Possiamo salvare il mondo prima di cena

Cinzia Picchioni

Jonathan Safran Foer, Possiamo salvare il mondo prima di cena, Guanda, Milano 2019, pp. 318, € 13,00

Le pagine effettive del libro sono in verità 314, ma nelle ultime c’è qualcosa da considerare: l’informazione su un altro libro importante, anzi direi indispensabile, per capire meglio quello presentato oggi, oltre 10 anni dopo. Se avete tempo – e voglia – vi suggerisco di leggerne la recensione:

Possiamo salvare il mondo prima di cena

La copertina del libro

Ma veniamo alla proposta di Jonathan Safran Foer contenuta in questo libro. Che vuol dire il titolo? Vuol dire che l’autore, sulla scia di ciò che aveva scoperto a suo tempo sugli allevamenti intensivi (e che ha riportato fedelmente in Se niente importa), ha pensato che può esserci un modo alternativo per salvare il mondo anche senza diventare vegetariani totalmente (come invece ha fatto lui dopo aver conosciuto l’orrore degli allevamenti intensivi). Eccolo, in risposta ad alcune domande:

«Ma come fa una persona a monitorare i propri consumi?

Niente prodotti animali prima di cena. Non porterà esattamente alla riduzione necessaria, ma grossomodo ci si avvicina, ed è facile da ricordare.

Ed è facile da fare?

[…] Sarebbe ingenuo oltre che controproducente fingere che passare a un’alimentazione a base interamente vegetale prima di cena non richieda alcuni aggiustamenti. Ma scommetto che alla maggior parte delle persone, che ripensano ai pasti migliori che hanno fatto negli ultimi anni – quelli più piacevoli dal punto di vista gastronomico e sociale, quelli più significativi dal punto di vista culturale o religioso – vengono in mente quasi esclusivamente delle cene», pp. 190.

«Lascia che ti ponga una domanda: qual è il contrario di lasciare le luci accese nelle stanze vuote, comprare elettrodomestici poco efficienti e tenere accesa l’aria condizionata anche quando non c’è nessuno in casa?

Essere attenti al consumo di energia?

E qual è il contrario di prendere la macchina per andare dappertutto, senza tener conto della distanza o della comodità dei mezzi pubblici?

Essere attenti nell’uso della macchina?

Qual è il contrario di mangiare molta carne, latticini e uova?

Essere vegano.

No. Il contrario di mangiare molti prodotti di origine animale è essere attenti alla frequenza con cui si mangiano prodotti di origine animale. Il modo migliore per sottrarsi a una scelta impegnativa è far finta che le opzioni siano solo due», 170.

Ecco perché Foer ha scelto di scrivere questo libro e usare questo titolo. Se pensiamo di diventare vegani ci spaventiamo e non facciamo nulla. Se invece pensiamo solo di non mangiare prodotti animali fino a cena cambia tutto. È una cosa che vediamo possibile da subito. Perché non ci viene richiesta una rinuncia totale (non mangiare più prodotti animali), ma una rinuncia temporale (non mangiare più prodotti animali fino all’ora di cena). Si tratta solo di spostare il momento… potrebbe essere geniale.

Disputa con l’anima

Domande come quelle qui sopra – e molte altre così – sono racchiuse in una delle parti più belle del libro, verso la fine. Nel IV capitolo, intitolato Disputa con l’anima, l’autore «si fa» delle domande cui tenta di rispondere. Il tutto è meravigliosamente umile e utile. Umile perché la disputa comincia con un «non so» (ripetuto per una decina di volte lungo il testo) e prosegue nell’intenzione di imparare, rispondendo alle domande, risolvendo i dubbi, senza certezze granitiche; utile perché le domande sono le stesse che tutti e tutte noi ci poniamo sulla faccenda «cambiamento climatico» e su «cosa posso fare io?»:

«Ho passato due anni a scrivere questo libro, cercando di convincere quante più persone possibile a cambiare vita. Non conta? Non è sufficiente. Che cosa sarebbe sufficiente? Cambiare la tua vita. Lo so. Ma? Non so. Cosa c’è da non sapere? C’è qualcosa di più narcisistico dell’idea che le tue scelte vadano a toccare tutti gli altri?», p. 165.

