Giorgio Bert: un ricordo

Enzo Ferrara

Giorgio Bert, medico cardiologo e internista, assiduo scrittore, di origini Valdesi delle valli Chisone e Germanasca in Piemonte, è scomparso sabato 29 gennaio 2022. Nato a Torino nel 1933, dopo aver lavorato a Londra come immunologo, si distinse come libero docente di Semeiotica medica (lo studio dei sintomi delle malattie) e come direttore del Laboratorio di immunologia clinica dell’Istituto di Patologia medica all’Università di Torino. Abbandonò la ricerca scientifica “pura” nel 1970 per dedicarsi a problemi di metodologia clinica e sperimentazioni di didattiche della medicina “alternative” a quella convenzionale.

Grazie alle sue intuizioni sulle potenzialità terapeutiche di un sano ed equilibrato rapporto fra medico e paziente, Giorgio Bert è stato in Italia uno dei principali precursori della medicina sociale, contribuendo all’affermazione di pratiche curative interessate all’umanità dei pazienti e ai loro diritti e bisogni.

Fu stretto collaboratore di Giulio Alfredo Maccacaro con cui partecipò sia all’avventura redazionale del nuovo “Sapere” – rivista diretta da Maccacaro dal 1974 al 1977 – sia alla cura della collana “Medicina e Potere” voluta da Giangiacomo Feltrinelli, per la quale firmò due volumi: “Il medico immaginario e il malato per forza” (1974), che metteva in discussione l’intera logica medica interna alla struttura universitaria e ospedaliera, e “Medicina sociale. Manuale per assistenti sociali e operatori sanitari di base” (1981), finalizzato all’attenzione dei rapporti tra salute e ambiente, intendendo quest’ultimo nella sua accezione più ampia naturale e socioculturale.

È stato autore di numerosi testi di metodologia clinica attenti alla situazione del malato, come “Medicina Narrativa” (Il pensiero Scientifico, Roma 2007), e direttore del semestrale “La Parola e la Cura”. Grazie anche alla fondazione a Torino dell’Istituto Change per una “Ecologia delle comunicazioni nei sistemi umani”, e della rete della Slow Medicine, si è dedicato negli ultimi decenni allo studio delle relazioni fra medico e paziente e all’insegnamento della pratica del counselling (intervento professionale basato sulle abilità di comunicazione e di relazione), fondamentale in ambito sanitario per una relazione terapeutica efficace, tenendo conto dei mutamenti introdotti dalle tecnologie, dall’emergenza di nuovi malesseri socio-sanitari, dai nuovi problemi etici e deontologici.

“La medicina narrativa – sosteneva – non è una disciplina ma un atteggiamento”. La sua opera va intesa come una mappa per la scoperta del mondo del paziente, un territorio vasto e sovente ignoto alla medicina, che se esplorato può cambiare, oltre al modo di operare, l’atteggiamento stesso del medico verso i concetti di salute e malattia.

Per assonanza con l’esortazione a mantenere sempre uno sguardo bifocale sul mondo, espresso da André Trocmé nel libro Jésus-Christ et la révolution non violente – disponibile in inglese sul sito della casa editrice battista Plough – abbiamo scelto di ricordare Giorgio con un suo contributo uscito su Lo Straniero n. 57, marzo 2005: “La scommessa sul cambiamento” per ricordare a sua volta l’amico medico Giulio Maccacaro e l’esperienza della rivista Sapere.


Giulio Maccacaro e la scommessa sul cambiamento

di Giorgio Bert

Ogni essere umano può essere descritto sia come persona, come individuo in sé, sia come elemento di una rete relazionale più o meno estesa. In altre parole, possiamo oggi parlare di Giulio Maccacaro, a trentaquattro anni dalla sua morte, come operatore culturale, militante politico, scienziato, educatore, maestro, pensatore critico, punto di riferimento per molti, polemista (perché Maccacaro è stato tutto questo e altro ancora), oppure ricordarlo attraverso quello che ha rappresentato nella relazione con ognuno di noi.

