Negoziare la pace in Ucraina sùbito!

Negoziare la pace in Ucraina sùbito!

Richard E. Rubenstein

Tutti i contendenti in questo conflitto stanno procurando dolore. I costi in vite umane e sofferenze stanno aumentando: bisogna negoziare la pace in Ucraina sùbito!

Durante la settimana scorsa il presidente USA Joe Biden è stato Europa a “radunare” le nazioni della NATO. Ha promesso d’intensificare le sanzioni economiche alla Russia, di mandare all’Ucraina più d’un miliardo di dollari in assistenza umanitaria, e di continuare a rifornire le forze militari ucraine di armi usate finora per uccidere approssimativamente diecimila soldati russi. Gran parte delle fonti d’informazione in USA ed Europa continuano ad attribuire le difficoltà militari russe in Ucraina – interessante – alla propria incompetenza o all’eroismo ucraino, ma di rado alle armi high-tech per 3,2 miliardi di dollari che gli USA hanno inviato a Kyiv dal 2014.

Joe Biden, ovviamente, è un architetto di quest’alleanza di fatto occidentale con l’Ucraina. Quale sia in fondo il suo gioco, nessuno lo sa. Forse il presidente pensa che l’Ucraina possa respingere l’aggressione russa e vincere la guerra. O magari crede che un costoso punto morto militare costringerà alla fine Vladimir Putin ad accettare una composizione negoziale svantaggiosa. In ambo i casi, la politica USA è indebolire la Russia finanziando una guerra d’attrito che sta mutando l’Ucraina in un deserto sopito e una trappola mortale per ucraini e russi. Continuare la lotta moltiplicherà inevitabilmente questa distruzione – a meno che, ovviamente, i russi decidano di sfuggire alla trappola portando in gioco armi ancor più distruttive, o attaccando le vie di rifornimento usate per trasportare materiale militare all’Ucraina.

Se avrà luogo una tale escalation – non voglia il cielo! – l’Occidente continuerà a negare responsabilità per la violenza. L’idea sottostante sembra essere che poiché Putin ha cominciato questa guerra invadendo un paese vicino, è responsabile di tutti i danni successivi inflitti dall’uno l’altro versante agli ucraini. Lui dev’essere punito per il suo comportamento, non essere interfaccia di negoziato o accattivato, in modo che non marci sulle repubbliche baltiche e le nazioni est-europee come Adolf Hitler che si divorò la Polonia.   L’analogia della 2^ Guerra mondiale incombe greve su tutto questo dramma. L’Occidente pretende di vedere Putin come replica di Hitler e il Donbass come i suoi Sudeti. Il leader russo chiama il regime di Kiev “nazista”, senza dubbio rievocando non solo le milizie neonaziste che sostennero la ribellione ucraina del 2014 ma il gran numero di ucraini antisovietici che acclamarono l’invasione tedesca del 1941.

Superfluo dire che queste analogie sono sbagliate. In Ucraina ci sono neonazisti attivi, ma il regime Zelensky non è nazista. Dal canto suo, Putin può di certo comportarsi da violento, ma è un nazionalista conservatore che mira a restaurare la sicurezza e l’orgoglio russi, non un pazzo intento alla conquista del mondo e allo sterminio dei popoli “inferiori”.

L’analogia persiste, tuttavia. Fra gli occidentali serve a vari scopi, compreso fornire ragioni per continuare a ignorare i fattori che hanno indotto i dirigenti russi ad agire aggressivamente. Se Putin è il novello Hitler, le sue supposte preoccupazioni per la sicurezza devono essere considerate fasulle come l’ossessione del Führer per la “cospirazione giudaica internazionale”. Analogamente, gli occidentali convinti che Putin sia puramente maligno possono far cadere le obiezioni russe alla vasta espansione della NATO e all’installazione di basi missilistiche in Polonia e Romania; possono ignorare le preoccupazioni per il rovesciamento di un governo eletto a Kyiv da parte di forze sostenute dagli USA e l’uccisione di migliaia di separatisti del Donbass da parte del nuovo regime; e possono vedere il leader russo come un assatanato imperialista, non riconoscendo per nulla che gli Stati Uniti e l’Europa insieme costituiscono l’alleanza imperiale più potente della storia umana.

I fattori storici che motivano l’insicurezza e il comportamento violento russi sono chiaramente rilevanti per l’attuale situazione. Non forniscono scuse accettabili per invader un’altra nazione, ma puntano nella direzione di una responsabilità condivisa per il tragico conflitto in Ucraina. Tale percezione è una chiave a possibili negoziati di pace. Il conflitto in Ucraina è una Guerra che deve finire in una pace negoziata, o non deve? Ma se questo è vero, quale lo scopo di prolungarla e intensificarla? Non bastano 3 milioni di rifugiati?

