«Fascismo male assoluto»

Massimiliano Fortuna

Più di una volta in questi giorni ho sentito qualcuno dire che i leader di destra, segnatamente Giorgia Meloni, dovrebbero riconoscere che il fascismo è stato il male assoluto. Questa espressione, «fascismo male assoluto», è nota per essere stata usata da Gianfranco Fini una ventina di anni fa in visita a Gerusalemme e assurta, da allora, a frase simbolo della svolta politica che l’allora leader di Alleanza Nazionale intendeva imprimere al suo partito. Secondo alcuni commentatori peraltro Fini non avrebbe pronunciato esattamente queste parole, ma fatto un discorso più ampio e un po’ meno esplicito.

In ogni caso, che Fini abbia adoperato questa espressione o no poco importa, resta il fatto che si tratta di un’affermazione enfatica e fondamentalmente poco sensata, o perlomeno fuorviante, che sarebbe meglio nessuno usasse e a nessuno venisse chiesto di pronunciare.

Che vorrebbe mai dire il «male assoluto», ha senso parlarne? Forse sì, ma se restiamo su un piano teologico o metafisco, oppure nel prisma della fiaba, incarnato in qualche figura letteraria. Sauron ne Il Signore degli anelli potremmo dire che è il male assoluto o l’imperatore di Star Wars: personificazioni astoriche, metafore in un certo senso. Ma se ci troviamo in ambito storico abbiamo a che fare soltanto con mali storici: non assoluti ma sempre relativi, sempre determinati, per quanto brutali, esiziali e devastanti possano rivelarsi.

Il regime fascista è stato un fenomeno storico, che va valutato e compreso con categorie storiche, anche condannato naturalmente, svelato nella sua brutalità e nel suo uso sistematico della violenza, ma senza toglierlo dalla dimensione contingente che gli appartiene. Insomma ce n’è abbastanza per rifiutare apertamente il fascismo come regime liberticida e dittatoriale senza ricorrere alla formula del «male assoluto», che nella sua esasperazione potrebbe in fondo, per eterogenesi dei fini (ma in questo caso anche di Fini), fare persino il gioco di chi nicchia nel prenderne le distanze.

Per quanto mi riguarda, se devo essere franco, ciò che preoccupa soprattutto non è tanto quello che la Meloni non dice su Mussolini, sul fascismo del Ventennio e sulla politica di ieri, ma quello che dice sull’oggi, su Orbán e sulla Le Pen, perché se qualcuno ha come punto di riferimento chi teorizza la democrazia illiberale, e la sta mettendo in pratica a casa sua, questo mi sembra ben più rilevante delle afasie sui regimi illiberali che furono.

A inquietare della Meloni sono le parole sul presente prima che i silenzi sul passato.

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Massimiliano Fortuna


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