Un uomo, un maestro rivela la sua perenne attualità attraverso i mutamenti che ha prodotto in tutti coloro che hanno condiviso con lui scelte e obiettivi, e che essi trasmetteranno a loro volta ad altri, in un dinamico intrecciarsi nel tempo di messaggi e di relazioni. Siamo ancora in molti, credo, a poterci dire: “se non avessi incontrato Giulio le mie scelte di vita sarebbero probabilmente state diverse”: E questo sembra ancor più evidente dopo trenta anni di quanto non lo fosse a quel tempo.

Rileggere Maccacaro oggi vuol dire innanzi tutto ritrovare il suo pensiero dietro e dentro a un linguaggio che può apparire datato, come datati ci sembriamo noi stessi ricordando quel che eravamo e come ci esprimevamo a quei tempi; ma lui è morto allora, e il suo pensiero è rimasto come prigioniero di quel linguaggio scritto, che può sembrare lontano e desueto in un mondo diverso, che proprio lui ha contribuito per molti aspetti a cambiare. Se oggi possiamo sentirci in qualche modo capaci di vivere e di operare in questa realtà è anche perché nel rapporto con Giulio abbiamo imparato a usare degli strumenti di analisi critica costruttiva e decostruttiva della realtà stessa; quegli strumenti li abbiamo applicati e tuttora ci sforziamo di applicarli, sia pur modificati e ampliati, per cambiare noi stessi e, nei limiti del possibile, il mondo intorno a noi.

Scommettere sul cambiamento. Nel pensiero e nell’azione di Maccacaro questo era sul piano laico qualcosa di simile alla scommessa pascaliana: agisci come se un cambiamento in meglio fosse possibile; se così non sarà non avrai perso molto (non sempre, almeno) ma se avrai contribuito anche di poco a migliorare le cose avrai vinto l’intera posta. Chiaro, il rischio è certo e la vittoria è incerta ma non scommettere non puoi, perché non scommettere significa in realtà scommettere per il non cambiamento: se sei onesto con te stesso questo lo devi ammettere.

Agire “come se” vuol dire rinunciare all’illusione che se non vedi il cambiamento in atto tutto e subito, allora tanto vale accettare il mondo come è e adeguarvisi; l’alternativa è di rifiutarlo in blocco e rimanere ai margini recitando la parte del testimone acido e sgradevole o, perché no? del sabotatore: ma non è anche questo, in fondo, un adeguarsi? Un accettare la sconfitta?

Maccacaro, grazie anche alla sua formazione scientifica, rifiuta l’una e l’altra di queste uscite: sia l’acquiescenza complice che l’avventurismo velleitario; come lui stesso scrive: “Rifiutiamo insieme lo scientismo e il luddismo scientifico; ci sono ugualmente estranei il culto e l’esorcismo della scienza”.

“è ipotesi di lavoro che la medicina – come la scienza – sia un modo del potere: che, anzi, nella conversione scientifica di dottrine e pratiche, contenuti e metodi, enti e funzioni, ruoli e istituti, divenga propriamente potere, sostanza e forma del suo esercizio. Ma un’ipotesi formulata ha bisogno di nuove verifiche, ulteriori ricerche, più ampie ricognizioni che attraversino tutte le mappe della cittadella sanitaria: il potere che le appartiene, così come quello cui appartiene, può celarsi in ogni suo punto ma estinguersi in nessuno: cercarlo e scoprirlo è già sfidarlo”.

Se riflettiamo a queste parole con cui Maccacaro presentava la collana Medicina e Potere, possiamo individuare una chiave di lettura fondamentale del suo pensiero e delle sue scelte: una chiave di lettura ancora assolutamente attuale.

Che la medicina come la scienza sia un modo del potere è, per Maccacaro, un’ipotesi: certo, una ipotesi di cui è profondamente convinto ma pur sempre un’ipotesi da verificare con ulteriori ricerche, non una fede e neanche un assioma. E’ questo il modo di procedere scientifico, che Giulio non abbandona nemmeno quando vuol mettere sotto accusa la scienza: perché anche (soprattutto!) la scienza ha il dovere di dimostrare la propria validità con criteri scientifici. La scienza in quanto modo del potere va certo combattuta, utilizzando però non l’ideologia ma, appunto, il metodo scientifico basato su ipotesi e verifiche. Criticare la scienza su queste basi non significa quindi decidere che se ne fa a meno (ipotesi irreale!), né tanto meno sostituirla con fughe nell’irrazionale o col ritorno vagheggiato a una immaginaria realtà rurale arcaica: e a quei tempi scelte di questo genere erano, va ricordato, tutt’altro che rare.

