ENI: incongruenze, emissioni e greenwashing

Simone Napoli

di Simone Napoli


ENI
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Lunedì 14 febbraio 2022 associazioni ambientaliste e movimenti hanno presentato all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OSCE), una denuncia sull’inadeguatezza dei piani ENI nell’affrontare l’emergenza climatica. Hanno deciso di presentarsi davanti al Punto di Contatto Nazionale (PCN) dell’OSCE per dare il via a un atto formale nei confronti della oil company italiana. L’obiettivo è quello di denunciare le incongruenze dei suoi piani climatici.

Le organizzazioni promotrici sono la Rete Legalità per il clima, A Sud, Forum Ambientalista, Generazioni Future – Cooperativa di mutuo soccorso, Fridays For Future, Extinction Rebellion Milano, Per il clima fuori dal fossile, Emergenzaclimatica.it, Europa Verde, Greens/ALE al Parlamento Europeo, Diritto Diretto. A preparare l’istanza sono stati i giuristi della Rete Legalità per il Clima, tra i primi promotori dell’iniziativa. Nel luglio scorso avevano inviato a ENI una diffida con cui veniva posto l’accento sulla necessità di riconsiderare il piano industriale alla luce della raccomandazioni formulate dall’ Intergovernamental Panel on Climate Change (IPCC) circa la necessità di una rapida riduzione dei gas serra rilasciati in atmosfera.

A ENI viene contestato il fatto che il piano strategico non prevede un sufficiente taglio delle emissioni nei prossimi anni, la mancanza di una valutazione di impatto climatico delle attività di impresa, assenza di informazioni trasparenti ed adeguate e la mancata elaborazione di un piano di prevenzione e mitigazione dei rischi, come previsto dalle Linee Guida dell’OSCE.

Le Linee Guida dell’OSCE sono raccomandazioni rivolte dai governi nazionali alle imprese multinazionali che fissano una pluralità di principi, conformi alle norme riconosciute a livello internazionale, volti a individuare la condotta responsabile delle imprese.

Tra questi principi vi è il rispetto dell’ambiente, la tutela dei diritti umani, il dovere di trasparenza nelle informazioni e la necessità di adeguare la propria attività alle conoscenze scientifiche più avanzate. Le imprese, per poter assolvere alle Linee Guida, devono identificare precisamente gli impatti negativi, effettivi e potenziali, della propria attività. Devono individuare la concreta attuazione delle misure di prevenzione e di mitigazione degli impatti negativi emersi dalla valutazione del rischio. Devono provvedere all’informazione del pubblico in merito ai risultati della valutazione del rischio di impatti negativi, delle strategie adottate per prevenirli ovvero mitigarli e degli effetti assortiti.

La Rete Legalità per il Clima, il 26 luglio 2021, aveva già diffidato ENI invitandola a riconsiderare il piano industriale, in quanto esso prevede: un incremento di emissioni nei prossimi tre anni; un taglio di emissioni non in linea con gli scenari individuati dalla comunità scientifica per rispettare i target di lungo termine previsti dall’Accordo di Parigi, ai quali ENI ha dichiarato di volersi impegnare a rispettare gli obiettivi; una serie di soluzioni, controverse, rivolte solo alla neutralizzazione delle emissioni e non alla stabilizzazione del sistema climatico, come il processo di cattura e stoccaggio di CO2 o la produzione di idrogeno blu. In rapporto a ciò, il piano industriale della società non prevede un’adeguata valutazione degli impatti dell’attività svolta sull’emergenza climatica in atto.

ENI ha replicato alla diffida affermando di essere all’avanguardia nella lotta ai cambiamenti climatici, senza tuttavia fornire un’adeguata informazione in merito. Il rifiuto da parte di ENI di produrre un’analisi seria dei rischi climatici connessi alla propria attività, collegato all’evidente volontà di pianificare l’attività per i prossimi anni come se non ci fosse l’emergenza climatica, integra gli estremi di una condotta non responsabile, oltre a violare i principi di trasparenza e corretta informazione e anche diversi principi sostanziali sanciti dalle Linee Guida OSCE. Queste Linee Guida prevedono che, nell’ipotesi in cui un’impresa multinazionale adotti una condotta contraria ai principi prima richiamati, è possibile rivolgersi  al Punto di Contatto Nazionale, incardinato in ogni Stato aderente all’OSCE.

