Sì vax/no vax; sì war/no war; sì fear/no fear

Cinzia Picchioni

Avete ragione, ecco la traduzione di Sì vax/no vax; sì war/no war; sì fear/no fear per chi non ama l’inglese (che però spesso consente dei modi di esprimersi più efficaci dell’italiano): d’accordo con il vaccino/contrario al vaccino; favorevole alla guerra/contrario alla guerra; sì paura/no paura. Vedete? In inglese suona meglio e ci sono assonanze che permettono di giocare con le parole.

Comunque… la riflessione scaturita dalla mia ultima pedalata è che alla base di tutto c’è sempre la paura. Alla base di ogni scelta violenta c’è la paura. Persino quando le scelte sembrano opposte (sì vax/no vax) la loro base comune è la paura. E perché utilizzo l’articolo determinativo? Perché quella di cui intendo parlare è la paura, quella che è la madre di tutte le altre: la paura della morte.

Paura camuffata

Perché, invece di inutili dialoghi, di inutili dibattiti, di inutili scambi di opinioni (sempre divisivi) sulle ragioni del sì e del no non riflettiamo su quel tema, su quella sensazione, su quella emozione universale, che ci accomuna tutti/e?

Ogni guerra nasce da una paura. Sì-sì lo so, si combatte per le risorse, per le religioni, per le nazionalità eccetera, ma quelle sono dopo. Prima di tutto, prima che le guerre inizino, prima che gli esseri umani diventino nemici, c’è stata una paura originata dalla paura, quella di morire. Farei decine di esempi, ma questa è una riflessione che viene da sé, basta pensarci un attimo, nel nostro piccolo e tutto intorno è subito evidente.

Propostina

Sì vax/no vax

Mi sento di dichiarare che finché non affronteremo la paura della morte le guerre (piccole e grandi) non smetteranno, perché troveremo sempre motivi per fare guerra a qualcuno, invece di smascherare il motivo vero, che è la paura di morire.

Mi sento di dichiarare che finché non faremo – ognuno di noi – un lavoro interiore verso la pacificazione con l’inevitabile fine dell’esistenza terrena (l’unico momento uguale per tutti/e!), nessuna pacificazione esteriore sarà mai possibile. Come ha chiaramente espresso con un semplice segno il monaco vietnamita Thich Nhat Hahn:

Mi sento di dichiarare che dovremmo utilizzare il nostro tempo futuro (quello che ci rimane, che forse è poco e di sicuro non è eterno come ci illudiamo che sia) per «far pace» con la nostra propria morte, perfino prima di far pace con l’altrui morte, che altrimenti sarà sempre una falsa pace.

Mi sento di dichiarare che il tema della morte – l’unico che ci riguarda tutti/e, e che di conseguenza dovrebbe interessare tutti/e – dovrebbe essere quello primario anche all’interno di organizzazioni che si occupano di diffondere una cultura di pace. Anzi, soprattutto all’interno di queste. O continueremo sempre e solo a parlare di pace fuori, senza fare la pace dentro.

È solo una riflessione. È come se non ci fosse posto per la pace perché tutto lo spazio è pieno di paura, sia lo spazio fuori sia lo spazio dentro.

Cinzia Picchioni


13 commenti
  1. INDEMINI PAOLO
    INDEMINI PAOLO dice:

    Finalmente !!! Grazie, Cinzia, per essere coraggiosamente arrivata al “nocciolo” dei problemi: davvero di tutti. Tuttavia, credo sia importante considerare che forse la paura della morte, che tutti ci accomuna, al tempo stesso inevitabilmente ci separa. Perché ben diversa (e diversi orientamenti spesso comporta) si manifesta a seconda dell’idea di uomo (di essere umano) che ciascuno ha assunto nel proprio convincimento personale (e intendo proprio convincimento, non vagamente “fede”). Un conto è considerarsi meramente un corpo fisico, soggetto a “scadenza” magari prolungabile ma inevitabilmente “definitiva”… un conto è essere consapevoli di essere uno spirito (dunque non soggetto a morte) incarnato in un corpo appunto soggetto (solo lui) a inevitabile scadenza. La paura li accomuna, certo, ma li rende al tempo stesso separati. E questo mi sembra comporti conseguenze non trascurabili, che forse sarebbe utile approfondire.

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  2. giorgio
    giorgio dice:

    Grazie e brava Cinzia con le tue considerazioni su paura/morte. Vale la pena di rifletterci sù e di parlarne con gli amici. E' un argomento ovviamente difficile e spesso tabù, addirittura da scongiuri.
    Ciao, ciao – Giorgio

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  3. Dario
    Dario dice:

    Cinzia, perché non facciamo un incontro di riflessione? Giuliano Martignetti ci pensava spesso, voleva mettere su un gruppo che studiasse "l'ultimo miglio". Facciamolo!

