La cultura della decrescita nei comportamenti quotidiani
Autrice
Teresa Grillo
Il tredicesimo incontro del Corso di formazione permanente online “I mercoledì della SET”, organizzato dalla Scuola per l’Economia Trasformativa dell’Università per la pace, è tenuto da Luca Montanari – Dottorando all’Università per stranieri di Perugia – con la relazione “La cultura della decrescita nei comportamenti quotidiani”.
Riflessioni
Serge Latouche, economista, sociologo e filosofo francese, è noto in particolar modo per le tematiche inerenti al movimento della decrescita, di cui egli stesso è considerato il portavoce più autorevole. È interessante mettere in luce la fondazione filosofica del concetto di «uscita dall’economia».
Rifiutando l’idea di uomo come atomo calcolatore, Latouche inserisce quest’ultimo all’interno della triplice dinamica maussiana del dono, affermando che la «legge della reciprocità è alla base della socialità primaria, quella della famiglia, del vicinato e delle reti relazionali».
La natura determina la cultura nella misura in cui l’uomo, che si muove in questo reale, lo istituisce come suo reale, permettendogli di agire in questa totalità; uomo determina ed è al contempo determinato dal suo immaginario, ed ecco così istituita l’interminabile dialettica tra natura e cultura: è la cultura il modo d’essere naturale dell’essere umano.
In tutte le società pre-capitaliste, tutti gli aspetti della vita umana quali arte, produzione materiale, relazioni personali, scienza ecc., erano aspetti tra loro profondamente collegati che rientravano nella sfera della cultura. La cultura ricopriva ogni aspetto dell’attività umana.Nella società occidentale la pratica materiale, precedentemente legata al sacro, si abbassa a mera funzione riproduttiva; la cultura perde così il suo posto e la sua caratterizzazione di dare risposta al senso dell’esistenza, fino a degradarsi a sistema simbolico di designazione selettiva di vari aspetti del reale non più interconnessi. Questo tipo di «cultura» non è più legata a valori interni alla civiltà, tribù o clan che sia, ma diventa una dimensione individuale. Viene in questo modo creato il paradosso di essere estranei alla produzione culturale della propria civiltà, di essere estranei alla cultura di appartenenza, in definitiva, di assistere alla creazione di masse incolte.
L’esigenza di instaurare proficui rapporti con sistemi differenti, riconoscendone la pari dignità basata sulla pluridimensionalità di approcci, in riferimento al pluralismo antropologico, è l’unica soluzione che rispetti il monito di Latouche per cui «non c’è niente di peggio di una società della crescita in cui la crescita si rende latitante». L’ autore auspica un’uguaglianza basata non più su di un universale, base teorica di ogni totalitarismo, ma fondata sulla consapevolezza della pluralità di culture e immaginari connaturati ad ogni singola civiltà e ad esse inalienabili, pena il fallimento della civiltà stessa e la sua scomparsa. Ciò che bisogna arrivare a comprendere è l’esistenza di una pluralità antropologica, e grazie ad essa: giuridica, tecnica, epistemologica, religiosa ecc.; la meta deve essere sempre la buona vita degli individui e della società in armonia con il proprio ambiente e la propria tradizione culturale.
Invitiamo i lettori al prossimo appuntamento: “Il consumo sostenibile”, con l’intervento di Francesca Forno, docente di Sociologia presso l’Università degli Studi di Trento, mercoledì 5 maggio alle ore 17.30.
Il programma completo del corso, con gli aggiornamenti periodici dei link alla piattaforma ZOOM utili per accedere alle relazioni, è consultabile nel sito dell’Università per la pace delle Marche.
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