Questa procedura di diffida, avviata presso il PCN dell’OSCE, è una procedura di mediazione. Il PCN valuta l’istanza e ne dichiara l’ammissibilità, e se accettata apre una procedura di mediazione tra le parti con lo scopo di avvicinarle e offrire una soluzione concordata alla problematica insorta. Di conseguenza, non si tratta di un ricorso ad un’autorità giudiziaria, ma un meccanismo volontaristico, che termina con una pronuncia pubblica da parte del PCN.

In Italia, il PCN è incardinato nel MISE. Ciò, nel caso specifico, pone qualche perplessità ai promotori dell’iniziativa. Poiché, l’organismo che dovrebbe valutare imparzialmente le Linee Guida da parte delle imprese è gestito dal Ministero che si occupa di tutelarne lo sviluppo. Inoltre, ENI è un’impresa controllata dallo Stato, e il MISE si trova in una indubbia situazione di potenziale conflitto di interessi.

Nonostante ciò, i promotori ritengono che la procedura delineata dalle Linee Guida dell’OSCE, se perseguita in modo corretto e trasparente, possa offrire uno strumento realmente efficace per affrontare una questione cosi complessa. L’avvio di questa procedura mira ad aprire una discussione tesa a individuare e mettere in atto le strategie e gli strumenti più idonei per abbattere le emissioni climalteranti. L’obiettivo è la piena tutela dei diritti umani minacciati dai comportamenti dell’azienda.

Alcuni portavoce dei gruppi promotori della diffida affermano che ENI, nonostante continui a parlare e proporre come marchio di fabbrica il greenwashing, rimane saldamente il primo emettitore italiano di gas serra ed è circa al trentesimo posto a livello mondiale, e a ciò si deve aggiungere che lo Stato italiano possiede più del 30% delle azioni di ENI. Per i promotori è quindi molto importante riconoscere le responsabilità delle imprese petrolifere visto che sono i principali responsabili dell’emergenza climatica. Ritengono inoltre che lo Stato detenendo quote azionarie di ENI dovrebbe orientarne il piano strategico verso un’ottica di abbandono delle estrazioni, che sono ancora in crescita, e non invece  permettere all’azienda di condizionare le politiche energetiche nazionali.

I promotori si dicono molto preoccupati per le strategie industriali di ENI per i prossimi anni, perché ritengono sia palese l’impossibilità del rispetto degli Accordi di Parigi con un piano che prevede un incremento annuo di quantità di oil&gas estratti.

Il presidente del gruppo Verdi/ALE al Parlamento Europeo, Philippe Lamberts, aggiunge: “ENI ha dichiarato spontaneamente di volersi impegnare a rispettare gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi attraverso la firma del Paris Pledge for Action. Nonostante il dichiarato impegno dell’azienda petrolifera italiana in ambito climatico, il piano industriale prevede un incremento del 4% annuo della quantità di oil&gas estratto nei successivi tre anni, un trend di riduzione delle emissioni non in linea con gli scenari individuati dalla comunità scientifica per rispettare i target di lungo termine previsti dall’Accordo di Parigi e il ricorso a tecniche controverse e inefficaci, come il CCS (processo di cattura e stoccaggio di CO2) o la produzione di idrogeno blu. Proposte che di fatto risultano essere solo diversivi dell’efficacia non dimostrata, piuttosto che soluzioni concrete al problema delle emissioni”.

La decisione del PCN, che in caso di accettazione avvia la procedura di mediazione, è deliberata entro 30 giorni dalla ricezione dell’istanza. Se ENI non accettasse di aderire alla procedura la partita, oltre che tornare nel campo della denuncia pubblica, potrebbe spostarsi anche sul piano giudiziario. Sono sempre più, infatti, a livello globale, le azioni legali climatiche intentate contro compagnie dell’energia fossile. La vittoria contro Shell in Olanda, condannata nel 2021 a ridurre le emissioni del 45% entro il 2030, ha finalmente aperto una strada verso un doveroso riconoscimento delle responsabilità climatiche nel settore privato.


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