Economia morale

Giorgio Barazza

Rendi visibile il futuro è il 4° apprendimento che Johan Galtung, quando presenta la Giornata internazionale della nonviolenza all’assemblea dell’ONU, trae dalle lotte per l’indipendenza dal colonialismo inglese da parte del movimento di liberazione nazionale e direzione gandhiana. Cosa vogliono costruire dal punto di vista economico sociale i principali attori della guerra Russo-Ucraina? Compresi quelli che non vogliono farsi vedere… Quale progetto costruttivo sta dietro a questo conflitto armato? Non certamene un’economia morale: ecco l’insegnamento delle classi popolari inglesi del XVIII secolo raccontato dallo storico inglese Edward Thompson.


L’economia morale. Dalle lotte per il cibo del ‘700 in Inghilterra emerge una cultura alternativa allo sviluppo capitalistico

Dall’introduzione (Filippo de Vivo)

Economia morale. La copertina del libro

Per qualche tempo sono coesistenti nella realtà dell’Inghilterra del ‘700 due modelli economici antitetici. Quello paternalista codificato dalla legislazione [1] cinquecentesca Tudor e a lungo praticato dalle autorità durante le carestie, proteggeva il consumatore obbligando i produttori a vendere tutto o una parte del loro grano localmente attraverso il mercato al dettaglio, con o senza un prezzo fisso, era un modo per impedire la speculazione da parte di intermediari professionisti. Già nel ‘600 cominciò ad affermarsi un modello opposto basato sull’autoregolamentazione del mercato e sul non-intervento dello Stato.

Fino al 1770 le autorità regolavano il mercato del grano sostenute da una visione morale dell’economia. Per le élite essa stava dentro una visione paternalistica della società (assicurare il minimo di sussistenza al povero per ottenere la sua ubbidienza) e di pregiudizi sociali contro la nuova ricchezza di commercianti e speculatori. Per la gente comune l’economia morale nasceva da identità e costumi locali fortemente caratterizzati dalla coltivazione e dalla produzione del pane, dalla diffidenza verso ogni innovazione commerciale e dal sospetto atavico nei confronti del mugnaio adulteratore e imbroglione.

Le rivolte si rivelavano come azioni disciplinate, seguivano lo stesso copione in ogni parte del paese. Il loro obiettivo non era il saccheggio ma la fissazione dei prezzi del grano poi regolarmente corrisposto ai produttori, misure tradizionali che la folla chiedeva alle autorità di applicare. I tumulti erano un modo per applicare la legge, non per sovvertirla, spesso la folla costringeva le autorità ad assistere alle sollevazioni. Il tumulto non era violenza irrazionale ma un negoziato sofisticato con le autorità e i detentori del grano.

Attraverso queste lotte si capisce come la folla faceva propri alcuni principi delle élite, ma incitando alla rivolta ne rovesciava l’essenza paternalistica. Le popolazioni che si trovavano in posizioni subalterne dimostrano che attraverso queste lotte sono protagoniste di azioni politiche, dettate da una precisa visione dei rapporti sociali, dei compiti del governo e della legittimità dell’azione collettiva. Le azioni e i rituali della folla influenzavano le scelte, il pensiero, la stessa capacità di azione delle autorità. Se i tumulti servivano a resistere ai soprusi dei potenti, la minaccia stessa di tumulto permetteva di impedire quei soprusi prima ancora che si compissero.

Dal testo (Edward P. Thompson)

Ma come funzionava il modello paternalistico del processo produttivo e della compra-vendita? Questo modello viveva nel corpo della legge statutaria, nel costume, nel diritto consuetudinario. Guidò fino al 1770 le azioni del governo nei periodi di emergenza, in base ad esso la vendita doveva essere il più possibile diretta [2], dal produttore al consumatore. Gli agricoltori dovevano vendere il frumento all’ingrosso al locale mercato pubblico, non potevano venderlo quando non era ancora stato raccolto, né imboscarlo nella speranza che i prezzi salissero.

I mercati dovevano essere controllati: nessuna vendita poteva essere effettuata prima del termine stabilito, segnato dal suono di una campana; il povero doveva avere la possibilità di comprare per primo granaglie, farina di frumento o altri cereali, in piccole quantità, con l’uso di pesi e misure debitamente controllati. E soltanto quando i bisogni dei poveri erano stati soddisfatti si doveva suonare un’altra campana e i grandi commercianti [3] (regolarmente autorizzati) potevano iniziare i loro acquisti. I mugnai e ancora di più i fornai venivano considerate persone al servizio della comunità, che lavoravano non per il profitto ma in cambio di un’equa ricompensa [4]. La presenza dell’agricoltore al mercato è parte concreta dei suoi doveri.

In quasi tutte la azioni di piazza del XVIII secolo è possibile individuare delle nozioni di legittimità. Il comportamento degli uomini e delle donne della folla è guidato dalla comune convinzione di difendere diritti e costumi tradizionali, e più in generale dalla convinzione di godere della più ampia approvazione della comunità (terze parti).

