Covid-19 e razzismo

Vanessa Maher

di Vanessa Maher


Covid-19 e razzismo
Photo by Marliese Streefland on Unsplash

Un articolo su The Guardian di Gary Younge, recentemente nominato professore di Sociologia presso l’Università di Manchester, mette in comunicazione due temi attuali, spesso trattati separatamente: Covid-19 e razzismo. Nonostante la diversità dei contesti tenterò di rendere queste riflessioni pertinenti per un pubblico italiano.

Younge parte da una manifestazione a Londra di Black Lives Matter nel giugno 2020 dopo l’uccisione a Minneapolis di George Floyd, una guardia giurata afroamericano, da parte di un’agente di polizia. Alla manifestazione parteciparono più di mille persone con i loro bambini, chiamate solo da un messaggio via Facebook. Non si conoscevano, compirono diversi gesti rituali e poi si dispersero senza che qualcuno pensasse di raccogliere i loro nomi o organizzare eventuali iniziative future.

Prima e dopo quest’evento, istituzioni, musei, partiti politici, calciatori, mass media e case editrici furono contagiati globalmente dal “virus antirazzista”; come se tutti, anche se non erano coinvolti direttamente, avessero qualche sentore del problema.

Sembrava nuovo ma non era successo niente di nuovo. Per molti, non c’era niente di nuovo nella morte di afroamericani, né nell’esperienza del razzismo, che persisteva allo stesso modo da decenni.

Nel Regno Unito, per fini burocratici si chiede alla popolazione di collocarsi in una di 18 categorie, chiamate ethnic groups (scorrettamente secondo qualsiasi antropologo). Fra queste, alcune sono nere, classificate come Black and Asian Minorities [i] e altre bianche (inglesi, irlandesi o “altro”). Un quarto degli appartenenti alle cosiddette minoranze etniche, secondo un’inchiesta governativa, ha subito molte discriminazioni razziste; circa metà ritiene che la sua carriera ne sia stata ostacolata.

La protesta londinese marcava la persistenza istituzionale del razzismo e la mancanza di implementazione delle raccomandazioni di più commissioni governative. Nel 2017 c’era stato la Lammy Review (sulla discriminazione razziale nel sistema giudiziario penale)  e ancora la McGregor-Smith Review (sul razzismo nei luoghi di lavoro), nel 2019 la Timpson Review (sull’esclusione scolastica).

Che anche la salute delle Black and Asian minorities fosse minacciata dal razzismo strutturale insito nell’organizzazione sociale e nelle istituzioni, risultava fin dai primi mesi della pandemia quando il tasso di mortalità fra persone nere o sud asiatiche era da 2.5 a 4.3 volte quello della popolazione bianca, una volta scontati tutti gli altri fattori.

Più tardi si trovavano spesso fra i malati gravi, dove il Covid si innestava su condizioni di salute precarie, malattie cardiache, dei reni e diabete. Ci sono diverse ragioni per queste cifre: contesti abitativi degradati, alti tassi di povertà e disoccupazione, case affollate, abitate da più generazioni. Conta anche il fatto che queste persone svolgono lavori a contatto con il pubblico, in ospedali e case di cura, guidando taxi o facendo le consegne a domicilio.

I primi dieci medici a morire di Covid-19 erano tutti neri. Non ci fu una cospirazione a far morire più neri. Le politiche messe a punto da diversi governi avevano già preparato il terreno. Le “politiche dell’ambiente ostile” introdotte nel 2012 per contrastare l’immigrazione “clandestina”, avevano creato un clima sempre più teso e conflittuale. Le misure “contro l’immigrazione” avevano finito per intrappolare molte altre persone. Una numerosa popolazione caraibica, insediata nella Gran Bretagna da quaranta o cinquant’anni, perse improvvisamente tutti i diritti civili, compreso quello di risiedere nel paese dove aveva vissutoquasi sempre [ii].   

Una delle cause della cattiva salute dei Black e Asian Minorities sembra essere il fatto che il razzismo strutturale permei addirittura il Servizio Nazionale per la Salute (NHS). Lo aveva scoperto la “Race Disparity Unit” istituita dal governo May. Il governo Johnson sciolse l’ente e nominò una commissione diretto da Tony Sewell, una delle diverse presenze “simboliche” nel governo. Nel suo report (2021) sostenne la tesi che il sistema sanitario non fosse razzista. La conclusione fu criticata dal Race and Health Observatory dello stesso NHS che commissionò una nuova indagine sotto la leadership dell’Università di Manchester. L’inchiesta ha potuto avvalersi di 178 documenti già disponibili nei 10 anni precedenti.

Nel rapporto di 166 pagine si legge «le disuguaglianze etniche negli esiti sanitari sono evidenti in ogni fase della vita, dalla nascita alla morte». Questi esiti sono dovuti «al razzismo strutturale, istituzionale e interpersonale». Si manifestano;

  • in cure non appropriate, di cattiva qualità o discriminatorie;
  • nella mancanza di dati sull’etnicità negli archivi dell’NHS;
  • nell’assenza di informazione e di interpreti per i pazienti;
  • nel ritardo di questi nel cercare aiuto per paura di comportamenti razzisti da parte del personale.

I disturbi psicologici, diffusi fra uomini e donne, hanno più probabilità di ricevere cure se sei bianco.