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    • Cinzia
      Cinzia dice:

      perché abbiamo già provato a fare un gruppetto, non molti anni fa, e non è partito, non si è formato, ci siamo visti in 2-3 per 1 o 2 volte e poi… si è estinto!
      ridiamo
      Cinzia

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  4. Cristiana
    Cristiana dice:

    Cara Cinzia, hai profondamente ragione. Arrivare ad una consapevolezza su questo conduce a non attribuire più alcuna importanza a tanti aspetti della nostra vita, ai quali ci aggrappiamo, probabilmente solo per "distrarci" e allontanare da noi l'angoscia che ci produce l'idea della morte. Finire è un pensiero quasi "impensabile", forse in modo maggiore per chi non crede in una vita ulteriore, perchè in questo caso la fine è assoluta e irreversibile. Allora ecco che sorge la necessità di riempire la nostra vita di obiettivi, di traguardi da superare scaramanticamente, di oggetti che riempiano l'abisso che temiamo. Se però riusciamo un po' di più a conviverci, tante mete e possessi desiderati perdono la loro importanza, la vita si spoglia di orpelli, resta la bellezza di ciò che ci circonda, la meraviglia, il riconoscimento dei legami, il nostro misterioso esserci, qui, ora, con chi abbiamo intorno. Riuscirci per più di una riflessione o di una percezione ogni tanto, però!

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  5. Rita Massarenti
    Rita Massarenti dice:

    La morte, unica certezza della vita dal momento della nascita è considerata un tabù nella nostra cultura occidentale. Se si guardasse al0esistenza con un pò di compassione, visto che siamo tutti sula stessa barca, non esisterebbero guerre, fame, sopraffazione e quant'altro. Ma la realtà è che sia che si possegga un bastone o tutte le ricchezze della terra la morte è inevitabile. Viaggiare dentro di sè è l'unnico viaggio che ci permette di raggiungere il personale scopo, con un occhio benevolo all'impermanenza di ogni fenomeno, umano e non.

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  6. Rita Massarenti
    Rita Massarenti dice:

    La tua riflessione ha toccato un tabù, la morte. Peraltro nella storia dell'umanità nessuno l'ha evitata. Invece di fare tante baruffe sarebbe meglio anche per i signori di potere di fare u viaggetto dentro sé stessi e cominciare a ripulire l'ambiente interno per partire i più leggeri possibili. Con un bastone o con tutto loro del mondo di parte come si è arrivati, nudi. Direi che un buon modo è praticare la compassione per tutti noi che navighiamo nel samsara. in particolare verso le persone meno consapevoli e più arroganti, perché sono quelle che provano più paura.

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  7. Mariano
    Mariano dice:

    Grazie Cinzia.
    Le tue parole arrivano in quello spazio che la nostra mente cerca di evitare o di nascondere.
    Anche se, come dici, è solo una riflessione percepisco le tue parole come un gentile invito a spostare lo sguardo dal fuori al dentro. Portare attenzione all’interno di noi stessi, sono d’accordo con te, è l’unica possibilità che abbiamo per recuperare la consapevolezza di noi stessi e dar vita a un mondo nuovo e una umanità unita.

    M. R.

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  8. Rocco Altieri
    Rocco Altieri dice:

    L'amica Cinzia Picchioni pone giustamente al centro della sua riflessione la paura della malattia e della morte, ma mi sembra non arrivi alla fine del suo discorso a trarre tutte le dovute conclusioni necessarie per il tempo presente. È infatti sulla paura della morte che viene costruito sia il paradigma della sicurezza militare e di accettazione della deterrenza atomica, sia l’attuale politica sanitaria, fondata su una pratica di terrore di massa per spingere alla vaccinazione obbligatoria e all'imposizione del green pass, quando in realtà la salute è il frutto di una pluralità di fattori.
    La caduta in pensieri misticheggianti non sempre aiuta e può indurre alla fuga dalla politica, mentre l’autentico orizzonte di Thích Nh?t H?nh è stato sempre il buddhismo impegnato vicino alla pratica nonviolenta di Thomas Merton e Martin Luther King.
    Gli amici del Centro Sereno Regis si turberanno forse al ricordo del rifiuto di Gandhi di far iniettare la penicillina a Kasturba, ammalatasi di polmonite in prigione. Gandhi fu accusato di non aver impedito di salvare la moglie, ridicolizzando il suo rifiuto della medicina moderna, sorvolando sul fatto che la malattia e la morte furono una conseguenza delle inumane condizioni detentive.
    Alle proteste del movimento no green pass manca purtroppo la consapevolezza delle tante connessioni tra economia, guerra e salute, un aspetto che ugualmente manca anche ai nuovi movimenti ecologici come XR.
    Fa un certo effetto comunque leggere che per partecipare alle iniziative del Centro Sereno Regis, un tempo fucina di disobbedienti, sia oggi richiesto l’obbligo del passaporto vaccinale, facendo un’evidente scelta di campo, di totale conformismo, di acritica accettazione delle attuali leggi discriminatorie e di subalterna soggezione alla pratica medica dominante, così lontana dagli esperimenti di Gandhi. Sarà per paura della morte?

