Il Tav all’interno dei corridoi di mobilità europei: la militarizzazione dei territori

Daniela Bezzi

In tema con l’articolo Militarismo e polizia a firma di Andrew Metheven (coordinatore del Non Violence Program presso War Resisters’ International – che abbiamo ritenuto importante proporre ai nostri lettori in traduzione italiana dal webmagazine ROAR, ecco la notizia di un incontro intitolato Il Tav all’interno dei corridoi di mobilità europeaIl processo di militarizzazione dei territori, che si è tenuto qualche giorno fa al Csoa Gabrio di Torino, organizzato dall’Assemblea NoTav Torino e Cintura.

Data l’indubbia importanza dell’argomento e la qualità dei contributi, ve lo riproponiamo nel testo che segue, oltre che nella registrazione integrale.



Introduzione: Luca Bardino | Assemblea NoTav Torino&Cintura

Luca Bardino introduce l’incontro, che a nome della Assemblea NoTav Torino e Cintura sottolinea la militarizzazione sempre più pesante in Val di Susa dall’ultimo anno e mezzo a oggi, periodo in cui sfruttando la pandemia sono ripartiti i lavori di ampliamento del cantiere in Val Clarea.

Una militarizzazione che si è recentemente imposta con particolare dispiego di Forze dell’Ordine e con l’occupazione dei terreni destinati alla costruzione del ‘nuovo’ Autoporto di San Didero, che dovrebbe sostituire quello di Susa, che a sua volta ha sostituito decenni fa quello già pronto per entrare in funzione proprio a San Didero – un ‘ripensamento’ che costerà la bellezza di € 50 milioni, di cui 5 solo per le recinzioni e per video sorveglianza di ultima tecnologia, nonostante le ben diverse priorità evidenziate dalla pandemia, sia sul fronte della sanità che di ordine sociale ed economico. E una militarizzazione che coincide con il più generale progetto di rafforzamento militare all’interno della UE e con un rilancio di conflittualità da parte del blocco occidentale sia verso la Cina che verso la Russia.


Il Tav all’interno dei corridoi di mobilità
Foto di Diego Fulcheri

Già implicito in vari documenti EU fin dall’inizio del nuovo millennio, questo progetto ha registrato una particolare accelerazione dal 2017 in poi, in coincidenza con la Brexit. E’ infatti in quell’anno che – libero dai freni rappresentati dal governo inglese – il Presidente Junker annuncia la volontà di implementare entro il decennio successivo, il programma di Difesa Comune Europea, che prevede finanziamenti in ricerca e vera e propria produzione di dispositivi militari, oltre ai vari piani d’integrazione degli eserciti a livello europeo, tra cui la mobilità degli eserciti già dall’anno successivo.

È in questa prospettiva che si motivano i vari TEN-T (Network dei Trasporti Transfrontalieri) di cui fa parte anche la TAV all’interno dell’UE. Ed è sempre nel 2017 che, da parte delle varie Commissioni UE, si evidenzia la previsione di utilizzo per uso militare oltre che civile, con prioritaria attenzione alle carenze dell’est Europa (per la prossimità con la Russia), per esempio in termini di tenuta di carico e funzionalità delle infrastrutture già esistenti.

Solo due anni dopo, 2019, viene progettata la più grande esercitazione sui confini con la Russia, poi interrotta causa-Covid e solo recentemente ripresa sebbene in misura più contenuta.

Nello specifico della Torino/Lione emerge che la linea ad Alta Velocità già esistente non sarebbe sufficiente a trasportare, considerata anche la pendenza, materiale bellico di un tale peso da richiedere vagoni che potrebbero raggiungere anche le 120 tonnellate.

Alla luce di queste considerazioni si può meglio capire la determinazione con cui quest’opera viene portata avanti nonostante le critiche più volte argomentate rispetto al progetto originario.

Nicoletta Dosio

Interviene quindi Nicoletta Dosio (dal minuto 19,37) che sottolinea la coincidenza del progetto Alta Velocità con la nascita stessa dell’UE e con le varie guerre guerreggiate con la partecipazione attiva dell’Italia a fianco di NATO e US. “Preparandomi a questo incontro non ho potuto fare a meno di riandare con la memoria alle lotte di Comiso e Sigonella, per lo stoccaggio delle testate nucleari destinate alle prime guerre verso i Paesi arabi: fu lì che nacque l’idea dell’acquisto collettivo dei terreni come forma di resistenza – che poi replicammo come Movimento NoTav con l’acquisto collettivo di quel piccolo terreno in Val Clarea, un tentativo di inceppare quel sistema che procedeva in velocità con l’Alta Velocità…”

La Dosio ripercorre le tappe del progetto di integrazione UE. Nasce come progetto di mercato unico nel 1986, nell’89 vede la caduta del Muro di Berlino e “da lì parte non più la Guerra Fredda ma la guerra Calda da una parte sola.” A fine ‘91 inizia la Conferenza per il trattato di Maastricht che verrà firmato dagli stati membri nel febbraio ’92, ma già dal 17 dicembre ‘91 l’Italia è in guerra per la prima Guerra del Golfo, seguita da quella in Somalia nel 1992.