Ciò che Maccacaro propone è invece di verificare (o falsificare) l’ipotesi con ulteriori ricerche e ricognizioni: se il potere si cela dietro a termini apparentemente accettabili e condivisi come “ricerca scientifica”, “progresso”, “sviluppo”, “salute”, “cura”, “benessere”, “tecnologia”, “farmaci”, esso va messo in luce, svelato: quei concetti insomma non devono essere eliminati o rifiutati ma in qualche modo liberati dal soffocante abbraccio del potere: “cercarlo e scoprirlo è già sfidarlo”.

Svelare, sfidare il potere celato in ogni attività umana è un compito eternamente attuale: perché, ci piaccia o meno, “il potere” non è “il nemico”, “l’Oscuro Signore”, “l’avversario irriducibile”; voglio dire che il potere non è “altro da noi” ma è un “noi” ristretto, immiserito, ridotto alle sue radici più banali, meschine e semplificate.

Il potere è quella parte non secondaria di noi che ci porta a credere che esista una e una sola descrizione della realtà: la nostra; che ci semplifica la vita distinguendo nettamente e senza la minima ombra di dubbio i buoni (noi) dai cattivi (gli altri), il bene dal male, il vero dal falso. Col potere siamo spesso in modo più o meno consapevole conniventi, e il solo antidoto è ancora quello suggerito da Maccacaro: cercarne e svelarne la presenza dietro e dentro a scelte, decisioni, descrizioni che ci a prima vista appaiono così vere, così giuste, così ovvie.

Ogni potere tende a impadronirsi della scienza, dell’arte, della cultura, della salute, del tempo libero e in generale di ogni ambito che coinvolge la nostra esistenza, con l’obiettivo di dimostrare che questo non sarà forse il migliore dei mondi possibili ma è senza dubbio l’unico esistente. Il potere, qualsiasi potere, è totalitario: a differenza di quanto fa una mente libera, curiosa, ironica, creativa, laica, scientifica, immaginativa, esso non propone ipotesi ma impone verità: una sola verità. E’ per questo che dietro a ognuno di quegli aggettivi, per il potere, si cela sempre un pericolo, una minaccia.

Il potere si esprime per certezze e di conseguenza non è scientifico; quando si impadronisce della scienza anche essa smette paradossalmente di essere scientifica per diventarne uno strumento tra gli altri, così come in un contesto analogo avviene della cultura. Scienziati e intellettuali diventano, non necessariamente in malafede, messaggeri e araldi del potere e parlano con la sua voce.

Maccacaro mostra che svelare e sfidare questa mistificazione è possibile. Certo, il potere è più forte degli individui così come, più in generale, ogni sistema è più forte dei singoli elementi; ma, e sta qui il punto di forza di chi lo rifiuta, in un sistema complesso ogni elemento è in grado, per via delle interazioni che ha con tutti gli altri, di mettere in difficoltà l’intera struttura e di imporle dei cambiamenti. Anche chi è apparentemente più debole ha potere, e questo potere è in realtà maggiore di quanto non si creda.

I sistemi di potere si avvicendano e di conseguenza la sfida al potere di turno non ha termine. La scommessa di Maccacaro sul cambiamento possibile è valida in ogni tempo e in ogni luogo.

In quanto basato su ipotesi e non su certezze, ogni modo di conoscere la realtà, incluso il metodo scientifico, è sempre una scommessa; per quanto provvisorie, le ipotesi devono essere tuttavia sempre basate su prove. In questo senso Maccacaro si pone già sul terreno della Evidence Based Medicine o medicina basata sulle prove di efficacia, e in affetti la prima traduzione del celebre saggio di Cochrane da cui l’EBM deriva appare nella collana Medicina e Potere.

