Palestina: dialogo sfollamento e disperazione

Miko Peled

Il fenomeno del dialogo cerca di coprire il fatto che milioni di palestinesi sono sfollati e che la disperazione è tutto ciò che la vita ha da offrire loro. Ma non fornisce nessuna speranza, nessuna soluzione, solo una garanzia che le cose continueranno a peggiorare per la Palestina: dialogo, sfollamento e disperazione

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PALESTINA OCCUPATA

Quando nessuno guida la nave, il vento, le correnti e le onde la conducono negli abissi. Questo è ciò che sta accadendo in Palestina. Il Naqab sta bruciando, Sheikh Jarrah sta bruciando, giovani e vecchi palestinesi vengono uccisi ovunque, Gaza è praticamente sommersa dalle inondazioni, e i rifugiati palestinesi sono a malapena vivi nei campi di tutta la regione. Inoltre, nella capitale degli Stati Uniti non c’è una sola entità che rappresenti la Palestina; e, in quelle rare capitali dove qualche rappresentanza esiste, è abbastanza inutile.

I troll sionisti sui social media disturbano la vita dei palestinesi e di coloro che sostengono la Palestina, mentre le piattaforme dei social media permettono alle pagine delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) di ritrarre le organizzazioni terroristiche sioniste piene di odio e razziste come gruppi di persone benintenzionate che amano la pace, attraenti – persino sexy.

I rifugiati

I rifugiati palestinesi, sia in Palestina che nei paesi vicini, non solo sono dimenticati, ma vengono anche lasciati morire lentamente mentre il mondo nega loro un aiuto significativo. Vivono in campi costruiti 75 anni fa che avrebbero dovuto ospitarli solo temporaneamente; vivono nella fame, nella povertà, nei continui bombardamenti e nel terrore di Israele. Oltre a tutto questo, guerre e massacri da parte di vari gruppi – di solito in collusione con Israele – hanno reso la loro vita un inferno.

L’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione, o UNRWA, è stata creata per occuparsi dei rifugiati palestinesi, ma non è davvero in grado di occuparsi di tutti loro. Come menzionato in un precedente articolo di questa pubblicazione, il caso legale per i risarcimenti e il ritorno è forte. Tuttavia, lo stesso studio che ha creato questo caso legale ha anche rivelato che ci sono distinzioni legali tra i rifugiati e, anche se queste distinzioni sono invisibili, esistono e fanno una grande differenza in quel poco soccorso che i rifugiati possono ricevere.

I miseri finanziamenti che l’UNRWA ha ricevuto nel corso degli anni erano a malapena sufficienti per permettere ai rifugiati palestinesi di sopravvivere. Poi, nel 2018, sotto la direzione sionista, il presidente Donald Trump ha annunciato con orgoglio che la sua amministrazione avrebbe posto fine a tutti i finanziamenti all’UNRWA. Se ciò non bastasse, secondo un rapporto di Al-Jazeera del 2021, “Il Regno Unito ha tagliato più della metà dei suoi finanziamenti all’UNRWA. È passato da 56,5 milioni di dollari nel 2020 a 27,6 [milioni nel 2021]”. Il rapporto afferma anche che i ricchi stati del Golfo che una volta contribuivano con 200 milioni di dollari hanno fornito solo 20 milioni di dollari nel 2021.

Secondo un rapporto della Brookings Institution:

Da nessuna parte i tagli dell’UNRWA sono più evidenti che nella Striscia di Gaza, dove circa due milioni di anime abitano una piccola area due volte più grande di Washington D.C. che pochi possono ottenere il permesso di lasciare. Lì, l’UNRWA fornisce servizi a 1,3 milioni di persone, spendendo circa il 40% del suo budget complessivo. Circa 262.000 ragazzi e ragazze sono iscritti in 267 scuole dell’UNRWA. Ventidue cliniche sanitarie forniscono milioni di visite di pazienti all’anno.

