Il C.P.R. di Torino è una ferita nello stato di diritto


Il C.P.R. di Torino è una ferita nello stato di diritto

La morte di Moussa Balde, il 23 maggio, nei così detti “ospedaletti” del CPR di Torino, ci interroga, come cittadini e come giuristi, su alcune fondamentali questioni in merito al trattamento oggi riservato ai migranti: il C.P.R. di Torino è una ferita nello stato di diritto.

Moussa Balde è stato trattenuto al C.P.R., e prima ancora è stato condotto presso gli uffici di polizia di Ventimiglia, perché cittadino straniero irregolare, subito dopo aver subito una selvaggia aggressione da parte di tre italiani, a Ventimiglia, il 9 maggio. Per quanto noto in questa fase, la sua condizione di persona offesa è stata immediatamente dimenticata, a causa dell’irregolarità del suo soggiorno, e non gli era stata fornita alcuna delle informazioni conseguenti, quali, tra l’altro, la facoltà di presentare denunce o querele, il diritto di chiedere di essere informato sullo stato del procedimento, la possibilità di avvalersi dell’assistenza linguistica. Gli è stato di fatto negato il diritto di partecipare al procedimento penale.

Moussa Balde aveva anzi riferito di non avere neppure compreso che l’aggressione avesse generato delle indagini, che i suoi aggressori fossero stati identificati, né tantomeno sapeva che c’era un video che aveva ripreso quella aggressione (all’ingresso nel CPR i trattenuti vengono privati dei telefoni cellulari, benché la legge garantisca la libertà di comunicazione anche telefonica con l’esterno, e non hanno accesso ad internet). Questa prima parte della vicenda conferma per l’ennesima volta che per lo Stato italiano la persecuzione degli stranieri privi di un permesso di soggiorno è considerata una priorità assoluta, da esercitare a qualunque costo, anche a scapito di diritti fondamentali (in alcuni casi, e il Mediterraneo ne è muto testimone, anche della vita dei migranti).

Il C.P.R. di Torino è una ferita nello stato di diritto

L’altra grande questione che la tragedia di Moussa Balde solleva riguarda ciò che accade dentro i CPR italiani, e dentro il CPR di Torino in particolare.

Moussa Balde vi è stato rinchiuso senza alcuna valutazione preliminare sulla sua idoneità psichica al trattenimento e ciò nonostante le presumibili conseguenze di un’aggressione tanto violenta.

Appena entrato al C.P.R., è stato privato del telefono cellulare ed è stato collocato nei c.d. “ospedaletti”, vere e proprie celle di isolamento non previste dalla normativa, separate dalle altre aree, lontane dagli uffici e dall’infermeria, dove è impossibile effettuare un controllo o un’osservazione di chi vi è rinchiuso. Luoghi in cui una patologia psichiatrica o una semplice depressione sono destinati ad aggravarsi e dove è purtroppo molto facile, in solitudine, compiere gesti anticonservativi.

Lo stesso CPR, le medesime camere di isolamento, dove, nel luglio del 2019, era morta un’altra persona, Faisal Hussein, affetto probabilmente da problemi psichici e abbandonato per cinque mesi nella segregazione del C.P.R. di Torino.

La vicenda di Moussa Balde ci deve ricordare quali sono le effettive priorità, che i diritti fondamentali non possono essere sacrificati e che non possono esistere luoghi di detenzione privi di regole, dove la vita delle persone è consegnata all’arbitrio.

I C.P.R. (che per ignoranza qualcuno continua a chiamare “centri di accoglienza”) sono strutture in cui le persone trattenute vengono private della loro umanità, parcheggiate e abbandonate, in condizioni peggiori rispetto a quelle esistenti in carcere, proprio per la carenza di regole e di garanzie. Anche i pochi diritti riconosciuti vengono sistematicamente calpestati da quella stessa pubblica amministrazione che le regole è chiamata a far osservare (e che sanziona con la privazione della libertà personale e con l’espulsione chi ha violato la normativa sul soggiorno).

Tra le numerose violazioni rilevate, queste le più gravi:

