Calasso, Nanni Salio e gli dei

Massimiliano Fortuna

Per me è giunta l’ora di leggere L’ardore di Roberto Calasso.

Credo che tutti coloro che leggono in modo non occasionale abbiano sperimentato questa sensazione. Arriva il momento in cui bisogna leggere «quel» libro, se ne avverte l’urgenza. Lo stesso Calasso lo ha scritto una volta raccontando di libri e biblioteche: «Essenziale è comprare molti libri che non si leggono subito. Poi, a distanza di un anno o di due anni, o di cinque, dieci, venti, trenta, quaranta, potrà venire il momento in cui si penserà di aver bisogno esattamente di quel libro».

Dopo la morte di Nanni Salio, per oltre trent’anni presidente del Centro Sereno Regis, si decise di lasciare aperta per alcuni giorni la sua casa di via Po a Torino per permettere a amici e conoscenti di prendere libri o oggetti che avessero desiderio di tenere per sé. Tra i libri da me scelti c’era L’ardore.

Lo presi perché leggere, prima o poi, tutto ciò che Calasso ha scritto è da tempo un mio proposito. Adesso però dopo la sua morte mi pare che questo libro si arricchisca di una suggestione ulteriore, quella di congiungere insieme due padri «spirituali». Due uomini, direi, piuttosto diversi tra loro ma anche con delle innegabili vicinanze. La più evidente delle quali mi sembra possa essere definita come attrazione per il pensiero che viene dall’Oriente e che sfociò persino in una collaborazione. Fu Nanni infatti a tradurre per Adelphi Il Tao della fisica.

L’ardore parla dell’India dei Veda e degli dei vedici. Miti e storie di dei, come si sa, sono i protagonisti di tante pagine di Calasso e ora, dopo la sua scomparsa, mi viene quasi da supporre che lui stesso possa forse essere annoverato tra questi e far in qualche modo parte di quello smisurato pantheon, dall’Argolide alla valle dell’Indo, che ha tratteggiato nei suoi libri. Perché gli dei si manifestano come accensioni, folgorazioni e da queste la prosa di Calasso è continuamente percorsa.

Bagliori di idee e di stile tenuti assieme da quella sorta di Dio supremo che in letteratura è l’affabulazione, ovvero l’incanto e la sapienza del narrare.

Autore
Massimiliano Fortuna


1 commento
  1. Beppe Scienza
    Beppe Scienza dice:

    Non vorrei essere troppo dissacrante, ma leggo: "Lo stesso Calasso lo ha scritto una volta raccontando di libri e biblioteche: «Essenziale è comprare molti libri che non si leggono subito. Poi, a distanza di un anno o di due anni, o di cinque, dieci, venti, trenta, quaranta, potrà venire il momento in cui si penserà di aver bisogno esattamente di quel libro»" e mi viene in mente che questo è l'interesse dell'editore, cioè che molti comprino i suoi libri, anche senza leggerli.

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