Tra il 1998 e il 1999 la guerra è in Kossovo, nel cuore dell’Europa; nel 2001 inizia quella in Afghanistan (che continua ancora oggi), di li a poco comincia la missione in Irak e nel 2011 l’Italia aderisce all’intervento in Libia: “l’esercito italiano è presente con 8000 militari su tutti i fronti di difesa del capitale, Libano, Kossovo, Libia, Niger, Lettonia, Somalia, Gibuti, Emirati Arabi… la Guerra di un’Europea che senz’altro non è Europa dei Popoli.”

Parallelamente a queste guerre, partono le guerre ai territori, e tra questi la Val di Susa per il progetto TAV il cui annuncio risale alla fine degli anni ’80, e già dai primi anni 90’, con la prima stipula di accordo tra Italia e Francia, “la valle capì come sarebbe andata: Torino blindata, impossibile portare i nostri striscioni a Palazzo Madama, chi tra noi tentò di intervenire al Consiglio Regionale si trovò denunciato per ‘interruzione di assemblea deliberante’”. 

Il ‘98 è l’anno dell’arresto di Sole e Baleno, entrambi assolti dopo essere morti (suicidi) in carcere. E poi, 8 dicembre 2005, i fatti di Venaus, con la riconquista dei territori grazie alla partecipazione di un’intera valle, una vittoria che purtroppo non si rinnova alla Maddalena in Val Clarea (luglio 2011).

Nel novembre dello stesso anno ecco la Legge di Stabilità che oltre a definire “le aree e siti del Comune di Chiomonte (…) area di interesse strategico nazionale”, introduce ‘un reato ad hoc per i NoTav’ renitenti alla Grande Opera “… che tra l’altro si sta allargando, perché i lavori sono ripresi o così sembra a giudicare dalle esplosioni sempre più frequenti in valle, in un clima di crescente militarizzazione (…) la Val di Susa è considerato terreno di guerra cui applicare il Diritto Penale del Nemico e non ci meravigliamo del livello di repressione perché questo è ciò che si fa contro i popoli di troppo, che devono essere eliminati a suon di guerre.”


Il Tav all’interno dei corridoi di mobilità
Foto di Diego Fulcheri

La Dosio ha lamentato l’impossibilità di reperire dati precisi circa questa presenza militare in valle, eccezion fatta per le spese ordinarie “fin dall’inizio stimate nell’ordine di € 98.000 al giorno, quindi dal 2011 in poi fate voi conti. Non sappiamo quanti siano esattamente, però sappiamo che ci sono, li vediamo ovunque, come è capitato a me andando recentemente ai Mulini: improvvisamente mi si sono parati davanti, un Lince al primo cancello, e poi la Digos, e mi hanno seguita fino a quando sono arrivata a destinazione e anche al ritorno.”

La Dosio ha sottolineato come questa idea di esercito UE sia l’ennesima espressione di fedeltà alla NATO in termini di ‘guerre del capitale nei confronti dei popoli’, al punto da prevedere una shengen area militare, ovvero il diritto di circolazione degli eserciti di tutti i paesi UE in tutti i paesi aderenti all’UE: “chiaramente un modo per intervenire laddove, prima o poi, scoppierà (speriamo) qualche ribellione, come chiaramente detto nelle stesse pubblicazioni dell’esercito…”

Nonostante la pandemia abbia contributo ad accrescere il consenso per le forze militari da parte della popolazione “non dobbiamo sentirci vinti né impotenti” ha concluso la Dosio. “Contro i loro eserciti c’è la nostra forza collettiva: se non abbiamo altro da perdere se non le nostre catene, abbiamo un mondo intero da conquistare! Contro l’idea dell’esercito UE, contro il diritto di circolazione di merci e capitali mentre nega quello delle persone, ci siamo noi – cambiare si può, questo il Movimento NoTav vuol farci capire. Dobbiamo solo prepararci a contrastare questa immane macchina da guerra prima che ci neghi ogni possibilità di futuro.”

Nicola Piras | A Foras

Prende quindi la parola (dal minuto 42,30) Nicola Piras, portavoce del Movimento A Foras contro la presenza delle Basi Militari in Sardegna. Ricollegandosi a quanto già detto dalla Dosio circa la militarizzazione del territorio, Nicola ha ricordato che l’opposizione ai primi espropri territoriali per le basi militari in Sardegna risale agli anni ‘50, ma è ripresa con particolare forza dal 2014.