A Maccacaro appare subito evidente il potere antiautoritario implicito nella medicina basata sulle prove di efficacia: stop all’ipse dixit indiscutibile dei luminari, alla confusione tra dati statisticamente significativi e impressioni personali, alle verità basate solo sull’autorità e sul ruolo di chi le esprime. Spetta a chi fa affermazioni l’onere di poggiarle su prove ragionevoli e verificabili: in altre parole, l’autorità non è più legata alla persona in quanto tale ma alla sua dimostrabile competenza metodologica.

Anche la medicina basata sulle prove di efficacia rischia ovviamente di trasformarsi in un modo del potere e di seguire una deriva autoritaria e integralista: come dire: “quel che non è Evidence Based è spazzatura sul piano scientifico e quindi spazzatura tout court”. Tralasciando ovviamente il fatto che aspetti fondamentali della nostra esistenza non sono e non saranno mai valutabili sulla base di prove di efficacia: le emozioni, le relazioni, l’arte, la filosofia, l’etica…

Anche se la deriva integralista non fosse stata estranea al pensiero laico di Maccacaro, gliela avrebbe impedita proprio il rigore etico, che in ultima analisi stava alla base di tutte le sue battaglie. Il fatto che i malati non possano e non debbano essere ignari oggetti di esperimento ad esempio non emerge da prove di efficacia, e infatti lo sono stati senza problemi fino a pochi anni fa; né d’altra parte si può provare con la statistica che non sta bene discriminare le persone migranti o omosessuali, bastonare i figli, eliminare i coniugi adulteri, invocare la pena di morte, impiegare la tortura o il ricatto, sottoporre altre persone a mobbing, sfruttare i lavoratori…

Se il criterio di verità si limita alle prove di efficacia, vanno a finire in un medesimo cassonetto delle immondizie l’etica e l’astrologia, l’arte e la magia, la filosofia e le più deliranti elucubrazioni irrazionali, l’amore e il malocchio… In caso contrario bisogna ammettere che esistono altri modi oltre alla scienza di conoscere la realtà e di agire su di essa: modi dietro ai quali può celarsi egualmente il potere.

Ogni potere, abbiamo detto, ha la caratteristica di restringere il campo, di tendere al pensiero unico e all’omologazione. La casa virtuale in cui abitiamo, la cornice entro la quale ci muoviamo finisce con l’apparire l’unica possibile: esiste così una sola medicina, una sola scienza, un solo modello di famiglia “normale”, un unico modo di educare i bambini, di produrre, di amare, di vivere, di morire: esattamente quello che c’è e si finge che ci sia sempre stato. Per il potere esiste un solo modo di descrivere la realtà, che coincide esattamente con essa ed è di conseguenza una certezza.

Non è affatto così, dice Maccacaro: non esistono certezze assolute ma solo ipotesi più o meno ragionevoli; non c’è un modo solo di descrivere la realtà: le descrizioni sono multiple e descrizioni diverse possono coesistere vantaggiosamente: la visione binoculare è più completa di quella monoculare.

È proprio questo modo di vedere le cose, in cui si svela ciò che è celato, si amplia quel che è ristretto, si ammette l’esistenza di altri mondi possibili che permette di scommettere sul cambiamento: la descrizione che il potere dà della realtà non è la sola possibile ma è semplicemente quella più vantaggiosa per chi il potere detiene in quel particolare momento.

Scommettere sul cambiamento va bene: ma per cambiare che cosa? E come?

Gregory Bateson, il cui pensiero è assai più vicino a quello di Maccacaro di quanto non possa sembrare, descrive due principali modalità di cambiamento: quello che si verifica all’interno di una data cornice (da lui definito cambiamento 1) e quello che prevede l’uscita dalla cornice o cambiamento 2.

In altri termini si possono cambiare i mobili di casa o almeno la loro disposizione, o si può cambiare casa.

Nel linguaggio che parlavamo all’epoca, i due modi si definivano “riforme” e “rivoluzione”: un certo integralismo ingenuo portava molti a privilegiare quest’ultima e a disprezzare i cambiamenti “minori”: “riformista” non era certo un complimento.