Certe volte il consenso era così evidente da annullare ogni motivo di paura e deferenza. Questi moti per il pane costituivano una forma di azione popolare, diretta, strutturata, avente obiettivi precisi. I moti erano scatenati dall’alzarsi dei prezzi, dalla fame dagli abusi dei negozianti.

Ma queste rimostranze agivano all’interno della concezione popolare che definiva la legittimità dei modi di esercitare il commercio, la molitura del frumento, la preparazione del pane, ecc…. Questa concezione a sua volta era radicata in una consolidata visione tradizionale degli obblighi e delle norme sociali, delle corrette funzioni economiche delle rispettive parti all’interno della comunità, che nel loro insieme costituivano l’economia morale del povero.

Nel XVIII secolo il conflitto tra città e campagna si manifestava sul problema del prezzo del pane e quello tra tradizionalismo e nuova economia politica era incentrato sulle leggi del grano. Cereali, carne e lana erano i prodotti su cui si stavano formando le fortune delle classi capitalistiche. I primi due dovevano essere smerciati senza troppi passaggi intermedi a milioni di consumatori.

Poteva succedere che pezzi di popolazione improvvisamente insorgevano nei mercati per imporre il prezzo dei generi alimentari a livelli popolari.

  • Oltre 300 cittadini avevano giurato di ritenersi impegnati l’uno verso l’altro per la distruzione dei mercanti provvisti di carri a cui veniva concesso di ripulire il mercato di ogni cosa cosicché gli abitanti devono andare dai negozianti al dettaglio;
  • La folla distrusse i macchinari di un mugnaio, il quale aveva smesso di rifornire di farina la comunità locale da quando aveva un contratto con il Dipartimento di approvvigionamento della marina per produrre gallette da marinai;
  • I rivoltosi obbligarono i mercanti a vendere il frumento a 4 soldi al “bushel”, non solo a loro ma anche ai fornai, dove essi stessi controllavano il peso e il prezzo del pane;
  • In molte parti le guardie e le truppe regolari sorvegliarono le vendite “politiche”, mentre gli ufficiali guardavano ostentatamente dall’altra parte.

Agli agricoltori non interessava più soddisfare le piccole ordinazioni dei poveri. Erano giunti al punto di evitare il mercato e di trattare sulle porte delle loro case con grossisti e altri “intrallazzatori”. Portavano un solo carico al mercato pubblico locale per fare mostra di essere presenti al mercato e praticare un prezzo stabilito, mentre in realtà i loro affari principali li facevano con piccole quantità di frumento nascoste nella borsa o nel fazzoletto chiamate campioni. Un pamphlet di quei tempi (1768) si scaglia contro la pretesa libertà degli agricoltori di disporre come gli pare dei propri prodotti in quanto sarebbe una libertà “naturale” e non “civile”.

Da quando i mugnai cominciarono a dedicarsi di più al commercio e si diedero a macinare grano per proprio conto per vendere la farina ai fornai, essi ebbero sempre meno tempo per i piccoli clienti che si presentavano con uno o due sacchi di grano spigolato.

L’economia morale delle masse rompeva in modo decisivo con la concezione paternalistica; l’etica popolare approvava il ricorso all’azione diretta da parte della folla, mentre i valori dell’ordine alla base del modello paternalista ne determinavano una condanna recisa. L’economia dei poveri aveva ancora un carattere locale e regionale derivando da un’economia di sussistenza.

Edward P. Thompson [5], Economia morale, Et al. edizioni, Milano 2009

Scheda a cura di Giorgio Barazza


Note

[1] Le misure di emergenza per i periodi di carestia (dal 1580 e 1630) erano codificate nel “Book of order

[2] Oggi diremmo vendita a km 0

[3] Durante il regno di Edoardo VI leggi codificate erano state adottate contro l’accaparramento, l’incetta e il monopolio. Ad esempio non si potevano comprare – e gli agricoltori vendere – su campione, raccolti non mietuti). Il mediatore rimase una figura sospetta a livello legale per buona parte del XVIII secolo

[4] Si possono trovare forme analoghe oggi nelle esperienze delle Associative economic e delle Community agricultural support

[5] E. Thompson (1924-1993) storico, protagonista della sinistra radicale, leader della campagna europea per il disarmo nucleare sviluppa una interpretazione dei tumulti alimentari dell’Inghilterra del ‘700 da cui emerge che dietro i tumulti per il cibo c’era una precisa visione della società, che veniva resa visibile attraverso la lotta. Questa modalità di lotta che “RENDE VISIBILE IL FUTURO SE LO SI VUOLE REALIZZARE”  corrisponde al 4° apprendimento che Johan Galtung ricava dalla lotta nonviolenta diretta da Gandhi contro il colonialismo inglese in India, quando presenta la Giornata internazionale della nonviolenza (2 ottobre) all’assemblea dell’ONU. Questo apprendimento è molto simile a quello che nelle lotte nonviolente si definisce PROGETTO COSTRUTTIVO.

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