EsseNon privatizzassimo? Socialità e repressione a Torino

Benedetta Pisani

Una partecipata assemblea di cittadin* per rilanciare le ragioni di chi dice “EsseNon privatizzassimo?”, dopo le violenze contro le persone che si sono mobilitate per contestare la costruzione dell’ennesimo centro commerciale, in questo caso Esselunga, a Torino

EsseNon privatizzassimo
Fonte: comitato EsseNon

Giovedì 20 gennaio, il comitato EsseNon ha organizzato un’assemblea pubblica nel cortile interno del centro culturale COMALA. L’obiettivo è portare avanti la mobilitazione contro i progetti di speculazione edilizia che, da anni, minacciano di cementificare la resistenza collettiva. È questa la logica materiale che sottende ai processi di “riqualificazione” delle aree pubbliche a Torino. Una menzogna, quella della privatizzazione, che sopprime la voce di chi condivide e vive quegli spazi.

Al Comala, tuttavia, l’atmosfera è quella di sempre, allegra. Ma la tensione, dopo quello che è accaduto sabato scorso, è palpabile. Il comitato aveva organizzato una passeggiata informativa per sensibilizzare pacificamente il quartiere sulle conseguenze ambientali, economiche e sociali della costruzione di un supermercato Esselunga nell’unica area verde della zona. L’intervento violento delle Forze dell’Ordine non ha tardato a palesarsi. Gli agenti hanno sferrato colpi di manganello e serrato ogni via di fuga, creando assembramenti e impedendo ai manifestanti, e ai duecento studenti rimasti chiusi nell’aula studio del COMALA, di rispettare le distanze minime per tutelare la propria incolumità.



Il lunedì successivo si è tenuto il Consiglio Comunale, durante il quale le norme vigenti in zona gialla sono state utilizzate per sostenere e difendere le barbarie messe in atto dalla polizia. Questa strumentalizzazione delle norme di sicurezza per giustificare un uso indiscriminato della forza, lancia un messaggio molto pericoloso: il diritto di manifestare è garantito solo a chi chiede il permesso. Una manifestazione non autorizzata, non esiste. E qualunque scusa è buona per sopprimerla. Eppure, durante l’assemblea pubblica di giovedì, le camionette della polizia erano fuori, in attesa di un pretesto.

Ne parlo con Mariangela Ciriello di Border Radio, che mi ha aiutata a mettere insieme i pezzi di questa storia, confermando la percezione di un aumento delle forme di repressione messe in atto dalla polizia negli ultimi mesi.

“La repressione della questura, della prefettura, di tutta l’armata, è grave… e reale. L’anno scorso ho intervistato la mamma di Carlo Giuliani. Mi disse che la repressione torinese è marcata e figlia del 2001. Non ci si è mai occupati abbastanza della repressione di Stato, che esiste. Fin dove la questura può spingersi a circondare spazi pubblici con le Forze dell’Ordine – che sono evidentemente una minaccia e non una sicurezza – anche nel momento in cui viene annunciata un’assemblea pubblica?

Gli ultimi avvenimenti, però, non hanno  scoraggiato i cittadini e le cittadine di Torino. Anzi, rappresentano l’inizio di un processo solidale e collettivo. Come mi ha raccontato Mariangela, il comitato EsseNon nasce proprio da un presa di coscienza su ciò che stava accadendo nel quartiere da parte di chi lo abita. E da quella consapevolezza si è sviluppata una mobilitazione che ha coinvolto persone e realtà associative.

“Partendo da un video di sensibilizzazione realizzato da COMALA, è stata organizzata una prima assemblea pubblica e il lancio di una petizione, a cui hanno partecipato tantissime persone. Circa 3000 si sono recate fisicamente al centro per firmare; altre 10.000 hanno firmato online. L’interesse è stato molto forte fin da subito e la partecipazione all’assemblea ha dato vita al comitato.”



Anche durante l’assemblea del 20 gennaio, la partecipazione è stata variegata e attiva, mostrando un aspetto che amo di questa città: l’appassionata determinazione di chi la vive. Dopo pochi minuti, la sala si riempie.

C’è un’euforica felicità e persone di tutte le età. Due signori sulla settantina chiacchierano con una ragazza che indossa un cappello enorme. Un tipo con bermuda e parka si siede vicino a me, anche lui è felice di essere lì. C’è odore di grigliata e non sono l’unica ad averlo notato – una giovane donna con i capelli rossi lo esclama a voce più alta dei miei pensieri. Un ragazzo attraversa la stanza velocemente. Ha i capelli come i miei, ricci e legati in uno chignon alto. Lui, però, è più originale. Ci ha messo un nastrino rosso intorno. È rivoluzionario, secondo me. Le risate sono una piacevole compagnia. Sono arrivata all’assemblea senza nessuno, ma non mi sento sola.