Gary Younge propone che si organizzino degli incontri nelle città principali su diversi temi- istruzione, salute, occupazione, immigrazione, cultura- fuori dai partiti, per raccogliere dati e testimonianze sul modello del Windrush report, coinvolgendo intellettuali come lo storico David Olusoga, il documentarista Steve Mcqueen, scrittori e scrittrici per costruire una documentazione che renda visibile l’esperienza anche amministrativa dei partecipanti e coinvolga un pubblico più vasto.

Sia il sistema sanitario inglese sia quello italiano si ispirano a principi universalistici. Ma, nel concreto, tutti e due arrivano a risultati discriminatori, per politiche che sembrano intese a frenare l’immigrazione ma che intrappolano la popolazione immigrata in pastoie burocratiche contraddittorie, fra permessi di soggiorno e regolarizzazioni e che rendono difficile l’ottenimento di una tessera sanitaria anche temporanea. Diventa problematico l’accesso alle cure del sistema statale e fondamentale l’apporto del terzo settore. Infatti, i rapporti sulle condizioni di salute e l’impatto del Covid sugli immigrati provengono in gran parte dal terzo settore o da associazioni professionali.

Ecco qualche esempio

http://www.centroastalli.it/il-tavolo-asilo-e-immigrazione-e-il-tavolo-immigrazione-e-salute-scrivono-al-ministro-speranza-una-campagna-vaccinale-per-le-persone-migranti-o-in-condizioni-di-marginalita-sociale/

http://healthy-workplaces.eu/it/media-centre/news/europes-migrant-workers-face-higher-exposure-both-covid-19-and-msds

http://www.simmweb.it/advo/tavoli-immigrazione-e-salute/

http://www.migrantes.it/category/aree-di-attivita/ricerca-e-documentazione/

Inoltre, vedi anche il volume curato da Caritas-Migrantes, Oxfam-Italia, Comunità Sant’Egidio, Dossier Idos e Tavola Valdese, Laboratorio per i diritti fondamentali, Compagnia di San Paolo, Almaterra, Salute e donne rifugiate, riflessioni da un focus group, Torino 2017.


Anche se non si parla in Italia di minoranze etniche o ambiente ostile, le politiche sull’immigrazione impediscono l’esercizio di diritti civili, anche acquisiti, a molte persone da anni residenti in Italia, rendendole vulnerabili allo sfruttamento e alla marginalizzazione sociale, con conseguenze gravi per la loro salute e di quella delle loro famiglie.

Secondo il rapporto Caritas Migrantes (2021) rispetto al 2020 la popolazione immigrata si presenta più povera (26.7 dei nuclei a confronto di 6% di quelli italiani) più disoccupata (13% contro 8.7% degli italiani) con una riduzione ampia degli occupati (60%) doppia nel caso delle donne, specie negli alberghi, ristoranti e servizi. La popolazione straniera è diminuita dai 5.350.000 nel 2020 a 5.065.000 nel 2021. Dall’inizio della pandemia fino a marzo 2021 ci sono stati ufficialmente 165.000 contagi da Covid-19 sul lavoro fra stranieri; 69% donne e 31% uomini con un’età media di 46 anni, provenienti dalla Romania, Perù, Albania, Moldavia, Ecuador. Molte svolgevano lavori domestici nelle famiglie italiane.

Secondo l’INAIL i decessi sul lavoro sono aumentati di 27,6% dall’anno precedente (da 1.205 a 1.538) e oltre un terzo dei suddetti decessi fu causato da Covid-19. Dei 1.538 esiti mortali, 224 hanno riguardato cittadini stranieri (14,6%) e, in particolare (70% dei casi), cittadini extracomunitari.

Ma fra quelli che lavorano in nero come braccianti agricoli, operai edili, raider o addette alle pulizie, vivendo in condizioni degradate e lavorando senza protezione né acqua, non si riescono a contare i contagiati e le vittime. A influire sul tasso di contagi e di decessi è il ritardo nella vaccinazione. Nella programmazione delle somministrazioni gli immigrati non sono stati previsti, se non teoricamente quelli vulnerabili nella salute.

La mancanza di tessera sanitaria ha escluso molti dalla prenotazione nelle sedi regionali. La minore copertura vaccinale tra le persone nate all’estero rispetto a quelle nate in Italia è del 50% contro il 60% degli autoctoni (a marzo 2021), ancora più marcata negli adolescenti e nei giovani adulti (12-29 anni di età. 15% nei nati all’estero e 28% nei nati in Italia) e permane nella fascia di età 30-49 anni (41% contro 49%)”. In Europa solo 10% dei Rom sono vaccinati. In Italia, abbiamo a che fare con un assetto sociale e politico molto diverso da quello britannico, ma i dati e le indagini inglesi ci interrogano sul rapporto fra disuguaglianze sociali, condizioni di salute e accesso alle cure sanitarie e il ruolo del razzismo strutturale nell’esacerbare le differenze.


Note

[i] Il 14% circa della popolazione. La maggior parte gode in teoria di diritti di cittadinanza, ma molti hanno ricevuto permessi di soggiorno limitati e altri ancora sono irregolari.

[ii] I primi lavoratori e le prime lavoratrici erano in gran parte qualificati, arrivati nel secondo dopoguerra su invito del governo britannico come cittadini del Regno Unito e del Commonwealth nel 1948 per “ricostruire” la madre-patria  Non sono stati registrati e nel corso delle successive ridefinizioni  della nazionalità,  alla loro insaputa sono rimasti senza “prove” della loro cittadinanza.  La scoperta del loro trattamento è chiamata The Windrush Scandal  dal nome della nave che li trasportò. Il Ministro degli Interni (Home secretary) si dimise e una commissione governativa fece raccomandazioni (2021) non ancora implementate.


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