“in un territorio come la Sardegna che è l’8% dello stato Italiano e ospita il 2,3% della popolazione, insiste il 60% del demanio militare italiano, diviso fra i tre poligoni più grandi d’Europa (Poligono interforza del Salto di Quirra, Poligono di Teulada e Capo Frasca), con esercitazioni militari che imperversano per nove mesi all’anno.” Nicola ha rievocato la crescita di attivismo da parte dei Comitati di protesta (in particolare quello studentesco) dal 2014 in poi.

Per la chiusura dei poligoni, la bonifica delle terre ormai totalmente inquinate, la restituzione ai legittimi proprietari delle terre requisite, fino al ‘salto di qualità’ che nel 2015 ha visto il movimento fisicamente presente all’interno delle Basi, dopo la forzatura delle recinzioni. La risposta repressiva non si è fatta attendere e si preannuncia molto pesante, “al momento ci sono 5 compagni e compagne imputat* di reato di associazione a delinquere con finalità di terrorismo, e con loro altri 40 per reati collegati: il 14 settembre è prevista la seconda udienza preliminare che confermerà o no la severità di questo impianto accusatorio, che in ogni caso rivendichiamo come legittima opposizione a una occupazione territoriale che riteniamo inaccettabile.”

Nicola ha poi descritto lo scenario di esercitazioni internazionali degli ultimi mesi. Particolarmente attiva l’Aereonautica di Israele, già responsabile dell’Operazione Piombo Fuso, che si ripresenta proprio nel momento in cui riparte il conflitto Israele/Palestina – insieme all’Aereonautica US, a quella inglese e a quella italiana.

“Dal 1° di ottobre al 30 maggio abbiamo fuoco in tutti i poligoni: via mare, terra, aria, bombardamento continuo. Dal 17 al 29 maggio abbiamo avuto esercitazioni internazionali da parte di tutti gli eserciti della NATO, l’hanno chiamata Joint Stars 2021 e ha imperversato ininterrottamente su tutto il Mar Tirreno e canale di Sardegna con lancio di paracadutisti, ripetute prove di artiglieria sulle nostre coste e solo qualche mese prima, a marzo, abbiamo ospitato un mega aviotrasportatore USA, oltre alle varie brigate italiane, le divisioni Garibaldi e Taurinense.

Siamo insomma il parco giochi della NATO e dell’industria bellica italiana per il test di nuove armi, Leonardo, Finmeccanica etc vengono da noi per il collaudo di missili e carri-armati prima di venderli a tutti gli stati del Mondo. Come se non bastasse, in Sardegna vengono a esercitarsi anche gli 007 egiziani, gli stessi implicati nella storia di Giulio Regeni ed è inutile che lo Stato Italiano finga di fare la voce grossa quando nel 2020 è stato il 1mo venditore di armi all’Egitto!”

Un’ipocrisia che Nicola Piras ha ulteriormente documentato mettendo a fuoco il caso della Leonardo, ex Finmeccanica, che ha deciso di investire nel territorio sardo rilevando dalla Luftwaffe tedesca l’aeroporto di Decimomannu e in partnership con il Qatar ha inaugurato una International Flight Training School per addestrare i top gun di mezzo mondo: “nonostante sia un’azienda a tutti gli effetti privata, ha la possibilità di investire sul demanio pubblico in terra di Sardegna!”.

Un aspetto particolarmente inquietante in questo scenario di business militare è il cosiddetto dual use, dove l’intervento sul fronte civile tenta di mascherare quello militare. “Il PD al governo fino a qualche anno fa, ha cercato di affermare una tesi riduzionista per quanto riguarda questi poligoni di tiro, che da soli occupano 35.000 ettari del territorio sardo, spacciandoli per eccellenze tecnologiche e di protezione civile. Ma è noto che nel distretto aereospaziale sardo vengono testati i reattori Vega della Avio, oltre ai vari test della Leonardo e imprese ad essa collegate: tecnologia radar, sviluppo di droni ecc si tratta di un investimento che vede partecipi università, enti di ricerca, gruppi pubblico/privato come Sardegna Ricerche al cui vertice c’è un ex amministratore di Leonardo per cui il cerchio si chiude”.

Con l’avvento della giunta leghista di Solinas questo impegno cosiddetto dual use si è intensificato come dimostrano i due protocolli d’intesa tra Stato e Regione (marzo scorso) per far entrare la protezione civile, il corpo forestale, i vigili del fuoco nel poligono di Teulada, con l’obiettivo (a detta del Ministero degli Interni) di intensificare le possibilità di cooperazione tra militari e protezione civile sul fronte per esempio delle misure anti incendio, delle varie operazioni di salvataggio, inaugurando per così dire una nuova fase di tendenziale accettazione della presenza militare tra la popolazione civile.

