Guerra in Ucraina: le due vie

Angela Dogliotti
I segnali che arrivano dagli sviluppi della guerra in Ucraina – che si sta chiaramente rivelando sempre più come una guerra per procura tra USA/NATO e Federazione Russa – sono contrastanti e prefigurano due diverse vie di sviluppo della situazione.

Da una parte infatti si è delineata una prospettiva che punta alla «vittoria» dell’Ucraina e al contenimento (quando non alla sconfitta) di Putin, o addirittura al cambio di regime in Russia, come è emerso dall’incontro nella base statunitense di Ramstein in Germania che ha riunito, oltre ai 30 Paesi NATO, altri 14 Paesi da diverse parti del mondo – tra cui Ucraìna, Svezia, Finlandia, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Giordania, Israele, Marocco, Tunisia, Kenya…

In questa direzione si sono espressi sia il presidente Biden – che da tempo sta usando un linguaggio incompatibile con la possibilità di accedere a serie trattative diplomatiche con  il «macellaio» Putin, (come Biden ha definito il presidente russo) – sia Boris Johnson, che in un incontro rivolto al parlamento ucraino ha definito questo come il momento migliore per gli ucraini (!), che vinceranno la guerra contro le sovrastanti forze russe, come fece l’Inghilterra contro i nazisti.

È questa la strada della guerra infinita, che, pretendendo di difendere gli ucraini, si gioca sulla loro pelle «fino all’ultimo ucraino», con l’invio di armi sempre più pesanti e numerose (gli Stati Uniti hanno previsto 33 miliardi di dollari, il Regno Unito 300 milioni di sterline), scommettendo sulla vittoria e accettando il rischio dell’allargamento della guerra, fino a quella nucleare..

Lo scopo è quello di mantenere l’egemonia del mondo occidentale «democratico» USA/NATO, in concorrenza con l’emergere delle nuove potenze «autocratiche», in primis la Cina, garantendo gli attuali dis/equilibri mondiali.

Difficile non pensare a quanto questa prospettiva vada incontro ai concretissimi interessi del complesso militare industriale, nei confronti del cui potere di influenza mise in guardia persino il presidente degli Stati Uniti Dwight Eisenhower nel suo discorso di fine mandato, nel 1961…

Dall’altra parte stanno faticosamente emergendo segnali che vanno in una direzione diversa, basata sulla convinzione che «aiutare l’Ucraina vuol dire soprattutto lavorare per la pace». È questa l’espressione usata da Draghi nel suo discorso al Parlamento europeo. Vogliamo pensare che sia  una presa di posizione chiara a favore di una soluzione diplomatica della crisi, che parta dal cessate il fuoco e giunga a una negoziazione; con l’Unione Europea che giochi un ruolo di primo piano in questo percorso.

Nella stessa direzione il discorso di Mattarella al Consiglio d’Europa, nel quale ha affermato la necessità di «sforzi creativi» per perseguire la pace, «proporzionali ai pericoli che la minacciano»… Come ricorda Nadia Urbinati su «Domani»del 4 maggio 2022, anche l’autorevole filosofo Jurgen Habermas esprime grande preoccupazione per un allargamento della guerra in Europa e ritiene che quindi il modo migliore per aiutare l’Ucraina sia quello di fare di tutto per allontanare questo pericolo.

È la prospettiva che fin dall’inizio è stata avanzata dal movimento per la pace, convinto che la guerra non si ferma con altra guerra, ma assumendo una diverso approccio; un approccio che sia capace di affrontare i conflitti con gli strumenti della negoziazione e della diplomazia; e anche ripensando le relazioni internazionali secondo logiche di cooperazione e di rispetto dei principi di equità e giustizia nella distribuzione delle risorse e di sostenibilità ambientale nei rapporti tra società umane e natura.

Occorre continuare a premere dal basso su queste prime aperture che sembrano provenire anche dai vertici delle nostre istituzioni per dare forza all’unica strada percorribile per fermare la guerra e indirizzare le scelte finalmente  nella direzione della pace.

Per fare questo è necessario però anche invertire la tendenza all’aumento costante delle spese militari che producono instabilità e insicurezza, come dimostra il crescente numero di guerre e conflitti armati di questi ultimi anni; aumento che è avvenuto nonostante la disponibilità sempre maggiore di mezzi militari, anzi proprio grazie a questa disponibilità, in una fase storica travagliata da crisi di ogni tipo, pandemica, sociale, climatica,  che di tutto avrebbe bisogno fuorché di armi.

A questo proposito, dopo aver ricordato i 2113 miliardi di dollari spesi nel mondo nel 2021 secondo il rapporto SIPRI, Francesco Vignarca (coordinatore della Rete Italiana Pace e Disarmo), su «il Manifesto» del 28 aprile, presentava le quattro richieste specifiche per una politica di pace nel nostro Paese:

  1. una moratoria di almeno un anno sull’acquisto di nuovi sistemi d’arma (previsti 8,2 miliardi per il 2022);
  2. spostamento delle risorse risparmiate su welfare, scuola, sanità, maggiori iniziative umanitarie e di cooperazione a favore della popolazione ucraina e di tutti i civili coinvolti in conflitti;
  3. costituzione e finanziamento del Dipartimento della Difesa Civile non armata e nonviolenta come proposto dalla Campagna Un’altra difesa è possibile;
  4. completamento del progetto sperimentale dei Corpi Civili di Pace, che potrebbero contribuire a un mondo davvero più pacifico.

Abbandoniamo dunque il «pensiero magico», la credenza irrazionale che ritiene, contro ogni evidenza, che  le armi portino pace, la «lucida follia che sta conducendo l’umanità sull’orlo dell’ apocalisse nucleare» (Pasquale Pugliese, Comune.info, 1° maggio 2022).

A chi chiede ai pacifisti come pensano di fermare Putin senza armi, il direttore Tarquinio nell’editoriale di «Avvenire» del 3 maggio 2022, sostiene che è ora di rimandare la domanda al mittente: forse che le armi finora lo hanno fermato? Non sarà giunto il momento di percorrere un’altra strada, prima di precipitare dritti nella spirale di una guerra incontrollabile?

Nella stessa direzione il 4 maggio 2022, su «Avvenire» e «Il fatto quotidiano», è stata pubblicata una lettera a Papa Francesco sottoscritta da diversi intellettuali, giuristi e attivisti per la pace, con la richiesta di prendere un’iniziativa in prima persona per perseguire una  via diplomatica che fermi l’escalation della guerra. Si chiede al Papa: «Mandi un’ambasceria».

Ogni strada va tentata!


Guerra in Ucraina:  le due vie. Articolo di Angela Dogliotti

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