Vorrei che fosse ancora vivo Giorgio Gaber, e che trasformasse questa Disputa in una pièce teatrale delle sue, geniali a suo tempo come sarebbero oggi. Qualcuno se la sente?

Nuove malattie, vecchie abitudini

Oh che bello scoprire che non sono pazza (a non avere nemmeno un cellulare, altro che smartphone per fotografare la pizza!!!). Che bello scoprire che alcuni studiosi hanno chiamato «selfite cronica» la sindrome di dover scattarsi una foto e caricarla sui social-media – ogni giorno 93milioni di selfie scattati e caricati almeno 6 volte al giorno; e sono solo gli utenti Android! E poi l’automobile, altra questione che mi mette in crisi e/o mi fa ricevere parole come: «Ma tu sei troppo radicale!»: auto: sì, no, ibrida? Qualunque sia la scelta, non basta!

«È senz’altro vero che una macchina ibrida consuma meno di una tradizionale macchina a benzina. Ma essenzialmente queste sono cose che ci fanno sentire meglio. E può essere pericoloso sentirsi meglio quando le cose non vanno meglio», p. 46. «[…] sul totale delle emissioni prodotte da un individuo quelle dovute alla sua auto non costituiscono più del 20 percento. Anche riuscire a vivere senza macchina […] sarebbe solo un inizio. Bisogna usare la macchina molto meno, ma bisogna fare anche molto altro. Troppo spesso, la sensazione di dare un contributo importante non corrisponde al reale valore di quel contributo, e anzi, l’eccessiva soddisfazione per il risultato ottenuto può alleviare l’onere di dover fare cò di cui c’è reale bisogno», p. 47.

Come mai in un libro che parla di cene troviamo riflessioni sull’auto e sui selfie? Perché l’autore cerca di motivare anche ecologicamente la scelta di non mangiare prodotti animali. Se, per esempio, il discorso compassionevole non trova spazio nella nostra emotività (ci piace troppo la mortadella!), accetteremo di ridurre il consumo di prodotti di origine animale – solo fino all’ora di cena! – conoscendo aspetti più ambientali, ecologici, che riguardano il pianeta. Come questi.

Lo sapevate che…?

Scandalo all’ombra (degli allevamenti intensivi) «A livello globale, l’umanità sfrutta il 59 percento di tutta la terra coltivabile per crescere foraggio per il bestiame. Un terzo di tutta l’acqua potabile usata dall’uomo è destinata al bestiame, mentre un trentesimo appena è utilizzata nelle case. Il 70 percento degli antibiotici prodotti nel mondo sono utilizzati per il bestiame, e riducono l’efficacia degli antibiotici nel curare le malattie umane. il 60 percento di tutti i mammiferi presenti sulla Terra sono animali allevati a scopi alimentari. Sul pianeta ci sono all’incirca trenta animali allevati per ogni essere umano», p. 93.

Lo so, lo so, è difficile credere che possa servire a qualcosa non mangiare cibi animali prima di cena per salvare il pianeta dal disastro… ma forse accumulando dati – come Foer ha fatto per noi che leggiamo… – e soprattutto leggendo numeri, oltreché ipotesi…

Lo sapevate che…? (2)