Questi sono alcuni dei pensieri che hanno suggerito ai membri del collegio docenti della Jimmy and Rosalynn Carter School per la Pace e la Risoluzione dei Conflitti di radunare un gruppo di specialisti e studiosi di affari esteri la settimana scorsa al Point of View, il centro ricerche e convegni della Scuola, per considerare altri approcci a questo conflitto orrendamente distruttivo. Alla chiusura delle discussioni, si è proposto il seguente appello alle parti in conflitto in Ucraina:

Negoziare la pace in Ucraina sùbito!

Tutti i contendenti in questo conflitto stanno procurando dolore. I costi in vite umane e sofferenze stanno aumentando e gli effetti dannosi del conflitto vanno per il mondo in onde corrucciate. È quanto mai tempo che le parti concordino un’immediata e completa cessazione delle ostilità. Continuare il combattimento moltiplica inevitabilmente il danno e comporta rischi crescenti che si possano usare armi nucleari o altre di distruzione di massa.

Come il Segretario Generale ONU, crediamo che adesso esistano condizioni per negoziare un accordo soddisfacente per tutte e parti in gioco, che dovrebbero pertanto accingersi a negoziare st un accordo di pace completo senza precondizioni.   

Ci appelliamo alla comunità internazionale affinché sostenga la pace così come emergerà, offrendo supporto umanitario, di sviluppo e di costruzione della pace per il processo di recupero a lungo termine. 

Inoltre è imperativo che tutti gli Stati Partecipanti all’OCSE s’impegnino a una revisione integrale dell’architettura securitaria esistente. Tale revisione dovrebbe iniziare immediatamente mirando ad aggiornare l’Atto Finale di Helsinki e altri accordi di sicurezza al prossimo 50° Anniversario dell’OCSE a Helsinki nel 2025.  

Fra i firmatari di questa dichiarazione (il cui elenco sta crescendo rapidamente) ci sono ex-ambasciatori e ufficiali di politica estera degli USA, funzionari di organizzazioni internazionali, mediatori e negoziatori d’esperienza, studiosi-praticanti accademici, e altri che si potrebbero ragionevolmente considerare persone pratiche, realiste. Pur così, molti lettori dell’appello rispondono dichiarando l’appello irrealistico in base alla premessa che “Putin non negozierà mai” o “Non si può negoziare con dittatori come Putin”. Quest’obiezione viene spesso fatta congiunta ad affermazioni che il leader russo non sia un calcolatore razionale degli interessi nazionali del suo paese bensì un folle ideologo di destra ossessionato dal riportare l’impero russo alla sua grandezza che fu ai tempi degli zar.

Gli specialisti di risoluzione dei conflitti riconosceranno immediatamente queste obiezioni come tipiche delle parti in conflitto che abbiano demonizzato il proprio avversario e santificato la propria causa, e che credano di poter vincere continuando una lotta violenta. Essi riconoscono pure che questi atteggiamenti riflettono la tipica sindrome aggressore/difensore in cui ogni versante, avendo perso fiducia nella buona fede dell’altro, considera la propria posizione puramente difensiva e quella dell’avversario puramente aggressiva. Le vittime di trauma storici sono particolarmente incline a cadere preda di questa sindrome, che si erge spesso ad ostacolo alla risoluzione del conflitto.

I partecipanti alla tavola rotonda presso la Scuola Carter hanno fatto presenti questi problemi. E hanno anche trattato come soddisfare al meglio il desiderio dell’Ucraina d’autonomia e indipendenza rispondendo intanto creativamente ai legittimi bisogni di sicurezza della Russia e agli interessi di altre parti regionali. Il convegno ha discordato su molti punti, ma su tre temi l’accordo è stato chiaro:

Primo, la guerra d’attrito in Ucraina deve finire e devono cominciare prestissimo se non immediatamente negoziati di pace. L’aumento costante di sofferenze umane  e il potenziale del conflitto di diffondersi e coinvolgere armi di distruzione di massa rende intollerabile la continuazione della guerra. 

Secondo, non c’è alcunché che renda questo conflitto intrinsecamente insolubile, Al contrario, ben noti principi e precedenti suggeriscono un’ampia varietà di termini di ricomposizione alternativi una volta iniziati seri negoziati.

Terzo, un accordo di pace fra parti in conflitto dev’essere seguito immediatamente da un processo a più parti mirato a soddisfare i bisogni di tutti gli interessati a una pace giusta e sostenibile nella regione russo-europea. 

La nostra unanime conclusione: E’ più che ora di seri negoziati di pace in Ucraina.

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Dichiarazione di punto di vista sul conflitto in Ucraina: Negoziare la Pace sùbito!

