Principio di tolleranza e suo limite

Autrice
Giulia Siotto

Uno spunto a partire dal testo On Toleration di Michael Walzer


principio di tolleranza
Foto di Pablo Perez da Pixabay

Hai mai pensato a una società governata dal principio di tolleranza? Ci potremmo trovare di fronte a un simile scenario: non avremmo più guerre e conflitti, ma anzi persone e culture diverse riuscirebbero a convivere insieme pacificamente. Allora troveremmo i musulmani tollerati dagli occidentali, gli omosessuali dagli eterosessuali e perfino le persone più povere sarebbero tollerate dai super-ricchi! Basta guerre, basta attentati, finalmente riusciremmo a stare nello stesso spazio senza sentirci minacciati. Le cose però stanno proprio così? Chiediamoci infatti se quella che abbiamo immaginato sia una vera e propria utopia oppure se non ci sia un elemento oscuro pronto a minacciare la nostra società fantastica…

In un testo che ha fatto scuola, cioè Sulla tolleranza (1997), Michael Walzer ci aiuta a comprendere i limiti insiti nel principio di tolleranza. L’autore mette in luce come nell’essere tolleranti non ci si atteggia in modo neutrale, ma si ripropone una specifica dialettica. Questa la si riesce a riconoscere ancora più chiaramente quando si è dalla parte di chi è tollerato (passivo). «Al pari di ogni ebreo americano» – racconta autobiograficamente Walzer – «sono cresciuto pensando a me stesso come a un oggetto nei confronti del quale poteva esercitarsi la tolleranza»[1]. Non appena ci immaginiamo oggetto di tolleranza o ancora più esplicitamente subiamo la tolleranza, allora notiamo subito una cosa. Ci sentiamo infastiditi, come se ci fosse una distanza che separa noi e l’altro, come se ci fosse un debole e un forte, un modello a cui confermarsi e a cui cercare di far parte.

Una “costitutiva disegualglianza”

È proprio questa diversità tra gli agenti che Walzer rimarca e mette in luce nel suo testo. La tolleranza è impossibile senza una costitutiva diseguaglianza tra chi l’esercita e chi la subisce. In tutti i casi di tolleranza si può distinguere sempre tra un tollerato, che si trova in una posizione di inferiorità, e il tollerante invece si trova in una posizione di potere. Per questo motivo, la pratica della tolleranza non la possiamo pensare come una dinamica candida, ingenua o buona. La ragione è che essa non fa altro che rimarcare la differenza tra chi detiene il potere e chi invece viene fatto oggetto di questo potere; tra chi si trova in una posizione di privilegio e chi invece di inferiorità.

Assodato che la tolleranza non è una pratica ingenua, ma che essa è espressione dell’esercizio del potere – il tollerante è chi detiene il potere, il tollerato colui che è oggetto di questo potere -, a ciò dobbiamo aggiungere un elemento. La tolleranza non è da pensare come qualcosa di negativo e un male da debellare dalla nostra società. Essa è infatti ciò che promuove la pacifica convivenza. Senza di essa non avremmo quell’elemento di quiete e pace tra gruppi diversi.

Sopportare o supportare?

Dunque, ritornando al nostro esperimento mentale iniziale. Non è un caso che quando immaginavo la nostra società ideale retta dal principio tolleranza si arrivava comunque a pensare a un luogo esente dai conflitti o dalla guerra. Tuttavia, occorre anche essere consapevoli che la tolleranza non fa altro che riproporre la dialettica tra forte e debole o tra ricco e povero. Immaginavo infatti un qualcuno che veniva tollerato quasi per concessione da un altro che era in una posizione di dominio. Insomma, il fondo oscuro della tolleranza è presente quando essa si limita a essere un sopportare l’altro. Nella nostra società ideale, invece, vorremmo guardare ancora più alto e non solo sopportare, ma supportare il diverso.


Nota

[1] Walzer, Sulla tolleranza, Prefazione, Roma- Bari, Laterza, 1998, p. XI.


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