Stop The War Now …esserci

Gianni D'Elia

di Gianni D’Elia


3800 km è la distanza, andata e ritorno, di Stop The War Now, da Torino a Leopoli, un po’ di più per i luoghi più colpiti.

È la distanza tra i nostri divani, le televisioni, i social media, le analisi, le discussioni e il cuore della nuova guerra in Europa.

5 sono stati i giorni dell’iniziativa, tutto compreso.

60 sono stati i furgoni in movimento per quei km, provenienti da tante parti d’Italia.

20 circa, le tonnellate di generi alimentari, prodotti igienici e sanitari caricati sui 60 furgoni e scaricati il 2 aprile alla Caritas di Leopoli.

100 circa, le organizzazioni promotrici: laiche e cattoliche, piccole grandi, storiche o di più recente costituzione.

225 i partecipanti alla Carovana. Da Torino con 9 persone con 4 furgoni di cui uno si è fermato a portare materiale in un campo profughi in Polonia: i volontari di Acmos, di AMMP e del Centro Studi Sereno Regis / Mir.

Una è l’organizzazione che ha ispirato l’iniziativa, l’Associazione Papa Giovanni XXXIII presente con due attivisti a Leopoli già fin dai primi giorni dell’invasione del governo russo, e attualmente a Kiev.

300 circa i profughi evacuati dall’Ucraina e portati in Italia in famiglie ospitanti o presso centri di accoglienza. A Torino abbiamo portato 14 persone: anziani, due donne sole con 2 bambini con sindrome di down, tre ragazzini. Sono stati collocati dalla protezione civile presso il nuovo complesso Drosso, una struttura che potrà ospitare 200 profughi. Se questa collocazione è buona lo vedremo con il passare del tempo e dipenderà anche dalla capacità di seguire i percorsi delle persone ospiti.

2 gli allarmi aerei. Uno poco prima della visita alla stazione in cui la gente ha continuato tranquillamente a fare le sue cose per strada ed un altro nella notte prima della partenza in cui ci è stato chiesto dalla palestra, di scendere nei sotterranei del Seminario. Ci hanno spiegato che quando suona la sirena vuol dire che un missile è partito. Esso poi può essere intercettato oppure cadere lontano dal luogo in cui c’è stato l’allarme.

Ma al di là dei numeri dell’iniziativa, pur importanti, vorrei fare un paio di considerazioni sulla Carovana.

Il cuore e la caratterizzazione di questa iniziativa penso sia stata la possibilità di evacuare un così gran numero di persone dalle zone più colpite come Mariupol o sotto assedio come Dniepro.

Leopoli, lo abbiamo visto nella visita alla stazione il 2 aprile, è un crocevia di profughi in esodo verso zone interne dell’Ucraina, o verso la Polonia o la Moldavia che, con la Romania, sono i maggiori paesi ospitanti. Circa 5 milioni di persone si sono spostate in poco più di un mese. Basta questo dato per capire l’assurdità della guerra. Lo sappiamo, nelle guerre di questo secolo e in molte di quello precedente, a essere colpiti sono soprattutto i civili.

Nel seminario di Leopoli, la mattina del 2 aprile è convenuta una massa di persone dolenti: anziani in carrozzina o con le stampelle, donne sole con bambini piccolissimi, bambini disabili anche molto gravi. Non vuol dire che siano stati resi disabili dalla guerra, non lo sappiamo, ma immaginiamo cosa vuol dire per loro, uno spostamento dalle loro case, dalle loro abitudini, dai loro affetti.

Questo è stato uno dei significati più alti della presenza a Leopoli e cioè, essere vicini a chi subisce violenza e terrore, tentare di farsi carico del loro bisogno di sicurezza.