Per quanto il pensiero politico di Maccacaro fosse chiaro e definito, l’integralismo non gli apparteneva: la sua opera, direi le sue lotte lo stanno a dimostrare.

Maccacaro non disprezzava né riteneva irrilevanti i cambiamenti 1: al contrario, invitava a scommettere almeno su quelli; facciamo qualche esempio.

La traduzione per la collana MP del saggio “Bambini in ospedale” di  James Robertson (Feltrinelli, 1973) è preceduta da una ricerca, coordinata da Maccacaro, sulla situazione delle sezioni pediatriche ospedaliere italiane. La conclusione è drammatica: nell’ospedale pediatrico, esattamente come in quello psichiatrico, il paziente è ridotto a oggetto:

La negazione della sua identità, della sua storia, della sua classe avviene attraverso la distruzione perpetrata con ogni arma e crudeltà del soggetto che è in lui. Nel caso dell’ospedale pediatrico la stessa operazione è compiuta per gli stessi fini, con riduzione oggettuale del bambino ed esclusione dall’istituzione del soggetto residuo materno.

Ecco: questo è svelare la faccia del potere nascosto dietro all’apparente logica istituzionale, da tutti accettata (o subita) fino a quel momento come la sola sensata. Questo è permettere a tutti, madri, infermieri, medici, cittadini di vedere gli altri mondi possibili.

Lottare per cambiare una singola, politicamente “minore” ingiustizia è già lottare contro l’ingiustizia, sfidare il potere.

Riforma o rivoluzione? Domanda inutile e secondo me priva di risposta. La violenta polemica scatenata all’epoca contro quella ricerca e contro quel libro da parte delle istituzioni farebbe pensare a una vera e propria rivoluzione; sta di fatto che oggi nessuno discute più il diritto dei genitori di restare col bambino durante la degenza in ospedale, e che esistono negli ospedali pediatrici ludoteche, affiancamenti scolastici, momenti di animazione, giochi preparatori agli interventi diagnostici e chirurgici…

La pubblicazione, sempre a cura di Maccacaro del saggio di M.H. Pappworth “Cavie umane” (Feltrinelli, 1971) è l’occasione per lanciare un durissimo attacco contro la sperimentazione sull’uomo: una battaglia che Maccacaro continuerà per tutta la vita, suscitando reazioni di inaudita e anche minacciosa violenza; reazioni che oggi, in tempi di partnership tra medico e paziente e di consenso informato, apparirebbero impensabili: grazie appunto anche a quella battaglia.

Battaglia che non può avere un termine perché la scienza con l’uomo è incongrua ed è inaccettabile alla medicina sull’uomo e questa non ha alternative in un sistema che non può concederne. Rendersene conto non significa disimpegnarsi nel pessimismo o nell’avventurismo. Significa intendere che la intrinseca solidarietà del sistema distribuisce in ogni punto non solo la sua forza ma anche la sua debolezza. C’è dunque una posizione di attacco per tutti: anche per lo scienziato, anche per il medico che devono scegliere i modi della loro sperimentazione nell’uomo.

Maccacaro come Bateson vede la dimensione sistemica del contesto: attaccare i singoli punti del sistema anziché aggredire frontalmente l’intera struttura non significa limitarsi a riforme o a pannicelli caldi: al contrario, vuol dire mettere continuamente in crisi l’intero sistema di potere perché per definizione stessa di sistema, la modifica di un elemento produce inevitabilmente modifiche in tutti gli altri elementi e nelle relazioni tra di essi.

Quello che Maccacaro ha colto e ci ha insegnato è che in una visione sistemica, al contrario di quanto avviene in una visione lineare ancora ottocentesca, il contrasto tra riforme e rivoluzione, tra cambiamenti 1 e cambiamenti 2, non ha più ragione di essere: non è detto che agire su aspetti limitati del sistema non possa condurre a mutamenti radicali, né del resto possiamo essere certi che drastiche uscite dalla cornice contestuale, ancorché apparentemente rivoluzionarie, non ci spostino solo – come l’abate Faria – nella cella vicina.

