell’Haryana e in particolare del Punjab, dove la protesta era cominciata fin dagli inizi dell’estate, in coincidenza con il passaggio delle tre ‘bad laws’ al Parlamento Indiano – bypassando completamente il dettato costituzionale che avrebbe previsto una giurisdizione stato per stato, e non dettata dal Governo centrale.

E proprio su questi aspetti si sofferma soprattutto il lavoro del regista, che non si limita al reportage sugli aspetti di straordinaria unità nelle diversità anche ideologiche – per non dire della mirabile resilienza, dell’organizzazione, delle cucine comunitarie – che hanno caratterizzato questo movimento; ma appunto riflette sulle debolezze, sul graduale e inesorabile svuotamento, di una democrazia cosiddetta rappresentativa, ridotta ormai a mortificante spettacolino, chiusa dentro un palazzo che è la tomba di qualsiasi confronto, in dialogo con la nazione attraverso media sempre più manipolatori e divisivi.

Il titolo dunque, Too Much Democracy, significa esattamente quel che dice e il suo esatto contrario: Too Much Democracy è stata infatti l’argomentazione anzi l’accusa, con cui l’establishment  di Narendra Modi ha cercato a un certo punto di guadagnare consensi presso la middle class urbana dell’India, nel tentativo di denigrare la straordinaria resistenza di questo movimento che perdurava mese dopo mese e addirittura cresceva, nonostante i colpi, le intemperie, il covid, le avversità esterne e persino interne. “Lo vedete cosa succede in un paese come il nostro, quando è troppo democratico? Succede che la gente se ne approfitta, questa storia è durata fin troppo e adesso … cosa dobbiamo fare, dovremmo mandare l’esercito, ma certo che sì, cosa aspettiamo a mandare l’esercito…” di questo tenore erano i dibattiti nei talk show dell’India, a commento delle proteste.

Opinioni che involontariamente riconoscevano alla mobilitazione degli agricoltori indiani la sua qualità più straordinaria: quella appunto di essersi fin dall’inizio consorziata in cartello, il Samyukt Kisan Morcha, rete quanto mai orizzontale di decine di organizzazioni e sindacati per niente omogenei fra di loro, anzi in alcuni casi agli antipodi per background e ideologia, in un nome di un superiore obiettivo comune: l’abrogazione delle famose tre ‘bad laws’ che avrebbero significato la fine del settore contadino indiano così come è attualmente strutturato (per lo più aziende familiari, di dimensioni medio piccole ma per lo più piccolissime), e la netta opposizione al progetto di corporatizzazione (leggi: assorbimento della miriade di piccoli produttori in funzione dalla massima centralità ed efficienza distributiva).

Un quadro, quello che il film di Varrun Sukhraj ci invita a guardare, in cui non è quindi difficile rispecchiare anche molte nostre contraddizioni: dalla situazione di Governo che sempre più vede anche il nostro Parlamento svuotato di qualsiasi autorevolezza e potere di consultazione, a un panorama-media sempre più incredibilmente ridotto a starnazzante pollaio. E da cui dovremmo però soprattutto trarre una grande lezione: l’Unione fa la Forza, restando Uniti prima o poi si Vince.

Perché così è stato per questa straordinaria mobilitazione del settore agricolo dell’India: a un anno esatto dai primi sit-in, un certo giorno di fine Novembre (ricordo con esattezza la data, era il 19 novembre), Narendra Modi è stato costretto a comunicare alla nazione che “dopo attente considerazioni, le tre contestate leggi verranno abrogate”.

Gli analisti più attenti fecero notare che la principale motivazione di questa decisione erano le elezioni che si sarebbero svolte di lì a poco in Uttar Pradesh e Punjab, tra gli stati principalmente colpiti dalle tre leggi – dove la protesta era infatti particolarmente forte e dove il BJP non poteva permettersi di perdere voti.

E le cronache delle ultime ore ci confermano che nessuna vittoria è mai al 100% definitiva. Le cronache registrano infatti da qualche giorno nuove proteste in quel di Chandigarh nel nord del Punjab, per rivendicazioni ancora una volta legate alla questione del ‘minimo garantito’ su varie derrate alimentari. E la piaga dei suicidi per debiti, non hai mai smesso di infierire: a decine sono morti nell’arco degli ultimi mesi, mentre eccezionali temperature di calore mettono a rischio i raccolti.

E quindi quanto mai imperdibile la visione di questo film, Domenica 22 maggio, dalle ore 20,30, al Comala.

Organizza l’Associazione Onlus Jarom, la cui attività è per lo più focalizzata sull’India tribale anche con viaggi e progetti di cooperazione, e che già in passato si è trovata a collaborare in più occasioni con il Sereno Regis per iniziative culturali legate all’India.


 

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