Come ovviare allo scandalo «Possiamo considerare la nostra atmosfera come un budget e le nostre emissioni come le spese: metano e protossido di azoto sul breve periodo costituiscono spese in gas serra nettamente maggiori alla CO2, quindi sono quelli che è più urgente tagliare. Dato che a produrli sono soprattutto le nostre scelte alimentari, sono anche i più facili da tagliare», p. 102 più… «Il protossido di azoto è emesso dall’urina del bestiame, dal letame e dai fertilizzanti usati per coltivare il foraggio. Il bestiame è la fonte principale delle emissioni di protossido di azoto. L’allevamento è la causa principale della deforestazione», p. 107 più… «[…] i ricercatori del Worldwatch Institute hanno stimato che il bestiame è responsabile di 32.564 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 all’anno, ovvero del 51 percento dele emissioni globali annue – più di tutte le macchine, gli aerei, i palazzi, gli impianti nucleari e l’industria messi insieme. Non sappiamo con certezza se l’allevamento sia una dele cause principali dei cambiamenti climatici oppure la causa principale dei cambiamenti climatici. Sappiamo con certezza che non possiamo occuparci dei cambiamenti climatici senza occuparci dell’allevamento degli animali», p. 108-109.

Il colibrì non fuma

Questo strano sottotitolo mi serve per ricordare la famosa «favola» africana del colibrì e dell’incendio, ricordate? C’è un incendio, tutti scappano, anche il leone, e vede un colibrì fare avanti e indietro col becco pieno d’acqua raccolta in uno stagno lì vicino. Il leone gli chiede cosa stia facendo, giacché è inutile a spegnere l’incendio; e il colibrì risponde «faccio la mia parte». Il che significa che se ognuno facesse la sua parte forse… Ed ecco il punto di vista di Foer sull’argomento:

«A innescare i cambiamenti sociali, proprio come i cambiamenti climatici, sono una molteplicità di reazioni a catena simultanee. […] Non si può attribuire un uragano, una siccità o un incendio a un singolo fattore, esattamente come non si può attribuire a un singolo fattore il minore consumo di sigarette, eppure in tutti i casi ogni fattore ha avuto una sua importanza. Quando serve un cambiamento radicale, molti sostengono che sia impossibile indurlo attraverso azioni individuali, per cui è inutile provarci. È vero invece l’esatto contrario: l’impotenza dell’azione individuale è la ragione per cui tutti devono provarci», p. 62.

Le ultime cose sono quelle che ricordiamo di più

Lo affermano gli esperti che studiano le leggi della comunicazione. Dunque ecco due piccoli «riassunti» dell’intero libro presentato in questa settimana, così forse ce ne ricorderemo almeno uno:

«Cambiare il nostro modo di mangiare non sarà sufficiente di per sé a salvare il pianeta, ma non possiamo salvare il pianeta senza cambiare il nostro modo di mangiare», p. 110.
«Le quattro cose di maggiore impatto che un individuo può fare per contrastare il mutamento climatico sono: avere un’alimentazione a base vegetale, evitare di viaggiare in aereo, vivere senza macchina e fare meno figli», p. 111.

Jonathan Safran Foer

Jonathan Safran Foer (Washington, 21 febbraio 1977), scrittore e saggista, è figlio di Albert Foer, avvocato e presidente dell’American Antitrust Institute, e di Esther Safran Foer, figlia di sopravvissuti all’olocausto in Polonia. Ha frequentato la Princeton University. Nel 1999 si è spostato in Ucraina per fare ricerche sulla vita di suo nonno. Nonostante non l’avesse programmato, questo viaggio ispirò il suo romanzo d’esordio, intitolato Ogni cosa è illuminata (Guanda 2002), da cui nel 2005 è stato tratto l’omonimo film [m-e-r-a-v-i-g-l-i-o-s-o!. Nota mia]. Di Foer, Guanda ha anche pubblicato Molto forte, incredibilmente vicino (2005), Se niente importa (2010), Eccomi (2016).

Questo libro è un trattato di filosofia, oltreché una proposta operativa da applicare subito. Perciò ne ho scritto questa appassionata recensione, citandone alcuni passaggi indispensabili per comprenderne il carattere e coglierne il messaggio. Per continuare a leggere puoi trasferirti a questo link:


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