“In quest’ottica il Covid ha fornito le condizioni ideali d’intervento, in cui i militari hanno potuto giocare il ruolo di sostituti dello stato, organizzando ospedali da campo, rendendo vero e proprio evento la somministrazione dei vaccini, godendo del massimo protagonismo quando si è trattato di mobilitare addirittura gli elicotteri per il trasporto dei pazienti: imponente dispiego di propaganda in un  territorio che è da anni teatro della più invasiva occupazione militare.”

Sergio Cararo | contropiano.org

Il microfono è quindi passato a Sergio Cararo, Direttore Responsabile della rivista online contropiano.org (dal min 56,30 circa) che ha ricordato gli accordi che UE e NATO avevano siglato in materia di trasporti strategici in area Europea già dal 2016, in particolare gli impegni da parte di Bruxelles circa il finanziamento di progetti infrastrutturali in linea con i requisiti della NATO per 6,5 Miliardi di Euro, con la diretta partecipazione US benché non sia paese membro UE e con la richiesta specifica di facilitazione degli spostamenti dei materiali e truppe in area europea.

In epoca ancor più recente (marzo di quest’anno) un nuovo documento testimonia la volontà del parlamento europeo di volgere a fini militari la rete infrastutturale. “Il che spiega anche l’accanimento contro il movimento No Tav” ha sottolineato Cararo. “Non solo Grande Opera da completare a tutti i costi, cara al Partito trasversale degli affari, ma funzionale alla mobilità militare in UE. In effetti qualche curiosità ci era venuta, quando all’inizio si parlava di corridoi strategici, assi multi-modali, trasporto merci+passeggeri+materie prime da est a ovest per poi estendersi in Medio Oriente, Asia, Russia…

Sui corridoi c’è stata la guerra in Jugolsavia, che in effetti ha spazzato via quello che era il Corridoio 10 che andava dal porto di Varna sul Mar Nero fino in Germania e ha asciato il Corridoio 8 che arriva in Italia, ha a che fare con la TAV in Puglia e poi il Corridoio 5 che riguarda anche il Tav in Val Susa…

Tutto questo viene anticipato in un documento del 2007 della Difesa Italiana che dice testualmente: ‘Il trasporto di superficie resta per la difesa un’opzione estremamente valida dalla quale non si può prescindere e che deve essere integrata nel sistema globale relativo alla movimentazione delle Forze d’Intervento. Il trasporto ferroviario può essere considerato una valida alternativa di trasporto strategico.

E a supporto di questo ragionamento porta ad esempio il trasporto di materiali militari in Afghanistan (dove i nostri militarsi stavano impegnati già da sei anni) che per via ferroviaria è costato solo € 500.000 a fronte di € 1.250.00 previste per via aerea. Un’indubbia convenienza per il Ministero della Difesa sul piano economico oltre che strategico, replicata anche in Kossovo.”

Anche l’intervento di Cararo si è soffermato sull’aspetto dual use che di fatto inverte la storia degli ultimi decenni nel campo dell’innovazione: “se fino a qualche tempo fa le innovazioni in campo militare trovavano applicazione in campo civile, adesso succede quasi il contrario, la ricaduta è dal civile al militare, in un’accelerazione che ben delinea gli scenari nei quali ci troviamo ad agire e che ci impongono il massimo sostegno per tutti i movimenti impegnati nella denuncia di queste situazioni.”

Giacomo Cacia | Movimento NoMuos

Ed eccoci al contributo di Giacomo Cacia (da 1.08.56) portavoce del Movimento No Muos che ha innanzitutto rievocato le motivazioni dell’opposizione al cosiddetto Mobile User Objective System, che sostanzialmente consiste di vari satelliti che ruotano intorno alla terra coordinati da quattro stazioni terrestri: in Virginia (US), Australia, Hawai e per l’appunto Niscemi, al servizio delle Forze Militari US e della NATO per controllare tutte le operazioni militari nel pianeta.

“Il MUOS e Niscemi fanno parte di questa metastasi di un grosso cancro che purtroppo riguarda anche la Sicilia” ha sottolineato Giacomo, “esattamente come nel caso della Sardegna che è stato documentato da Nicola Piras”.

Oltre a Niscemi la Sicilia serve la NATO con la base militare di Sigonella, nei pressi di Catania, che negli ultimi anni è stata ristrutturata e ampliata per diventare la capitale mondiale dei droni, aerei senza pilota che vengono utilizzati per effettuare ricognizioni in tutta l’area del Mediterraneo oltre che per compiere azioni di guerra.

