In memoria di Aldo Bodrato. L’avventura della Parola

Massimiliano Fortuna

È morto Aldo Bodrato. Stamattina si è svolta la cerimonia funebre. Ritengo un privilegio averlo conosciuto, è stato un teologo e interprete della Sacra Scrittura di straordinario valore, anche se il suo nome e la sua opera di sicuro non hanno avuto la diffusione e la notorietà che avrebbero meritato e meriterebbero.

Come, credo, tutti i grandi teologi la sua parola teologica non era disancorata dal presente ma legata a doppio filo con l’interpretazione dell’epoca e del mondo in cui si è trovato a vivere.

Direi che proprio la “parola”, la sua carnalità biblica, le sue stratificazioni culturali, laiche e religiose, sono una chiave di lettura a partire dalla quale accostarsi ai libri che ci ha lasciato. Per questo, per ricordarlo, mi sembra bene riportare qui sotto parte di un piccolo articolo che avevo sentito il bisogno di scrivere dopo la lettura di uno dei suoi ultimi libri. Anche perché nella figura del profeta-poeta al centro di quelle pagine mi pare ora di vedere affiorare, magari incorniciato nei filari di un vigneto, il suo stesso profilo.


Chi ha familiarità con gli scritti di Aldo Bodrato, sa che la sua passione teologica prende corpo soprattutto attraverso due modalità di scrittura: quella storico-esegetica e quella poetico-narrativa. Esempio significativo della prima è “Il vangelo delle meraviglie” (1996), una rilettura del vangelo di Marco; alla seconda appartengono invece titoli come “Le opere della notte” (1985), testo inaugurale della teologia narrativa in Italia, o “Le opere del giorno” (2004), che assieme costituiscono una sorta di dittico. Queste differenti forme di scrittura non corrono tuttavia su binari separati ma si alimentano a vicenda, perché quella esegetica non è aliena dall’affabulazione stilistica e dalla sapienza letteraria, e quella narrativa tesse le sue trame su fondamenta storiche e si misura con l’acribia del filologo.

In memoria di Aldo Bodrato

Nell’ultimo libro di Bodrato, L’avventura della Parola, queste due tendenze ci sembrano implicarsi in modo emblematico, per dar corpo a una sostanza teologica profondamente vissuta. Il libro abbozza infatti un profilo del profetismo biblico avvalendosi dei mezzi dell’indagine critica e dell’interpretazione storica, ma la lingua poetica gli è strettamente intrecciata; non solo perché alcune poesie dell’autore inframmezzano le pagine dedicate a ciascun profeta, costituendo una sorta di ripresa in versi di suggestioni derivate dai libri biblici analizzati, ma, più radicalmente, perché il connubio profeta-poeta rappresenta un’esplicita chiave di lettura dell’intero testo.

“Qualcosa”, scrive Bodrato, “avvicina la profezia alla poesia ed è la comune volontà di dire l’indicibile, di dare voce al silenzio, di rendere, attraverso la parola, presente quanto resta nascosto”; ed è certo che la parola e il linguaggio si trovano al centro di questo percorso, lo avvertiamo sin dal titolo, e forse dalla stessa collana nella quale è contenuto (“La Parola e le parole”). Lingua e parole non sono nei profeti, come di solito in ogni grande pensatore o scrittore, semplice veste esteriore e strumentale, ma forza creativa che opera sulla realtà, modificandola e innovandola. La parola assomiglia al ramo di mandorlo che vede Geremia, annuncio di primavera che rimanda, per un suggestivo intreccio di significati della lingua ebraica, al vegliare di Dio che prova a realizzarsi nella storia.

La parola profetica si dà innanzi tutto a riconoscere come parola che cerca di tenere desto Dio quale istanza di liberazione per i deboli e gli oppressi. Per operare così il linguaggio profetico non può che porsi in contrasto con ogni lingua che avochi a sé la pretesa di avere descritto Dio una volta per tutte, di averlo cioè rinchiuso nella grammatica immutabile di un culto, che finisce sovente per collimare con leggi di mera conservazione del potere politico e del privilegio sociale.

Forse è lecito sostenere che nel cuore del profetismo biblico si cela quello che potrebbe definirsi un pensiero della differenza, non così dissimile da ciò che alcuni filosofi decisivi del Novecento – da Heidegger a Levinas e Derrida – hanno, ciascuno nelle forme e nei presupposti che gli sono propri, costantemente ribadito: la convinzione che Dio, o l’Essere o il Senso, possano coincidere con la presenza e dunque rivelarsi pienamente attingibili, non solo li nega e li perde, ma facilmente innesca una meccanica di violenza e sopraffazione.

Così i profeti ci insegnano che la Parola di Dio non si esaurisce nelle parole degli uomini e che le parole umane capaci di renderla viva e operante sono quelle che la sanno inscindibile dal silenzio e dall’assenza.[…]

Aldo Bodrato, L’avventura della Parola. Volti e voci del profetismo biblico, Effatà, Cantalupa (To) 2009


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