Palestinesi zittiti nei social media

Jessica Buxbaum

Le compagnie di social media, inclusa Facebook, hanno ammesso a MintPress che i post pro-Palestina sono stati rimossi, dando la colpa a “bug di sistema” e “filtri anti-spam”: i Palestinesi zittiti nei social media

Palestinesi zittiti nei social media
Photo by Snowscat on Unsplash

GERUSALEMME EST OCCUPATA In un video postato dall’account Twitter dell’organizzazione attivista Jewish Voice for Peace, Muna El-Kurd ha spiegato perché i social media sono vitali per la causa palestinese.

“Noi contiamo sul fatto che la gente si schieri in maniera solidale con noi, gente che condivide l’hashtag #SaveSheikhJarrah quotidianamente. Ogni tweet o post è di importanza vitale” ha dichiarato Muna El-Kurd. 

http://twitter.com/jvplive/status/1390749697648644096

El-Kurd e la sua famiglia sono a rischio di subire uno sfollamento forzato da parte delle forze armate Israeliane dalla loro casa a Sheikh Jarrah, un quartiere delle Gerusalemme Est Occupata. Nel corso della scorsa settimana, i Palestinesi in loco hanno documentato la violenza della polizia israeliana.

In risposta, il mondo si è schierato con i difensori Palestinesi online condividendo informazioni su Sheikh Jarrah, la moschea di al-Aqsa, e la continua pulizia etnica messa in atto da Israele contro il popolo Palestinese. Tuttavia, gli attivisti sostengono che i loro contenuti siano stati censurati dalle piattaforme con cui stavano collaborando.

Instagram ha disabilitato l’account di Muna El-Kurd la scorsa settimana e a suo fratello, Mohammed El-Kurd, ha rimosso le “storie”, minacciandolo inoltre di cancellargli l’account.

Una raffica di rimozioni e ban

Gli attivisti hanno segnalato che le compagnie di social media hanno rimosso i loro contenuti, dichiarando che loro hanno violato le linee guida della community o addirittura considerandolo come hate speech. Le segnalazioni includevano anche la sospensione e la disattivazione di vari account, contenuti di solo testo etichettati come “sensibili”, una designazione solitamente riservata a foto e video che mostrano violenza o materiale offensivo. Anche il gruppo Facebook “Save Sheikh Jarrah” è stato disattivato, stando a Mohammed El-Kurd.

Queste segnalazioni erano largamente concentrate su Twitter e Instagram, con alcuni comportamenti restrittivi condotti anche da Facebook e perfino TikTok.


 
 
 
 
 
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Nel corso del weekend,  gli hashtag relativi alla moschea di al-Aqsa, a Sheikh Jarrah e a Gerusalemme sono scomparsi da Instagram.

Secondo il responsabile delle comunicazioni internazionali fornito da Buzzfeed, al-Aqsa – il terzo luogo più venerato dall’Islam – è stato segnalato da Instagram perchè associato con “violenza o organizzazioni pericolose”, etichetta solitamente riservata per i gruppi terroristici.

Durante gli ultimi giorni del Ramadan, i fedeli ad al-Aqsa sono stati attaccati da granate stordenti e proiettili di gomma dalla polizia israeliana. Più di 170 Palestinesi sono stati feriti. Gli utenti sui social speravano di pubblicizzare questa violenza, ma si sono visti rimuovere i loro contenuti dalle piattaforme.

Ventiquattro organizzazioni per i diritti umani hanno firmato una dichiarazione chiedendo a Facebook e Twitter di reintegrare gli account sospesi e giustificare le loro azioni:

I contenuti rimossi e gli account sospesi su Instagram e Twitter sono coinvolti nel documentare quello che sta succedendo a Sheikh Jarrah, così come nel denunciare  le politiche di pulizia etnica israeliana, cioè l’apartheid e la persecuzione. Queste violazioni non si limitano agli utenti Palestinesi, ma colpiscono anche attivisti in tutto il mondo, i quali usano i social per aumentare la consapevolezza riguardo la terribile situazione a Sheikh Jarrah.

Nadim Nashif, fondatore e CEO di “7amleh”, uno dei firmatari della lettera, ha dichiarato che le organizzazioni di diritti digitali hanno ricevuto circa 200 casi di censura sui social legati ai recenti eventi in Palestina. Tuttavia, egli crede che il numero reale possa rientrare nell’ordine delle migliaia di casi, dato che molti utenti potrebbero non segnalare la censura che subiscono.

http://www.mintpressnews.com/human-rights-watch-apartheid-report-act-il-israel-propoganda/277026/

“Attualmente, il 99% dei nostri appelli per la rimozione dei contenuti è stato rifiutato, senza possibilità di appello. Questo perché chiaramente quei post non violavano realmente gli standard della community,” ha dichiarato Nashif a MintPress News. “Ciò che sta accadendo è che la Cyber Unit Israeliana sta abusando della cosiddetta Rimozione Volontaria”. 

Quando è stato cercato per un commento, un portavoce di Twitter ha detto: “I nostri sistemi automatizzati hanno preso provvedimenti su un piccolo numero di account a causa di un errore di un filtro anti-spam automatico. Stiamo annullando quest’azione per ristabilire l’accesso agli account colpiti, alcuni dei quali sono già stati reintegrati.”