Per non dire del porto di Augusta, che ospita stabilmente i sommergibili a testata nucleare della NATO, oltre ad altre situazioni sparse in tutta la Sicilia tra depositi di materiali e strutture di servizio “alcuni addirittura segreti, di cui non si sa esattamente l’ubicazione: la Sicilia è di fatto la portaerei del Mediterraneo, con un ruolo determinante negli scenari di guerra a venire perché da lì partiranno fisicamente, o verranno controllati, tutti i mezzi utili per la guerra.

Il MUOS ormai è stato costruito, nonostante una lotta durissima nel biennio 2005/6 da parte della popolazione, soprattutto dei compagni che già avevano vissuto la battaglia di Comiso, avevano lottato contro la creazione della base di Sigonella, con momenti altissimi di lotta popolare. Ad esempio nel 2013 Niscemi si è fermata totalmente con uno sciopero generale, la base militare americana è stata invasa per ben due volte da un corteo di massa, per diversi giorni gli attivisti hanno sabotato a tutti gli effetti la guerra impedendo le comunicazioni… Ma chiaramente il nemico era troppo imponente e il MUOS è stato costruito”.

Il dato ineludibile circa lo scenario di guerra che avanza è l’aumento delle spese militari. Oltre € 70 milioni al giorno, una spesa che è destinata ad aumentare in linea con le previsioni di aumento degli introiti nelle tasche della NATO da parte degli stati membri “e se le spese aumentano vuol dire che la guerra è prevista, perché le guerre si preparano.”

Un aumento delle spese militari a fronte di spese sociali che decrescono, persino in tempo di pandemia. Questa la realtà di un mondo sempre più multipolare, con aziende sempre più in concorrenza fra di loro, in uno scenario di guerre dei dazi o commerciali che prima o poi diventeranno guerre vere, tra l’altro avendo già chiari i beneficiari dell’opera di ricostruzione per le aree che verranno distrutte “come si è visto qualche giorno fa con l’incontro tra il Governo libico e il Ministro degli Esteri Di Maio che si è presentato insieme al Gotha degli industriali italiano, non solo Finmeccanica, anche Snam, ENI, Saipem, Pietro Salini per il settore delle costruzioni (implicato anche nella costruzione del TAV non solo in Val Susa) e persino il Gruppo San Donato in rappresentanza della sanità privata, a dimostrazione del fatto che il grosso affare libico è quello della ricostruzione.

Per questo pensiamo che opporsi alla guerra sia fondamentale, non solo perché siamo da sempre ideologicamente contrari alla guerra, ma perché consapevoli che questo sarà lo scenario del capitalismo nei prossimi anni.

Per questo noi il 7 agosto saremo di nuovo a Niscemi e siete tutti invitati: il Covid ci impedirà di fare il solito campeggio, ma in contrada Ulmo terremo un seminario di formazione in focus sulla situazione in Sicilia sullo sfondo di questi scenari di guerra, e nel pomeriggio sfileremo in corteo dal presidio fino a Niscemi, costeggiando la base militare che tra l’altro sorge dentro un’area d’interesse comunitario per cui non sarebbe possibile costruire nulla, ma loro sono riusciti a recintare oltre un milione di metri quadri di terreno.”

Francesca Bertini | Cambiare rotta

Ha preso quindi la parola Francesca Bertini dell’Organizzazione Giovanile Comunista Cambiare Rotta (dal min 1.20,20 ca) che ha essenzialmente analizzato in quanti e quali modi l’Università e il mondo della ricerca stanno intensificando i rapporti di collaborazione con l’industria bellica, una situazione già più volte documentata nel caso di TELT (la società italo-francese che ha in appalto i lavori di scavo per il TAV in Val Susa) della quale l’Università di Torino è completamente complice sul fronte di un “greenwashing di facciata, perché sappiamo benissimo in quanti modi il progetto TAV avrà un impatto avverso sia sull’ambiente sia sulla salute della popolazione, cosa che abbiamo ripetutamente denunciato non solo in termini di documentabile devastazione, ma come danno per la ricerca, perché è proprio concedendo sempre più spazio all’interesse dei privati che si svilisce la ricerca.”

Francesca ha poi sottolineato il ruolo del TAV nella competizione con altri soggetti geopolitici nella costruzione di corridoi militari all’interno di UE. Il che aggrava ulteriormente la responsabilità di UniTo per il fatto di mettere a disposizione di un progetto funzionale alla mobilità militare la forza intellettuale dei propri ricercatori e studenti. In proposito Francesca ha menzionato anche la strettissima collaborazione che UniTO ha già da anni stipulato con Technion (Israel Institute of Technology) per la costruzione di quegli stessi droni e bulldozer poi impiegati dall’industria bellica israeliana nell’occupazione militare della Palestina – una vergogna che l’UniTO condivide con parecchie istituzioni in tutto il mondo, non meno di 135 solo in Italia, tra cui anche il prestigioso Politecnico di Milano.