  • la verifica dell’idoneità sanitaria al trattenimento viene fatta da medici interni del CPR, e non, come previsto dall’art. 3 del Regolamento CIE emanato dal Ministero dell’Interno il 2.10.2014 prot. n. 12700, da medici esterni afferenti alla ASL o alle strutture ospedaliere, prima dell’ingresso. E – come il caso di Moussa Balde dimostra con brutale evidenza – nessuna verifica di compatibilità psichica viene effettuata;
  • il sostegno psichiatrico non è stato garantito dal marzo 2020 al febbraio 2021 e rimane comunque insufficiente e discontinuo;
  • vengono trattenute persone presunte minorenni, in aperto contrasto con la normativa vigente;
  • sebbene la legge non consenta l’isolamento dei trattenuti, la misura viene abitualmente e arbitrariamente utilizzata, senza obbligo di motivazione né possibilità di impugnazione o riesame;
  • durante l’isolamento, i trattenuti vengono ristretti in celle pollaio, che ricevono luce solare per poche ore al giorno solo nel cortile (con visuale oltretutto limitata da una tettoia), senza diritto di uscire né di usare un telefono;
  • vengono utilizzati luoghi di trattenimento non ufficiali (le celle di sicurezza nel seminterrato), nemmeno dichiarati al Garante nazionale e scoperti casualmente da quest’ultimo in occasione della visita del 2.3.2018;
  • in spregio al diritto alla libertà di comunicazione con l’esterno sancita dall’art. 14, comma 2 del Testo Unico sull’Immigrazione e dall’art. 20, comma 3, del Regolamento di attuazione, i trattenuti vengono privati del telefono cellulare, così perdendo anche l’accesso ad internet, principale strumento di comunicazione e di informazione; le telefonate possono essere effettuate solo verso l’esterno, a pagamento e con linea fissa, con la conseguenza che, in considerazione dei costi, è estremamente difficile mantenere contatti con i parenti all’estero; i trattenuti non possono ricevere, privati del proprio apparecchio cellulare, chiamate dall’esterno, avendo sempre l’amministrazione rifiutato di fornire le utenze dei telefoni installati nel centro;
  • i colloqui con i familiari e i conoscenti sono sospesi da oltre un anno e non è stato attivato alcun sistema di colloqui in videoconferenza, pur a fronte di trattenimenti che possono protrarsi per diversi mesi;
  • i trattenuti vengono costretti in moduli abitativi sovraffollati, con servizi igienici non separati dai luoghi di pernottamento e privi di porte;
  • non sono presenti mediatori culturali di lingue e Paesi rappresentati nel CPR.

A ciò si aggiunge il tema della competenza a decidere in materia di libertà personale ai giudici di pace, che tale competenza non hanno in alcun altro ambito. Si ricorda in merito il risultato delle ricerche dell’Osservatorio sulla giurisprudenza del giudice di pace in materia di immigrazione (Lexilium), che ha rilevato che il tasso di convalida dei decreti di trattenimento da parte dell’ufficio dei giudici di pace di Torino, nel 2015, è stato del 98% e quello di proroga del 97%, all’esito di udienze che, nella maggioranza dei casi, non hanno superato i 5 minuti di durata.

A fronte di queste gravissime violazioni, riaffermiamo con forza la necessità di riportare questi luoghi a standard minimi di decenza e dignità, chiedendo che:

  • siano immediatamente chiuse le strutture illegali di detenzione, come i c.d. Ospedaletti e le camere di sicurezza nei sotterranei;
  • vengano ripristinate le condizioni di legalità del trattenimento e, in particolare, il diritto di comunicazione anche telefonica con il proprio telefono cellulare e la ripresa dei colloqui con i familiari;
  • particolare attenzione venga posta alla salute dei trattenuti, anche attraverso il previo esame da parte di medici dell’ASL sulla idoneità al trattenimento, e che venga garantita la presenza di psichiatri e psicologi, sia al momento dell’ingresso, sia nel corso del trattenimento;
  • in caso di incapacità a rispettare gli standard minimi sopra illustrati, venga disposta la chiusura della struttura;

Ribadiamo inoltre la necessità di rispettare i principi del processo penale e i diritti delle persone offese, siano essi cittadini italiani o stranieri, indipendentemente dal possesso di un permesso di soggiorno.

Chiediamo infine un incontro urgente con il Ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, e con il Ministro della Giustizia, Marta Cartabia, per documentare i più gravi episodi verificatisi negli ultimi mesi all’interno della struttura, culminati nel suicidio di Moussa Balde.

Per tutte queste ragioni, abbiamo deciso di manifestare davanti alla Prefettura di Torino, in Piazza Castello, venerdì 4 giugno 2021, dalle ore 16.00: il C.P.R. di Torino è una ferita nello stato di diritto.

Per adesioni di associazioni e singoli scrivere a: [email protected]


PROMOTORI

  • ASGI
  • LEGAL TEAM ITALIA
  • GIURISTI DEMOCRATICI OSSERVATORIO CARCERE PIEMONTE E VALLE D’AOSTA UNIONE CAMERE PENALI ITALIANE
  • ASSOCIAZIONE ANTIGONE ASSOCIAZIONE ANTIGONE PIEMONTE
  • ADIF Associazione Diritti e Frontiere
  • A.P.I. ONLUS StraLi

ADERENTI

  • A San Mauro Restando Umani
  • Articolo 10 Onlus
  • Accoglienza Controvento
  • Associazione Casacomune
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  • Gruppo Abele
  • Associazione Libellula
  • Volere la Luna
  • BDS Torino Carovane Migranti
  • Centro Studi Sereno Regis
  • Centro Socio Culturale Rom Sinti e Camminanti per il Futuro
  • CGIL Torino
  • Circolo Arci La Poderosa
  • Co.Mu.Net
  • Officine Corsare
  • Cooperativa sociale le 5 stagioni
  • Comitato Oltre la Barriera
  • CUB Torino e Provincia
  • Il Pulmino verde
  • Infopoint Sanatoria Piemonte
  • Italia che Resiste
  • I.U.C. International University College – Torino
  • LasciateCIE Entrare
  • Mamme in piazza per la libertà di dissenso
  • Mediterranea Saving Humans – Torino
  • MCE – Movimento di Cooperazione Educativa Torino
  • ReCoSol – Rete Comuni Solidali
  • Rete 21 Marzo – Mano nella Mano contro il Razzismo
  • Torino per Moria

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