“Prova. Prova. Assemblea. Uno.” Si comincia.

Sono tante le persone che decidono di intervenire per presentare proposte concrete e originali. Biciclettate fino al comune, volantinaggio, sit-in di studenti e studentesse in uno dei tanti supermercati Esselunga… La ricchezza del comitato EsseNon è proprio la sua eterogeneità. Voci sognanti, altre più razionali. Tutte, però, accomunate dal desiderio di portare avanti l’impegno collettivo, riprendersi i propri spazi e esprimersi con il proprio corpo.

Sono tante anche le associazioni che compongono questa rete di resistenza e che durante l’assemblea hanno messo in luce temi diversi e inevitabilmente interconnessi. La tutela dell’ambiente, il diritto allo studio e alla socialità (senza dover spendere 10 euro per una birra media).

“Il Comala è un’officina di iniziative culturali. È stato uno dei primi spazi accessibili a tutti senza vincolo di consumo, autofinanziandosi le aule studio, al netto di quello che arriverà come rimborso dalla città di Torino per il progetto Campus diffuso. Con la pandemia, ha saputo rispondere da sola ai bisogni della cittadinanza, offrendo spazi di socialità, di condivisione, aule calde dove studiare e luoghi dove poter essere cittadini a tutto tondo”, mi spiega Mariangela.

Fonte: pagina facebook Comala

Fino a pochi anni fa, sedevo anche io a quei tavoli. Era l’unico posto dove riuscivo a preparare gli esami. Immaginare una nuova generazione di universitari senza COMALA è semplicemente triste. Eppure, quando apriranno i cantieri, i gazebo saranno smontati. Non ci sono alternative. O meglio, non c’è la volontà di ascoltarle e accoglierle. L’imbarazzante proposta della Città di utilizzare il cortile interno per le attività culturali come misura compensativa, la dice lunga. Si tratta, infatti, di uno spazio in pendenza, occupato principalmente da grate e in prossimità dei condomini. E, a rendere la situazione ancora più paradossale, è la presenza di una struttura enorme e vuota – l’ex Caserma – a cui le associazioni non hanno accesso.

Con tanto orgoglio e un pizzico di amarezza, Mariangela mi ha parlato dell’associazione di secondo livello “Zoe – Ex Caserma La Marmora”, nata l’anno scorso con l’obiettivo di dare valore a quegli spazi e riportare l’attenzione sull’importanza di una co-progettazione che abbia alla base il rispetto dei principi di sviluppo sostenibile, partecipazione attiva, protagonismo dal basso.

“Il 25 gennaio 2021 è stato inviato alla Circoscrizione il nuovo progetto sullo spazio, come ex-Caserma, fatto benissimo, con planimetrie, tutta la progettualità per la parte adolescenti, anziani, attività 0-99 anni. Un vero e proprio progetto di associazione di secondo livello, con la previsione di una cabina di regia tra Città, Circoscrizione e l’associazione; un collegio dei partecipanti che prevede la partecipazione dei cittadini per la gestione dello spazio pubblico…

Tutto frutto del lavoro di Comala di 10 anni e del lavoro di unione di tante altre associazioni, alcune più piccole. In pandemia abbiamo lavorato tutti insieme per scrivere lo statuto di questa nuova associazione. Ad aprile, abbiamo presentato ufficialmente il progetto depositato con richiesta di concessione locali.  Chiaramente l’ente pubblico sa benissimo che le associazioni hanno già scritto e ottenuto finanziamenti per ristrutturare gli spazi dell’ex Caserma, rimasti vuoti per anni. Il progetto è pronto, con un lavoro enorme dietro. Da allora, ci troviamo in una situazione di stallo.”

Questa vicenda dimostra ancora una volta che i progetti di riqualificazione sono essenzialmente strategie di speculazione finanziaria, che rendono Torino una città sempre più vuota. Ma la mobilitazione va avanti per prendersi cura dei cittadini e delle cittadine che ogni giorno vivono quegli spazi di socialità come fossero casa. D’altra parte, sono gli utenti che determinano la storia degli spazi. EsseNon privatizzassimo, cementificassimo, svendessimo, potremmo forse apprezzare di più il valore della condivisione e ricordare che la socialità esiste anche al di fuori dei luoghi di consumo.


di Benedetta Pisani

Una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata da DinamoPress


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