Caos climatico e sistemi alimentari

Marinella Correggia

Un’apocalisse di eventi mortiferi corre fra boschi inceneriti insieme ai loro abitanti vegetali e animali, città e baraccopoli inondate, campi disseccati o all’opposto alluvionati – nei quali il compito di nutrire il mondo diventa un’impresa quasi eroica: parliamo di caos climatico e sistemi alimentari.

Il circolo vizioso fra caos del clima e crisi del cibo ricorre negli interventi del pre-Vertice sui sistemi alimentari che si tiene a Roma e online fra il 26 e il 28 luglio, organizzato dalle Nazioni unite con il governo italiano come tappa verso il Vertice vero e proprio – Unfss, a New York in autunno. Esther Penunia, filippina, segretaria dell’Associazione degli agricoltori asiatici per lo sviluppo rurale sostenibile (Afa) ha detto che, di fronte «eventi climatici imprevedibili, con i tifoni che distruggono raccolti, case e infrastrutture», «troppa pioggia o niente pioggia», «raccolti azzerati o prezzi bassi», i sistemi agroecologici sono più resilienti, ed è anche importante rieducare la popolazione a consumare vegetali nutrienti e locali.

Nel pre-Vertice, che si propone di «identificare le migliori pratiche per arrivare a sistemi alimentari salutari per produrre cibo nutriente accessibile a tutti e amico del clima e della biodiversità», usano le stesse parole i governi e gli attori sociali (movimenti agricoli, donne, giovani), ma anche colossi come la Banca mondiale: «Solo il 5% della spesa dei governi in agricoltura ha un impatto ambientalmente positivo»; «occorrono incentivi per produrre cibo buono e non fast-food». Il commissario europeo all’agricoltura Janusz Wojciekowski stigmatizza «la distanza fra il campo e la forchetta: ogni anno si percorrono 580 miliardi di tonnellate/chilometro». E il premier Draghi: «Trasformiamo il nostro modo di pensare, produrre e consumare cibo a livello globale».

Ma è tutto vero? Ha messo i piedi nel piatto l’economista statunitense Jeffrey Sachs intervenendo ieri pomeriggio: se si vuole essere seri, si tassino davvero i plurimiliardari – che invece corrono a colonizzare lo spazio. E non dall’Unfss verrà la giusta via, secondo la Contro-mobilitazione dei popoli per trasformare i sistemi alimentari ora nelle mani delle multinazionali (www.foodsystems4people.org). Moltissimi movimenti di contadini, agricoltori e braccianti, ambientalisti, senzaterra, consumatori – 380 milioni di affiliati in totale – hanno boicottato il pre-Vertice ufficiale, condannando il coinvolgimento del sistema economico e finanziario che promuove false soluzioni contro la crisi del cibo e l’emergenza climatica»: i progetti delle multinazionali, gli organismi geneticamente modificati, la biotecnologia, la digitalizzazione come panacea. Per l’Associazione rurale italiana, membro de La Via campesina, «L’Unfss è stato dirottato dagli interessi del business agroalimentare» minando l’assoluta centralità di contadini, lavoratori, popoli indigeni nel definire un sistema alimentare equo e sostenibile.

Mesi fa, Friends of the Earth International ha prodotto il rapporto Junk Agroecology, spiegando come noti giganti dell’agribusiness e della produzione alimentare, insieme al Forum economico mondiale, si siano appropriati addirittura del termine agroecologia per promuovere modelli di produzione e consumo alimentari nient’affatto ecologici né equi, plasmando inoltre le politiche alimentari globali e influenzando i governi. La contromobilitazione ha organizzato diversi eventi paralleli fra i quali, oltre alla maratona mondiale e virtuale di otto ore il 25 luglio, conferenze di approfondimento (è possibile seguirle online) su molti temi: l’Africa sub-sahariana e l’impatto dell’agricoltura industriale, la «sovranità tecnologica», il vero costo dei sistemi alimentari industriali «molto sviluppati», i conflitti di interesse («gli agricoltori rispettano gli scienziati ma spesso non è vero l’inverso», ha detto ieri Nettie Wiebe de La Vía Campesina e il ruolo centrale dei privati nel definire le politiche.

La vicesegretaria dell’Onu Amina Mohamed, rispondendo alla stampa, ha detto che il coinvolgimento degli attori privati si spiega con «il carattere inclusivo del processo del Vertice»; se si vuole avanzare verso i diciassette obiettivi dello sviluppo sostenibile (Agenda 2030), «occorre determinare con le imprese che cosa non devono fare nel futuro, per mettere al centro ambiente e diritti dei popoli».


 

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