E tra l’altro si considera Isreale un’eccellenza nel campo della ricerca e della formazione a livello UE, come dimostra il programma Horizon 2020 proprio per ricerche dual use, ovvero a scopo civile che poi vengono impiegate per scopi militari. “Il fatto che la scienza non sia neutra non è una novità, pensiamo al progetto Manhattan alla fine della seconda guerra mondiale” ha osservato Francesca “ma l’intensificarsi di questa collaborazione rappresenta un’ulteriore vantaggio che la società capitalista trae dalle sfera della conoscenza, fin dalle fasi di formazione e sviluppo: la formazione assume il ruolo di vantaggio competitivo, la scienza diventa l’elemento più significativo di competizione tra potenze imperialiste non solo a livello economico ma a livello militare, come si è visto con il recente incontro tra Draghi e Biden, che hanno confermato il ruolo dell’Italia in uno scenario atlantista, in contrapposizione con Cina e Russia.”

Riferendosi ai già citati finanziamenti rappresentati dall’European Defence Fund varato dallo stesso Junker nel 2017 (subito dopo la Brexit), destinato a progetti di ricerca industriali e militari, Francesca ha sottolineato l’accelerazione fornita dalla pandemia, e ha citato il Next Generation UE che tipicamente fa leva su tutti questi elementi di riorganizzazione produttiva, digitalizzazione, cosiddetta green economy e così via, concepiti come il volto verde con cui il capitale vorrebbe salvarsi dalla crisi. “In tutto questo la spesa militare gioca un grosso ruolo. Una parte dei finanziamenti del Recovery Fund andrà in spesa militare per la produzione di nuovi mezzi in linea con il ruolo strategico dell’Italia nel Mediterraneo, attivazione di programmi specifici nell’ottica di creare distretti militari intelligenti.”

A questo proposito Francesca ha citato alcuni dati: fra il 2018 e il 2020 UE ha stanziato oltre € 500 milioni per la produzione di armi e relativa ricerca, in particolare per il progetto Eurodrone per lo sviluppo di due tipi di droni, uno con finalità di spionaggio, l’altro per annientare gli obiettivi individuati “e partner di questo progetto saranno tutti i marchi leader dell’Industria militare, Airbus, Rousseau, Leonardo, Finmeccanica, a conferma del primato della privatizzazione sulla ricerca.”

In tema di militarizzazione civile nei termini ricordati sia da Nicoletta Dosio che da Nicola Piras, Francesca ha ricordato che la ristrutturazione della ricerca non passa solo per gli atenei ma anche per le Accademie militari. Ha citato un incontro nello scorso aprile tra l’Accademia Militare di Torino e quella di Modena, alla presenza di tutti i vertici delle istituzioni in Piemonte, dal Presidente di Regione al Rettore, oltre al sottosegretario alla difesa, per la formazione di personale sempre più idoneo a rispondere alle esigenze sul piano civile.

“Pensiamo solo a come siamo arrivati ad avere un commissario straordinario come Figliuolo nel ruolo che ricopre, sebbene privo di competenze e persino consulenze specifiche in campo medico” ha aggiunto Francesca avviandosi alle conclusioni. “Una cosa simile è stata possibile grazie alla percezione che si è via via affermata, circa la superiore affidabilità della gestione militare per far fronte all’emergenza.

Sappiamo quanto ciò sia falso e in Val Susa abbiamo la prova lampante della reale funzione delle truppe di occupazione, chiamate a difendere un’opera che le popolazioni locali rigettano da sempre. Ecco perché è importante non solo decostruire la facciata di una UE che si presenta come pacifista mentre non ha mai smesso di promuovere tutte le guerre tuttora in corso a poca distanza da dove viviamo, ma senz’altro rafforzare un’opposizione che sia anti-militarista e anti-imperialista, oltre alla consapevolezza circa le tante guerre interne: ai diritti sociali, al welfare, alla sanità, all’istruzione.”

Maria Matteo | Assemblea antimilitarista

È intervenuta infine Maria Matteo di Assemblea antimilitarista di Torino (h 1,34,50) che provando a riassumere in estrema sintesi quanto detto in precedenza ha definito “non immediatamente tangibile la prospettiva di un esercito europeo, mentre possiamo già toccare con mano il progetto d’integrazione delle polizie: massima libertà di circolazione per le merci mentre si chiudono sempre di più le frontiere per i migranti.”

