Cosa c’è dietro? Complotti e altre consapevolezze

Cinzia Picchioni

Açai (pronuncia: asaì), mai sentito? Molti anni fa, proprio qui dietro, vicino a via Garibaldi c’era un piccolo negozietto che proponeva il succo come alternativa al pranzo. Un «superfood», un cibo super cioè, tanto di moda. Al tempo cominciava la moda, poi – per fortuna dico io – il negozietto ha chiuso. Altrove le persone hanno continuato – e continuano – a consumarlo, inseguendo il sogno di un’eterna giovinezza, di una pelle senza rughe, di incontri infuocati sotto le lenzuola e altre illusioni inutili. Per quanto mi riguarda non ho bisogno di grandi informazioni (del tipo: «Cosa c’è dietro?» del titolo di questa riflessione) quando vengo a sapere che un frutto, una verdura, un prodotto qualsiasi proviene da lontano; da subito tendo a non consumarlo, a non usarlo, a non comprarlo; perché mi basta pensare al lunghissimo viaggio che deve fare per arrivare in Italia.

Poi, se per qualche motivo devo saperne di più mi domando se «mi serve davvero» (il segreto della semplicità volontaria, ricordate?), e se la risposta è «sì» allora indago. Allora voglio scoprire se dietro alla produzione c’è sfruttamento – di persone e/o di terre e risorse –; se per trasportarlo si praticano operazioni dannose; se c’è modo per avere quel prodotto tramite organizzazioni più etiche della grande distribuizione eccetera.

Anche per le bacche di açai non c’è stato bisogno, non le ho mai volute neanche assaggiare, sicura com’ero che alla base della produzione ci fosse – per forza, come minimo – sfruttamento dei territori e delle popolazioni (come per il sale rosa dell’Himalaya, le bacche di Goji e tutte le orientalistiche delizie che ci fanno sentire tanto spirituali…).

Ma ora, ahimè, sono venuta a sapere qualcosa che non avrei voluto, perfettamente riassunto in uno dei migliori programmi radiofonici degli ultimi 20 anni: Jack Folla, un dj nel braccio della morte. Ero un’ascoltatrice della prima edizione. Ora che è di nuovo in onda non perdo nemmeno una delle nuove puntate (alle 6,50 in anteprima e alle 15 in versione integrale). Così, ieri mattina, un pugno alla bocca dello stomaco. Le parole dell’ideatore e conduttore Diego Cugia chiudono molto meglio di come potrei fare io questo articolo, che rischia di diventare troppo emotivo. Buon ascolto.

Ascolta la puntata

E per favore lasciamo stare i discorsi “però almeno lavorano”, “così guadagnano qualche soldo” o, peggio “diamo l’opportunità di un lavoro”; non è un atteggiamento umanitario né solidale. È solo colonialista.


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