Fare la pace. L’importanza delle parole nella riconciliazione

Cinzia Picchioni

Recensione «Buoni propositi» di Cinzia Picchioni

Perle di… «pacezza»

Fare la pace

Tutte tratte da: Vittorino Andreoli, Fare la pace. L’importanza delle parole nella riconciliazione, Solferino, Milano 2020.

Tra parentesi il numero di pagina in cui si trova il brano citato.

Al primo piano del Centro Studi Sereno Regis di Torino, in via Garibaldi 13, presso la Biblioteca, si trova il libro, che si può richiedere in prestito: 011 532824; [email protected]

Selezione e titoli a cura di Cinzia Picchioni

L’obbedienza non è più una virtù (pp. 146-7)

Educare, come da tempo sostengo, significa insegnare a vivere, a vivere-con, e dunque riporta alla relazione e alla cooperazione.

Essendo la vita una relazione continua nel tempo tra Io e mondo, è necessario “adattarvisi” (in senso attivo), modificando l’Io e la società, che non può essere quella dei padri.

Se educare significa insegnare a vivere, per vivere è necessario essere in rivolta. In questo modo si desume, ancora più chiaramente, che la rivolta è un processo della mente e che si distingue dalla rivoluzione.

Ecco, dunque: la parola “ubbidienza” è da sostituire con “rivolta”.

Avere o essere? (p. 57)

Abbiamo toccato il capitolo delle proprietà della terra, delle case (i cosiddetti immobili), la proprietà delle cose mobili (l’auto, gli oggetti) e infine la proprietà dell’uomo e, ora, dell’umanità.

In ciascuna maniera se ne parli ne emerge sempre che la proprietà conduce alla guerra, sia per poterla avere, sia per difenderla. Una guerra che si difende a qualsiasi livelo e acquisisce le forme più impensabili.

A me pare che un esempio del tutto speciale si leghi alla successione testamentaria, che regola il passaggio delle proprietà, mobili e immobili (un tempo anche gli schiavi erano beni ereditari).

(p. 59)

Nel contrapporre, sia pure in modo disordinato, la dotazione alla proprietà, si pone l’umanesimo inteso come l’insieme dei principi in grado di permettere agli uomini di vivere in pace tra loro.

Dalla proprietà come generatore di guerra, con l’umanesimo si passa alla dotazione come generatore di pace.

Sul sospetto (p. 103)

Oltre a rappresentare uno dei temi della psicologia individuale, la sospettosità ha un grande peso nella vita delle nazioni, perché giunge a interessare il campo della guerra. In questo caso si sospetta che una nazione stia tramando per attaccare e, di conseguenza, ci si prepara alla guerra difensiva.

Matti o esclusi? Esclusi o matti?(p. 111)

Per la psicologia creare degli emarginati significa promuovere violenza, poiché equivale a sentirsi giudicati come inadeguati. Allora, ci si ribella oppure si va alla ricerca di una metamorfosi che permetta di avere caratteristiche per essere accettati. E ci si affida alla droga o ai gesti criminali.

Questa è la guerra che si attiva all’interno dell’esclusione.

I termini più comuni per esprimerla sono “conflitto”, “sofferenza”, “frustrazione”.

È del resto ampiamente dimostrato che un fattore che favorisce la malattia di mente è proprio l’esclusione sociale.

Azione o re-azione? (p. 135)

So ora che l’uomo è un oggetto complesso, ma che in parte almeno è regolabile dall’uomo stesso; ed è questo il suo segno distintivo e unico.

Difendo, dunque, gli istinti, le pulsioni e la mente. Ma – come ho sostenuto – si tratta in tutti e tre i casi di funzioni variabili, che possono quindi essere modificate dall’uomo stesso per adattarsi all’ambiente e all’insieme sociale, per vivere nel miglior modo possibile, esprimendo le proprie potenzialità. E per questo scopo è necessaria la pace, evitando dunque la guerra.

Occorre ora introdurre un nuovo termine: “volontà”. Operativamente sta a significare il mettere in atto un controllo affinché le funzioni del corpo e della mente contribuiscano alla pace, consapevoli che possono altrimenti promuovere la lotta tra singoli e guerre che oggi non impegnano solo alcune nazioni, ma coinvolgono l’umanità intera.

La volontà contiene in sé la scelta, la possibilità cioè, di fronte a più opzioni, di escluderne alcune e seguirne una soltanto. Esprime, dunque, la capacità di verificare delle ipotesi e di scegliere la più adeguata a vivere (rapporto Io-mondo) e a promuovere la pace e non la lotta. […] Anche in questo banale esempio emerge la straordinaria capacità dell’uomo di poter scegliere. Importante è sottolineare che, con “volontà”, ci riferiamo ala scelta che dipende dall’intelligere, dall’aver capito.

Nasci, consuma, crepa (pp. 138-9)

Abbiamo visto che è possibile controllare persino gli istinti e le pulsioni, ma è più facile farlo con i desideri, che sono il prodotto del cervello plastico.

Occore che i singoli e gli Stati controllino e scelgano i desideri, perché hanno grande rilievo per i comportamenti di guerra e per quelli di pace.

Rispetto alla “volontà di potenza” di Nietzsche è possibile scegliere la volontà dell’amore, che non è mai potenza, ma sempre condivisione.


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