Facebook, che possiede anche Instagram, ha risposto alle richieste di commenti da MintPress rilasciando una dichiarazione:

“Sappiamo che ci sono stati diversi problemi che hanno avuto una ricaduta sull’abilità delle persone riguardo la condivisione sulle nostre app, incluso un bug tecnico che ha colpito le Stories in tutto il mondo, ed un errore che ha limitato temporaneamente la visualizzazione dei contenuti relativi all’hashtag della Moschea di al-Aqsa. Nonostante entrambi i problemi sono stati risolti, questi non sarebbero comunque dovuti accadere. Siamo dispiaciuti per tutti coloro che hanno provato a spostare l’attenzione su determinati eventi e non ci sono riusciti, o per chi si è sentito limitato nell’espressione delle proprie idee. Non era assolutamente questa la nostra intenzione.”

Censura governativa e aziendale

Come riportato in precedenza da MintPress, la censura di media Palestinesi non è un fenomeno recente. La ricerca di 7amleh ha svelato collaborazioni significative tra colossi dei social media ed Israele nel rivolgersi ai contenuti Palestinesi: secondo un report di 7amleh del 2020, sulla cancellazione sistematica di contenuti Palestinesi, la Cyber Unit del Ministro della Giustizia israeliano è responsabile di aver inviato alle compagnie richieste di rimozione, basate su presunte violazioni delle leggi domestiche e delle linee guida della community.

7amleh ha scritto nel suo report:

Il Ministro della Giustizia israeliano, Ayelet Shaked, ha dichiarato che “Facebook, Google e Youtube si stanno occupando del 95% delle richieste di Israele riguardo la cancellazione di contenuti che il governo israeliano ritiene incitamento alla violenza Palestinese.”
Questo mostra  un focus esagerato sui contenuti Palestinesi e un tentativo di etichettare il discorso politico Palestinese come incitamento alla violenza.

Il governo israeliano e le ONG inoltre incoraggiano i cittadini a partecipare a questi sforzi censori tramite le proprie richieste di rimozione di contenuti legati all’informazione Palestinese.

 “Il grande problema delle rimozioni volontarie è che non esistono procedure legali o burocratiche per legittimarle”, ha dichiarato Nashif.

Nel 2019, Adalah – il Centro Legale per i Diritti delle Minoranze Arabe in Israele e l’Associazione per i Diritti Civili in Israele (ACRI) hanno inviato una petizione congiunta all’Alta Corte di Giustizia Israeliana contro la Cyber Unit riguardo i suoi meccanismi, che violano i diritti costituzionali di libertà d’espressione e di un processo equo. Il mese scorso, la Corte Suprema Israeliana ha respinto la petizione.

http://www.mintpressnews.com/social-media-giants-ban-trump-real-censorship-palestinians/274386/

“Come al solito, la Corte Suprema ha supportato e legittimato le azioni della Cyber Unit,” ha detto Nashif.”Ed ora sta provando a sopprimere le voci Palestinesi intensificando queste richieste di rimozione.”

Nashif non ha potuto confermare che la Cyber Unit sia dietro l’ultima presunta censura. Ma tramite l’uso della Legge di Libertà d’Informazione da parte di Adalah e ACRI, 7amleh ha scoperto che il governo israeliano ha fatto più di 15,000 richieste l’anno scorso alle varie piattaforme media. Nashif ha spiegato:

“Non abbiamo prove su quanto successo settimana scorsa perchè nè la Cyber Unit nè Facebook sono trasparenti riguardo le rimozioni. Ma è chiaro che sappiamo cosa sta accadendo, grazie alle nostre ricerche sulle loro politiche, grazie ad aver parlato con persone che lavorano per Facebook e grazie ai diversi appelli nella corte contro la Cyber Unit.”

Violenza in aumento, crescente azione dal basso

Le tensioni a Gerusalemme e in tutta la Palestina si sono intensificate in questi giorni. Mentre scriviamo, gli attacchi aerei israeliani hanno ucciso 87 Palestinesi di Gaza, inclusi 18 bambini, e i razzi di Hamas, il movimento di resistenza che governa Gaza, ha ucciso sei israeliani e un Indiano. Più di 530 Palestinesi sono rimasti feriti, così come 28 israeliani.

Le forze israeliane hanno sparato acqua puzzolente e granate stordenti alle folle che manifestavano contro l’espulsione degli abitanti di Sheikh Jarrah. Gruppi armati israeliani stanno assaltando le strade Palestinesi – urlando “Morte agli Arabi”, distruggendo le proprietà Palestinesi, attaccandoli.

La Corte Suprema Israeliana ha posticipato un’udienza sulla possibile espropriazione che stanno subendo le famiglie di Sheikh Jarrah, inclusi gli El-Kurd. La Corte dovrebbe fissare una nuova data nei prossimi 30 giorni.

Mentre le autorità israeliane continuano a schiacciare il dissenso Palestinese sul campo, Nashif ha dichiarato che le voci Plaestinesi vengono zittite anche online.

“Noi pensiamo che la situazione adesso sia meno grave perchè ci sono meno richieste in appello. Ma le richieste ci sono e continuano ad aumentare,” ha detto Nashif, riferendosi a come la Cyber Unit, l’intelligence, e le comunità online pro-Israele fanno tutti parte di una campagna mediatica volta a diminuire l’impatto della percezione Palestinese sui social media. 

“Bisogna capire che questa è una lotta sulla narrativa. C’è un forte tenntativo di sopprimere la narrativa Palestinese,” ha dichiarato Nashif.


Fonte: Palestinesi zittiti nei social media, Mintpress News, 14 maggio 2021

Traduzione di Edoardo Vaccaro per il Centro Studi Sereno Regis


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