La proposta di una cura come spazio trasformativo

Autrice
Noemi Epotè


La proposta di una cura come spazio trasformativo
Foto di John Moeses Bauan | unsplash

Il relatore di questo decimo incontro con la Scuola Per l’Economia Trasformativa è Vincenzo Castelli, filosofo e teologo nonché esperto internazionale di politiche sociali, con un intervento dal titolo La proposta di una cura come spazio trasformativo.

Egli cita un testo particolarmente significativo per introdurre l’incontro: La pietà e la forca: storia della miseria e della carità in Europa di Bronis?aw Geremek. Tale opera evidenzia le dimensioni della povertà nel Medioevo e nell’età moderna. Tratta del ruolo di rilievo che ha ricoperto la miseria nell’immaginario collettivo dell’Europa.

Con ciò, Castelli parla di interventi per superare la vulnerabilità dei gruppi marginali secondo ogni epoca, dato che l’assistenza e la beneficenza continuano a rappresentare un principio antico e sempre presente seppur in forme mascherate.

Effettivamente, il tema della diversità è uno dei grandi temi che andrebbero rivisti. Castelli ha toccato aree di intervento molto diverse ma integrate:

  • il disagio minorile,
  • le dipendenze patologiche,
  • i senza dimora, la prostituzione,
  • le migrazioni,
  • la violenza giovanile ecc.

Di conseguenza, ha individuato vecchi e nuovi gruppi per quanto riguarda la vulnerabilità e la marginalità. La popolazione anziana, sostiene, si trova a vivere un processo sempre più  forte di dissonanza cognitiva a causa della velocizzazione del tempo, la cancellazione della memoria storica e il dominio ineluttabile del digitale. Dall’altro lato, anche i giovani rappresentano un gruppo sociale in difficoltà vista la mancanza di futuro in Italia che accentua il disagio tra i NEET e millennium e incrementa il processo migratorio.

Assenza di un linguaggio comune

Se ne evince che vi è l’assenza di un linguaggio comune e condiviso e la mancanza di riflessione sui processi di impoverimento mentre vi è  una sostanziale presenza del sistema di “etichettatura” dell’ultimo.

Di fatto, ci troviamo in un’epoca di passioni tristi nell’ambito delle politiche sociali, le quali sono veicolate da alcune strategie perverse come le rappresentazioni sociali, l’invisibilizzazione dei grandi fenomeni emergenti e l’azzeramento di politiche di inclusione sociale.

È vero che quando ci occupiamo di persone vulnerabili dobbiamo essere consapevoli che entriamo in una vera e propria politica della cura e della sofferenza. Ma per andare incontro ai bisogni di ascolto e di aiuto è necessario innanzitutto mantenere i marcatori della differenza perché l’adattamento a un altro “paesaggio sociale” provocherebbe lo sbriciolamento di tutti i punti di riferimento precedenti.

In conclusione, Castelli afferma che la cura dovrebbe diventare uno spazio trasformativo e in costante ricerca di metodologia. Metodologia che si rivelerebbe efficace se andasse verso:

  • la valorizzazione delle relazioni autentiche come veicolo essenziale per far uscire la persona presa in carico da un contesto troppo mediato e dunque artificiale
  • navigazione a vista in relazione alla provenienza, alla variabile biografica e al percorso di persistenza nella vulnerabilità
  • la ricerca di un artigianato creativo

Invitiamo i lettori al prossimo appuntamento: Trasformare la sanità pubblica. Mercoledì 14 aprile, ore 17.30.


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