23 Mar 2022 – Peace and Conflict Resolution scholars and foreign affairs practitioners convened at the Jimmy and Rosalynn Carter School’s Point of View research and retreat facility in Mason Neck, Virginia issued the following appeal to the conflicting parties in Ukraine:

All parties to this conflict are now hurting.  The costs in human life and suffering are mounting and the damaging effects of the conflict are rippling around the world.  It is high time for the parties to agree to an immediate and complete cessation of hostilities.  Continuing the struggle inevitably multiplies the damage and poses increasing risks that nuclear weapons or other weapons of mass destruction may be used.

Along with the U.N. Secretary General, we believe that conditions now exist for negotiating an agreement acceptable to all parties.  The parties should therefore set about negotiating a comprehensive peace agreement with no preconditions.

We call on the international community to support peace as it emerges, offering humanitarian, development, and peacebuilding support for the long-term process of recovery.

In addition, it is imperative that all OSCE Participating States commit to a throughgoing review of the existing security architecture.  This review should begin immediately with a view to updating the Helsinki Final Act and other security agreements at the OSCE’s forthcoming 50th Anniversary in Helsinki in 2025.

Signatories are listed below.  Others are invited to join the statement and to distribute it freely.  For further information, please contact University Prof. Richard E. Rubenstein at [email protected].

John M. Evans
Former U.S. Ambassador to Armenia

Jeffrey Sachs
University Professor at Columbia University

Jack F. Matlock, Jr.
U.S. Ambassador to the USSR, 1987-91

Richard Falk
Professor of International Studies, Emeritus, Princeton University

Alpasian Ozerdem
Dean, Jimmy and Rosalynn Carter School for Peace and Conflict Resolution, George Mason University

Christopher R. Mitchell
Professor Emeritus, Jimmy and Rosalynn Carter School for Peace and Conflict Resolution, George Mason University

Susan H. Allen
Director, Center for Peacemaking Practice, George Mason University

Richard E. Rubenstein
University Professor, Jimmy and Rosalynn Carter School for Peace and Conflict Resolution, George Mason University

Karina Korostelina
Professor, Jimmy and Rosalynn Carter School for Peace and Conflict Resolution, George Mason University

Sergey Utkin

Leading Researcher, Primakov Institute of World Economy and International Relations Russian Academy of Sciences

Daniel Rothbart
Professor, Jimmy and Rosalynn Carter School for Peace and Conflict Resolution, George Mason University

Prabha Sankaranarayan
President and CEO, Mediators Beyond Borders International

Hugh DeSantis
Former career office, U.S. State Department, Author

Sara Cobb
Professor, Jimmy and Rosalynn Carter School for Peace and Conflict Resolution, George Mason University

Dr. Margarita Tadevosyan
Research Assistant Professor
Jimmy and Rosalynn Carter School for Peace and Conflict Resolution, George Mason University

Ivan Kislenko
Fulbright Scholar

Alex van Oss
(Former) Coordinator, Caucasus Area Studies, Foreign Service Institute

Michael Shank
Adjunct Professor at New York University’s Center for Global Affairs and George Mason University’s Carter School for Peace and Conflict Resolution

Dr. Lara Olson
Consultant, Peacebuilding and Conflict Sensitive Development
Research Fellow, Centre for Military, Security and Strategic Studies (CMSS), University of Calgary, Canada

David Carment
Professor of International Affairs, Fellow, Institute for Peace and Diplomacy, University of Calgary

Cynthia Lazaroff
Founder and Director, Women Transforming Our Nuclear Legacy

Omar Grech
Director, Centre for the Study and Practice of Conflict Resolution, University of Malta

Rene Wadlow
President, Association of World Citizens

Kevin Avruch
Henry Hart Rice Professor of Conflict Resolution Emeritus
Professor of Anthropology Emeritus, George Mason University

Peggy Mason
Former Canadian Ambassador for Disarmament to the United Nations
Current President of the Rideau Institute

Antonio Carlos da Silva Rosa, M.A.
Editor, Transcend Media Service

Jake Lynch
Associate Professor, Peace and Conflict Studies, The University of Sydney

Diane Perlman
U.S. Convener, TRANSCEND-A Peace Development Environment Network

John Scales Avery
Shared the 1995 Nobel Peace Prize for organizing the Pugwash Conferences on Science and World Affairs; Professor Emeritus at the University of Copenhagen, Denmark

Michael Loadenthal
Executive Director, The Peace and Justice Association

Jeremy Wildeman
Adjunct Professor, Adjunct Professor at the School of Indigenous and Canadian Studies, Carleton University; and in International Development Studies, Trent University


EDITORIAL, 28 Mar 2022 | #738 |Richard E. Rubenstein – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


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