In Libano, dove l’intero paese sta soffrendo di quella che sembra essere una crisi economica senza precedenti, i rifugiati palestinesi sono particolarmente vulnerabili. Secondo un recente articolo del Palestine Chronicle:

Non potendo ottenere la cittadinanza libanese, i palestinesi non possono ottenere carte d’identità libanesi e quindi non possono accedere all’assistenza sociale e ai servizi governativi. Per ricevere assistenza medica o qualsiasi altra forma di aiuto umanitario, devono rivolgersi all’UNRWA e agli enti di beneficenza.

http://www.mintpressnews.com/oxford-study-reveals-stunning-truths-about-palestinian-refugee-question/272023/

Inoltre, il Chronicle afferma che:

Poiché la domanda dei loro servizi è in aumento e i costi per preparare cesti di cibo o distribuire medicine aumentano, le agenzie delle Nazioni Unite e i gruppi di aiuto fanno fatica a far fronte ad aiutare tutti coloro che ne hanno bisogno… Non solo le condizioni di vita lì sono molto precarie, ma i rifugiati non ricevono praticamente alcun sostegno dallo stato.

La situazione dei rifugiati palestinesi in Libano era terribile anche prima della crisi attuale, ma ora, di fronte ai magri risparmi, alle limitate opportunità di lavoro e all’inflazione alle stelle, sono indigenti e incapaci di soddisfare i loro bisogni primari”.

Ottimismo

Mentre a molti piace aggiungere un tocco di speranza quando si parla di Palestina, nella realtà attuale è sbagliato presentare qualcosa di diverso dall’urgenza. Si citano spesso i sondaggi che mostrano che l’opinione pubblica è cambiata, che i giovani ebrei americani la pensano così o così su Israele e sulla Palestina. Niente di tutto ciò aiuta la gente del quartiere Sheikh Jarrah di Gerusalemme. Non aiuta i palestinesi del Naqab, dove 11.000 case sono state demolite in pochi anni, e che ora vengono attaccati da unità di polizia militarizzata per aver detto “Basta!”. Non aiuta la gente di Gaza.

L’ottimismo è buono, ma non può prendere il posto dell’urgenza. La Palestina sta bruciando; è invasa da un regime armato, violento, razzista e spietato che è stato eletto democraticamente dal popolo israeliano. Gli israeliani o fanno il tifo per questo. Stanno seduti con le mani in mano mentre l’enorme macchina da guerra che hanno messo al potere distrugge tutto ciò che incontra sul suo cammino. È il momento di un’azione originale e coraggiosa, senza precedenti, che fermi la macchina di morte sionista e forzi il cambiamento in Palestina.

Dialogo, sfollamento e disperazione

In un’intervista che ho pubblicato di recente con la dottoressa Ghada Karmi, la dottoressa Karmi ha detto:

“Non voglio sentire parlare di come sono belle le cose. Perché non mi dite perché non posso tornare a casa”. L’industria del dialogo promuove falsi scambi di sentimenti tra israeliani e palestinesi, che a loro volta sono progettati per creare l’illusione che ci sia speranza. Come se tutto ciò che serve fosse sedersi insieme e conoscersi l’un l’altro, perché nel profondo siamo tutte persone di buone intenzioni. Questo è precisamente ciò di cui parla la dottoressa Karmi quando dice di non voler sentire “quanto sono belle le cose”.

Alla fine di tutti gli incontri, i campi e i ritiri del fine settimana, gli israeliani tornano alle loro vite privilegiate e i palestinesi alla loro realtà di costante oppressione. Gli israeliani continuano a servire nell’esercito in tutte le sue forme violente, come riservisti o professionisti, e i palestinesi tornano nei campi e nei villaggi dove vivono con i bersagli segnati sulla schiena.

Il fenomeno del dialogo cerca di coprire il fatto che milioni di palestinesi sono sfollati e che la disperazione è tutto ciò che la vita ha da offrire loro. Ma non fornisce nessuna speranza, nessuna soluzione, solo una garanzia che le cose continueranno a peggiorare per i palestinesi.

Come dice il proverbio, se non sei arrabbiato – infuriato, in realtà – allora non stai prestando attenzione.


Fonte: MintPress News

Traduzione di Enzo Gargano per il Centro Studi Sereno Regis


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