25 aprile: la festa più divisiva

Roberto Frittelli

di Roberto Frittelli


25 aprile
Giorgio AgostiCC BY-SA 2.5 IT, attraverso Wikimedia Commons

Ci risiamo. Ogni anno, al 25 aprile, la stessa storia. Come può un giorno come questo essere così divisivo, anche dopo 77 anni? Eppure la risposta a questa domanda, che all’apparenza sembra essere complicatissima, è in realtà semplice, se non banale come il male che l’ha generata. Il 25 aprile 1945 ci siamo liberati del nazi-fascismo, non dei nazi-fascisti. Se la si vede così, allora si capisce perché, anche quest’anno, saremo invasi da un mare di polemiche sulla legittimità di questa ricorrenza e soprattutto sulla sua imparzialità.

È soprattutto questo, infatti, il punto cruciale. Gli eredi spirituali di quello che fu il regime fascista (del quale sì, per fortuna, ci siamo liberati da quasi 80 anni), coloro che oggi appartengono ai vari movimenti e alle varie organizzazioni neo-fasciste e neo-naziste che sono presenti in Italia, sostengono con veemenza che questa non sia una festività nata per includere tutti. E hanno pienamente ragione. O meglio: non è la celebrazione in sé a tenere fuori dai festeggiamenti qualcuno in particolare, ma è piuttosto chi oggi sposa questa nuova ideologia post-fascista che non si riconosce in questa festa. Non potrebbe essere altrimenti.

In questa data si festeggia proprio la liberazione dall’occupazione nazista che è avvenuta in Italia tra il ‘43 e il ‘45, ma contestualmente si festeggia anche la caduta dell’ultimo baluardo del fascismo come istituzione, come apparato amministrativo più o meno riconosciuto, dopo 20 anni di dittatura.

La Festa della Liberazione (e quindi anche della libertà) viene quindi oggi tacciata di essere un qualcosa di oppressivo e di escludente, viene a crearsi una sorta di contraddizione. Questo ribaltamento di prospettiva, tipico tra l’altro dello stile comunicativo ereditato dal ventennio, cerca di far apparire come “vittima” chi si fa portavoce di idee estremiste che mirano all’esclusione e alla discriminazione delle minoranze, al classismo e alla violenza come mezzo per raggiungere i propri scopi, che siano legali o no. Allo stesso tempo cerca di far passare da “carnefice” chi invece ripudia la dittatura e l’oppressione e chi decide, ogni anno, di festeggiare la democrazia e la repubblica, la libertà di poter scegliere del proprio destino. Tutte cose che fino a quel 25 aprile 1945 erano negate da una manciata di uomini in camicia nera.

Da che parte stai?

In ogni caso, si tratta di una festa che nasce dalla divisione, politica, culturale e sociale che imperversava in Italia negli anni 40 del secolo scorso e che non può, per la sua storia, essere imparziale, non schierata. È una festa che fa dell’antifascismo il suo valore fondante e che pone chiunque davanti a una scelta, la stessa che in quegli anni hanno dovuto e voluto fare gli italiani che vivevano nei territori occupati dall’esercito nazista.

Quando si è chiamati a prendere una decisione, ci si deve schierare. E se negli anni ‘40 la scelta era tra fascismo e democrazia, oggi si tratta di una scelta diversa. Ripristinare il fascismo istituzionale del ventennio oggi è un’utopia (o meglio una distopia), sognata per lo più dai cosiddetti nostalgici. I giovani neo-fascisti non vogliono più quello, non cercano la partecipazione forzata delle masse e il doversi vestire tutti in camicia nera. Per loro si tratta di cercare una legittimazione ai valori che il fascismo incarna.

Quegli ideali populisti e nazionalisti che sono il rifugio perfetto per chi è in cerca un’identità forte che legittimi il suo essere “superiore” nei confronti degli altri. Il fascismo (inteso come ideologia), oggi come allora, è una risposta al disagio e all’insofferenza che le persone possono provare; è una cornice entro la quale riuscire a dare senso e significato alle cose negative che ci succedono nella vita. È la via più facile da seguire, perché semplifica la realtà anziché coglierne la complessità e per questo risulta avere una forte attrattiva per gli adolescenti che hanno un fisiologico bisogno di dare un senso alla realtà, anche a costo di sacrificarne le sfumature.

Radici

Cosa possiamo fare allora oggi? In che modo possiamo cercare di rendere veramente universale il 25 aprile? Forse anche questa è un’utopia, bellissima ma irrealizzabile. Certi valori come quelli fascisti, sono difficili da sradicare proprio perché hanno origini lontane (proprio quest’anno ricade il centennale della marcia su Roma del 27 Ottobre 1922). C’è però qualcosa che possiamo fare: riconoscere e puntare il dito verso coloro che ogni anno attaccano questa festa per farne un uso strumentale, verso quelle figure più o meno istituzionali che cercano di strizzare l’occhio alle frange più estremiste per ottenere da loro sostegno politico e partecipazione giovanile.

Perché qui sta il punto: a parte i neo-fascisti e i neo-nazisti dichiarati (come quelli che festeggiano ogni anno con un rituale pagano nei boschi, il compleanno di Hitler pochi giorni prima del 25 aprile), è difficile pensare che oggi ci sia qualcuno che rimpiange l’Italia occupata dall’esercito Nazista. Come spiegare allora gli attacchi dei politici alla festa che celebra la Liberazione? D’altronde sono gli stessi che si definiscono “sovranisti” e che sono contrari a ogni ingerenza europea nella politica nostrana. Mentre si battono affinché l’Europa non si intrometta nella politica interna, sembrano quasi rimpiangere un’occupazione militare straniera.

Ovviamente le cose non stanno così. Quando la politica si fa spalleggiare dalle frange più estreme, ottiene supporto offrendo in cambio legittimità alle azioni violente compiute dai militanti (il caso di Macerata di qualche anno fa è eclatante in questo senso). Si viene a creare, in pratica, quel cortocircuito che ci ha portato, 100 anni fa, verso un ventennio nero come la notte.


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