Maria ha sottolineato la graduale trasformazione dello strumento bellico e militarista che negli ultimi anni ha reso sempre meno visibile la differenza tra guerra interna ed esterna, a partire dalla fine del 2008, quando per la prima volta i militari vennero impiegati nelle nostre città per l’Operazione Strade Sicure per rispondere alla minaccia del terrorismo. “Dovevano essere misure eccezionale, di protezione per qualche ambasciata, monumento, luoghi sensibili, ma nel nostro paese le misure eccezionali diventano presto normali, e infatti si è subito capito cosa significavano quelle misure in val Susa, in Sicilia, nelle nostre periferie urbane, in particolare qua a Torino nei quartieri Aurora e Barriera abbiamo visto come la frontiera si stava spostando”.

La pandemia ha impresso un’ulteriore accelerazione in questo processo, in particolare quando nel marzo dell’anno scorso i militari sono stati promossi a poliziotti. “Fino a quel momento le funzioni erano separate, i militari si muovevano accompagnati da polizia e carabinieri; adesso se un militare ti ferma per strada, ti può perquisire e arrestare. La differenza tra guerra esterna e guerra interna si è assottigliata, nemici possono diventare anche i cittadini all’interno dello stesso paese, o quelli cercando di entrare vengono dichiarati non-cittadini.”

Uno scenario, ha sottolineato Maria, che gli strateghi della NATO avevano capito già 20 anni fa, prospettando momenti di esercitazione contro ipotetiche insurrezioni urbane, in un’ottica di globalizzazione della repressione. “Nel caso dell’Italia siamo di fronte a un imperialismo tricolore sempre più aggressivo, forte e mirato: poco fa Nicoletta parlava di circa 8000 militari impegnati nei vari scenari di guerra, ma dalla fine di giugno questo numero è cresciuto grazie al rifinanziamento approvato dal Consiglio dei Ministri sulle missioni militari all’estero che non sono più 38 bensì 40, tra cui una particolarmente strategica nel golfo di Hormuz sotto l’IRAN per cui i militari diventano oltre 9000 e la spesa sale dal miliardo dell’anno scorso a un miliardo e 200 milioni.”

Maria ha fatto notare che mentre dieci anni fa gran parte delle operazioni militari italiane si svolgevano al seguito o all’interno di missioni NATO, adesso la partecipazione si caratterizza per una maggiore autonomia, nel quadro di un imperialismo che si gioca in competizione con imperialismi vicini, per esempio nel caso della guerra per il controllo della Libia si è trattato di una mossa che ha visto alleati Francia e UK per indebolire l’Italia ed oggi vede una crescente presenza turca in zona “e non a caso il governo Draghi tenta di finanziare il governo Libico per bloccare i migranti perché altrimenti in questo sporco lavoro rischiamo di vedere i turchi, i quali aprono o chiudono il rubinetto delle migrazioni a seconda delle pressioni e del controllo che riescono a esercitare nel territorio.

Ma questo è soltanto un esempio, la concorrenza inter-europea si è vista anche in Niger quando la Francia ha ostacolato il primo tentativo di missione militare italiana in quel paese. Solo adesso che la Francia sta per abbandonare la missione Barkhane ecco che l’Italia si trova coinvolta nella missione Takuba e quest’anno il Niger si arricchirà di una base militare italiana.

E se vogliamo capire la logica di tutto questo basta vedere chi affianca il nostro Ministro degli Esteri ogni volta che si trova a visitare o ricevere il capo di stato di un qualunque paese africano: non mancherà mai Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, questa multinazionale predatoria che ultimamente sembra molto vicina a Bengasi solo perché ha iniziato a trivellare al largo della Libia”.

Maria avrebbe altri esempi che documentano questo crescendo di aggressività dell’Italia, ma dati i limiti di tempo ritiene sufficiente registrare la costante espansione di Leonardo in competizione con i maggiori colossi dell’industria bellica a livello mondiale.

“Per venire al nostro piccolo Piemonte non tutti sanno che solo pochi giorni fa è stato presentato il progetto di una faraonica Cittadella dell’Aerospazio, un progetto del MISE del valore di € 140 milioni, la metà dei quali sull’automotive ex Fiat, l’altra metà a favore di Leonardo e Thales Alenia Spaces, progetto colossale che vede protagonista anche il Politenico e che riflette l’indubbio primato dell’Italia in ambito aerospaziale, al 7mo posto a livello mondiale e al 4to a livello europeo, con industrie del calibro appunto di Alenia, Avio, Stellantis e tante altre, da anni protagoniste di una  vera e propria Mostra Mercato dell’Industria aerospaziale che si tiene ogni due anni all’Oval Lingotto di Torino – le date di quest’anno saranno tra il 30 novembre e il 2 dicembre a porte rigorosamente chiuse, perché gli unici ammessi saranno gli addetti ai lavori.