Il potere, ogni potere va continuamente stanato e svelato là dove si cela. Combatterlo significa innanzi tutto mostrarne la presenza, metterlo a nudo; il passo seguente consiste nel facilitare l’ampliamento del campo visivo, le descrizioni multiple, la ricerca di altri mondi possibili che esistono sempre. È una lotta senza termine, è ovvio: occorre deporre l’ingenua speranza che sostituire un potere ad un altro risolva definitivamente le contraddizioni o le ingiustizie, perché esse sono innanzi tutto in noi.

Quella che va combattuta è la tendenza dei sistemi a persistere e a replicarsi immutati: la risposta è la scommessa sul cambiamento continuo, sulla possibilità di attaccare i nodi e le connessioni del sistema, sullo svelamento dei meccanismi di potere. È un lavoro e non privo di svantaggi e anche di rischi, Maccacaro lo ha sperimentato di persona, ma è così che sia pure a fatica la condizione umana può migliorare. O almeno è così, se poggiamo le nostre decisioni su scelte etiche: come minimo la convinzione che la persona umana non può e non deve mai essere usata come un mezzo, uno strumento ma deve essere il fine delle nostre azioni; esattamente il contrario di quel che serve al potere: strumenti e mezzi, appunto, non menti libere e autonome.

Questa visione sistemica, queste linee etiche e metodologiche sono ben chiare a chi con Maccacaro ha lavorato, cooperato, qualche vota anche litigato (era un grande seduttore ma non sempre aveva un carattere facile). Ognuno di noi del gruppo di Sapere ha, nel suo campo e col suo stile personale, seguitato a muoversi in base a quelle linee e a trasmetterle ai propri più giovani collaboratori, i quali a loro volta la adatteranno alla realtà in cui si troveranno ad agire quando il modo con cui oggi ci esprimiamo e operiamo apparirà lontano e datato. Ma a quell’epoca anche noi non ci saremo più.

Fin che ci siamo però continueremo a ripeterlo e a insegnarlo: il potere è più debole proprio là dove appare più forte, e cioè nella struttura sistemica che rende la stabilità di ogni elemento determinante per l’intero sistema. Indicare mondi possibili alternativi è già una sfida, un inizio di lotta, una scommessa per il cambiamento.

Il cambiamento non dovrebbe tuttavia essere fine a se stesso né tanto meno venire astutamente pilotato per il nostro vantaggio personale: non vogliamo diventare un nuovo potere; preferiamo restare un contropotere, rimanere “dalla parte del torto”.

Se questa è la scelta, ogni scommessa per il cambiamento non può non basarsi, e Maccacaro lo ha mostrato con il pensiero e con l’azione per tutta la vita, su linee etiche rigorose.

Non vorrei terminare questo ricordo lasciando in chi legge l’idea che Giulio Maccacaro fosse si una grande personalità ma sul piano umano si comportasse come un pensatore freddo e rigoroso, uno scienziato, un razionalista: tutto sommato una sorta di moralista sia pur nel senso positivo dei moralisti francesi del Seicento. Nessuno di quelli che lo hanno conosciuto potrebbe ridurlo entro questi limiti, ma a leggere queste note ci saranno molte persone nate dopo la sua morte, e rendere la ricchezza di una relazione per iscritto, se non si è un poeta o uno scrittore, è tutt’altro che facile.

Giulio era in realtà un uomo di profonde per quanto timide emozioni e un uomo intensamente relazionale.

Non vorrei tralasciare questi aspetti del suo carattere, trascurando i quali è difficile spiegare il fascino che Giulio ha esercitato su molti di noi; chiuderò quindi con le sue parole in un ambito forse inatteso:

A me sembra di capire che anche l’intelligenza è nata dall’amore come l’amore è nato dal sesso e il sesso dalla vita.

E mi sembra che capirlo sia buono perché, almeno un po’, liberatorio (…)

Ed è questo un altro modo – non più soltanto genetico ma propriamente umano – di intendere il sesso come fantasia della vita (il corsivo è mio) purché sia una fantasia d’amore tra soggetti che rimangono tali, nell’offerta e nella consumazione di un dono reciproco. 


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