Dagli sguardi delle persone in fuga, dai loro bagagli, dalla presenza di qualche animale domestico, dalla loro fatica nello spostamento, si intuisce tutto il male che provoca questa guerra come tutte le guerre. La condizione ora di questi profughi, come di tutti quelli morti in questi anni o bloccati sulle diverse frontiere, sono l’atto di accusa più forte al sistema neoliberista, capitalista o come lo si voglia chiamare. Che questo sistema sia democratico o autocratico o dittatoriale cambia poco dal punto di vista della produzione di disuguaglianze, da quello dell’aumento continuo delle spese militari per la difesa del sistema stesso, per la predazione di risorse a danno dei paesi più deboli, per i crimini ambientali e climatici.

Nell’assemblea del 2 aprile in cui sono intervenuti: l’ambasciatore italiano che insieme a quello francese è stato l’ultimo a spostare l’ambasciata da Kiev a Leopoli, il vescovo locale ortodosso, il rappresentante del sindaco, un sacerdote Orionino e una rappresentante della piattaforma locale dell’educazione. È stata decritta la situazione tragica in cui versa la popolazione soprattutto in alcune aree del paese e le iniziative locali e italiane a favore della popolazione ucraina.

È riecheggiata più volte la parola “vittoria” contro l’aggressore, da parte del vescovo e del rappresentante del sindaco. Ora che scrivo, mi vengono in mente le parole di papa Francesco: «Vittoria di che, di chi? Può essere considerata una vittoria per qualunque parte, quella ottenuta su di un cumulo di macerie?».

La camminata per la pace in centro città nel pomeriggio del 2 aprile è stata una bella dimostrazione di volontà di pace anche nel momento finale in cerchio, in cui hanno preso parola alcune delle organizzazioni presenti. Forse questa manifestazione poteva essere costruita insieme a coloro di Leopoli che contrastano la soluzione armata contro l’aggressore per ricercare una via nonviolenta. Rilevo tuttavia, che l’iniziativa è stata costruita in tempi record e l’organizzazione dell’evacuazione di profughi immagino abbia richiesto il maggior impegno.

Questa iniziativa, con la sua originalità, è nel solco di tutti gli interventi di presenza realizzati in tanti anni dalla società civile: movimenti nonviolenti, ONG, associazioni ecc.

Per averne consapevolezza e un quadro esauriente, basta leggere il quaderno 7 di Satyagraha dal titolo Il peace-keeping non armato a cura di Martina Pignatti Morano.

Per concludere, penso sia difficile entrare nel merito di come uno Nazione con il suo popolo, si debba difendere di fronte ad un’aggressione. Ogni governo, con l’assenso più o meno consapevole dei cittadini, sceglie per diversi motivi, il modo in cui resistere.  

La via più impervia e che tuttavia, ha luminosi precedenti storici, è quella di immaginare e tentare di costruire ogni giorno la possibilità di difese alternative, di resistere in modo non armato e nonviolento. Si può sottrarre potere al più forte perché, il dittatore di turno, non potrà mai ottenere la nostra collaborazione fino in fondo se noi non lo vogliamo.

A chi sbraita dai giornali o dalle tv che non abbiamo soluzioni e che l’unica via è armarsi di più e intervenire con gli eserciti, chiediamo: quale pace effettiva si è realizzata o si sta realizzando in Afghanistan, in Iraq, in Siria o nei Balcani? E perché mai l’autodeterminazione che giustamente si rivendica per l’Ucraina, non si deve rivendicare per la Palestina che un’occupazione feroce la subisce da 70 anni? E perché l’Arabia Saudita può fare quello che vuole in Yemen? 

I movimenti nonviolenti, i corpi civili di pace, la cooperazione internazionale, i sindacati, le associazioni pacifiste e ambientaliste sono presenti in tante parti del mondo in modo attivo e non armato per difendere i diritti dei più deboli, per promuovere partecipazione e processi di liberazione, per difendere la terra, l’acqua e l’aria dalle aggressioni. Questo è il nostro modo di esserci.

http://www.difesacivilenonviolenta.org/


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