    Firmato Rocco Altieri del Centro Gandhi di Pisa

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    • Paolo Indemini
      Paolo Indemini dice:

      Sì, sto rispondendo a Rocco Alfieri, ma mi auguro che la risposta sia recepita anche dal Centro Sereno Regis che ospita questi scritti. Per la prima volta, dopo ormai quasi due anni, su queste pagine si apre infatti una breccia nel muro di OMERTA' che avvolge quel tema che Cinzia (te l'ho riconosciuto!) ha solo sfiorato e pur tuttavia affrontato. Con un limite però, che Rocco Alfieri ha appunto colto: perché è sicuramente fondamentale che ciascuno rivolga la massima attenzione alla propria interiorità… ma la ricerca del SILENZIO interiore non esclude certo la manifestazione della PAROLA né l'AZIONE rivolta all'esterno (mi sembra che anche questo abbia insegnato Gandhi!). Ecco perché mi associo all'"effetto" sottolineato da Rocco Alfieri a proposito dell'atteggiamento del Centro Sereno Regis. L'ho già affermato, ma lo ripeto: il vero problema non è neppure l'assurda contrapposizione sì vax/no vax, creata ad arte e non rispondente alla realtà, (considerando però che non di "vaccino" si tratta, ma di "farmaco genico"…) bensì, la DISCRIMINAZIONE rispetto alla quale il Centro Sereno Regis ha scelto una linea di COMPLCITA'. Ed è quello che ritengo particolarmente allarmante. Non credo infatti che sia questo il tipo di SILENZIO cui si riferiva Cinzia…

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  9. INDEMINI PAOLO
    INDEMINI PAOLO dice:

    Consentitemi di ritornare sull’argomento (Discriminazione in base al possesso del green pass). Ho 75 anni e, se questo mi pone tra le persone un po’ più “a rischio” covid, d’altra parte essendo in pensione sono un “fortunato” rispetto a chi vede messo in gioco il suo posto di lavoro e il suo stipendio, la vita sociale e culturale così necessaria per i suoi figli, etc.. Tuttavia sono con tutta evidenza discriminato: diventa per me un problema pagare le bollette, comperarmi semplicemente un paio di jeans, acquistare un’auto della quale mi ero sbarazzato e che ora diventa quasi indispensabile per “evadere” almeno ogni tanto da questa atmosfera opprimente, ma anche solo per spostarmi in città… sì, perché pur avendo l’abbonamento annuo gtt non posso salire sui mezzi (neppure al fondo, come pure era concesso ai neri durante la segregazione razziale in America…)… potrei continuare l’elenco… Ebbene, credo proprio che chi non prova sulla sua pelle questa sensazione di emarginazione forse non può capire: e non mi riferisco qui al concetto astratto (facilmente accolto da molti), ma al “vissuto interiore”, nella realtà quotidiana, della discriminazione. Personalmente ne ho avuto chiarezza uno di questi giorni, mentre appunto percorrevo i miei 4-5 chilometri a piedi per andare a prendere la mia nipotina: avevo appena finito di leggere “Suite francese” di Irène Némirovsky (ebrea) e, per quanto la politica israeliana mi renda difficile avere oggi un atteggiamento di empatia verso gli ebrei, forse per la prima volta in quel momento ho sentito nel profondo di me quale poteva essere il vissuto interiore di un ebreo – sia ben chiaro, non voglio certo qui riferirmi ai lager nazisti – nelle innumerevoli situazioni discriminatorie che hanno accompagnato, nel corso degli anni e negli innumerevoli paesi ove si sono trovati a vivere, la loro esistenza quotidiana. Provare per credere! Ecco che allora mi diventa impossibile considerare come “normale” il silenzio e – peggio! – il ruolo di poliziotto delegato dall’Autorità (e che autorità!) rispetto a chi frequenta le attività del Centro Sereno Regis. Non ve l’abbiate a male… anche il Centro per l’Antroposofia che frequentavo adotta misure analoghe. Ma in tal modo si perde credibilità, perché l’agire si discosta troppo dalle dichiarazioni di principio: e questo fa davvero molta tristezza. Anche perché in questo caso, cara Cinzia, non si tratta di entrare in guerra ma di difendersi da una guerra dichiarata e difendersi, sia pure in modo non violento, mette in gioco una paura molto meno profonda che non quella della morte, anche se è pur sempre una paura…

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