Come Ass.ne Antimilitarista nel 2019 abbiamo provato a fare un corteo di protesta il sabato precedente, poi di nuovo di fronte alla Camera di Commercio che è uno dei principali sponsor insieme alla Regione Piemonte, oltre a un blitz a sorpresa per cercare di intralciare l’ingresso…  ma l’assoluta discrezione anzi segretezza che ha caratterizzato l’evento, con la partecipazione di ben 600 aziende da 30 diversi stati, parlava da sola! In mostra c’erano i caccia bombardieri Eurofighter Typhoon che Alenia costruisce a Torino Caselle in joint venture con Lockeed Martin, mentre nello stabilimento di Cameri costruisce i cassoni alari per gli F35 JSF, oltre ai droni da guerra!”

Maria chiarisce di aver citato solo alcuni marchi principali dell’industria bellica italiana, che però genera un gigantesco indotto, “è il vero core business del Piemonte e un core business che non conosce crisi, perché finché c’è guerra c’è speranza, titolava un vecchio film… Ma la domanda che viene spontanea di fronte a un tale display di giocattoloni è a cosa servono, perché siamo abituati a pensare alle guerre come un fatto lontano, verso il quale è possibile una reazione solo morale, come per le manifestazioni arcobaleno che tentarono (senza riuscirci) di fermare la Guerra del Golfo… ma in realtà possiamo fare molto di più se solo pensiamo che i militari sono nelle nostre strade, l’Alenia è a due passi da dove siamo riuniti qui oggi!

E quindi possiamo chiedere di chiudere questi spazi, possiamo provare a inceppare quella orrenda mostra mercato che ogni due anni tutti gli organismi ai vertici di questa città sponsorizzano, compresi Università e Comune. Tutti quanti sostengono questo show di distruzione strategica, ma noi… possiamo almeno provare a metterci di mezzo, e inceppare il meccanismo perché vincere, almeno ogni tanto, fa bene!”

A conclusione del suo intervento Maria Matteo ha ricordato l’entusiasmo di una commemorazione che nel 2005 la vide coinvolta fra quanti avevano in qualche modo attraversato la lotta contro il Tav, un entusiasmo motivato dal fatto che quell’anno il Movimento aveva dimostrato che vincere era possibile grazie all’azione diretta di una moltitudine che si era opposta al cantiere.

Nel corso degli anni la militarizzazione è spaventosamente cresciuta in Val Susa, è aumentato il livello di violenza, con migliaia di arresti, decine di anni di carcere combinati, multe milionarie “motivate dal fatto che dovevano a tutti i costi sconfiggere quella speranza che si era riaccesa con la battaglia di Venaus nel 2005. Ma noi portiamo nel cuore il ricordo di quella lotta e se sapremo nuovamente essere tanti riusciremo di nuovo ad inceppare questa produzione di morte, perché come si inceppa un cantiere si possono inceppare le basi della guerra, gli accessi a quella mostra aerospaziale, gli ingressi alle fabbriche di morte. E ciò è possibile, a partire dalla lotta di tutti i giorni.”

Conclusioni | Luca Bardino

Il microfono torna al conduttore, Luca Bardino, per le conclusioni (h. 1.56): “sono emersi parecchi elementi utili ad inquadrare almeno in parte le motivazioni che hanno continuato ad imporre il Tav in questi anni e particolarmente in questo ultimo periodo, nonostante l’opposizione della popolazione: non solo oggetto di green washing e leva di speculazione all’interno del recovery plan, ma progetto che si situa in un piano di rafforzamento degli eserciti a livello europeo.”  

In finale d’incontro due interventi dal pubblico. Il primo che chiede dove è possibile reperire una maggiore documentazione sui temi oggetto dell’incontro e la risposta di Luca sottolinea la particolare segretezza di alcuni documenti, sullo sfondo di un calendario ancora in progress, in un quadro di notevole opacità particolarmente per quanto riguarda i finanziamenti sul fronte italiano del progetto – il che motiverà successivi interventi e approfondimenti. 

Il secondo (h 2,05,32) di Enzo Ferrara, Presidente del CSSR, che in qualità (anche) di ricercatore in fisica dei materiali presso l’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica, ha osservato che le reti ferroviarie sono sempre state strategiche. “Francesca ha ben documentato gli interessi che ormai dominano gli ambienti della ricerca e delle Università, vorrei solo citare il Prof. Enrico Pira regolarmente incaricato di redigere i rapporti sulla sostenibilità ambientale e sanitaria del TAV … ed è pazzesco quello scrive! Il dramma è che sempre più i militari siedono nei consigli scientifici, per esempio dove lavoro io la Moratti ha introdotto una rappresentanza del Ministero della Difesa, cosa che non c’era mai stata prima (…) e se guardate il Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa della ex ministra Roberta Pinotti, eccola sostenere che la ricerca industriale deve guardare al militare come riferimento, suggerendo un preoccupante rovesciamento dei valori”.


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