L’insegnamento e la pratica della nonviolenza di Gesù: cosa fare se…

Giorgio Barazza

Cosa fare se… l’insegnamento e la pratica della nonviolenza di Gesù per uscire dagli schemi, spiazzare l’oppressore e aprire nuovi orizzonti possibili

Nell’articolo Le radici religiose e il potere politico della nonviolenza di Jerry Folk apparso sul sito del Centro Studi Sereno Regis è presente più volte la seguente frase «gli insegnamenti e le azioni di Gesù», «l’insegnamento e la pratica della nonviolenza di Gesù» e viene anche ripreso parte di un testo di Walter Wink dal suo libro The powers that be a proposito delle lotte nonviolente. Non viene però portato a conoscenza del pubblico:

  • quali erano i suoi SUGGERIMENTI PER AFFRONTARE I CONFLITTI?
  • quali le INDICAZIONI che dava SU COME COMPORTARSI?

Un altro libro di Walter Wink Rigenerare i poteri. Discernimento e resistenza in un mondo di dominio, edizioni EMI (sezione biblica), ci mette a disposizione la risposta a queste domande.

Di seguito una breve recensione del medesimo ma anche la ripresa del significato che hanno i 3 messaggi di Gesù:

  • se … tu porgigli l’altra guancia;
  • se … tu lascia anche il mantello;
  • se … tu portaglielo per due.

IL SENSO, GLI OBIETTIVI, DEL LIBRO

Il viaggio che l’autore ci fa fare nella storia del sistema di dominio è finalizzato a portare chi prima si riteneva impotente a scoprire di poter riprendere l’iniziativa, anche la dove un cambiamento strutturale immediato è assolutamente impossibile.

Winks riesce, a trarre dalla ricerca storico-esegetica una moltitudine di esempi dove la nonviolenza è una opportunita’ pratica e strategica per dare potere agli oppressi.

Il suo lavoro da agli oppressi la possibilità di uscire dagli schemi, di spiazzare l’oppressore e aprire nuovi orizzonti possibili alle relazioni di disuguaglianza istituzionalizzate che erano presenti nella Palestina del periodo di Gesù. In particolare analizza tre situazioni in cui Gesù da dei consigli:

  1. Se uno ti percuote la guancia destra, TU PORGIGLI ANCHE L’ALTRA;
  2. A chi ti vuole chiamare in giudizio per toglierti la tunica, TU LASCIA ANCHE IL MANTELLO;
  3. Se un soldato delle truppe di occupazione ti costringe a portare il suo carico per un miglio, TU PORTAGLIELO PER DUE.

Questo schema di reazione non è nuovo, era già stato sperimentato, era patrimonio della comunità ebraica di quel periodo. Gesù non suggerisce comportamenti estranei alla sua gente, lo testimonia questo evento:

«Dopo essersi insediato come procuratore della Giudea (26 D.C), Pilato fece introdurre nottetempo in Gerusalemme i busti dell’imperatore che adornavano le insegne militari; gli ebrei ritennero questa una profanazione della città santa.  Una grande folla invase il quartier generale di Pilato a Cesarea, per implorarlo di togliere le insegne. Al suo rifiuto essi si prostrarono a terra e rimasero così per cinque giorni e cinque notti.

Il sesto giorno, con la promessa che avrebbe dato loro una risposta, Pilato riuscì a farli radunare nello stadio, ma li fece circondare dalla milizia. Dopo averli minacciati di sterminio se non avessero accettato le insegne ordinò ai soldati di estrarre le spade. Gli ebrei allora, come per un segnale convenuto, si gettarono a terra come un solo corpo, scoprirono la loro nuca e proclamarono di essere pronti a morire piuttosto che trasgredire la Legge. Stupefatto da uno zelo religioso così intenso, Pilato ordinò di rimuovere immediatamente le insegne da Gerusalemme».

L’azione nonviolenta per il cambiamento sociale richiede una forte creatività da parte delle vittime, che non debbono più accettare il loro ruolo in modo passivo, come fosse naturale. Si tratta di apprendere l’arte dello piazzamento.

L’autore, attraverso l’impianto del libro mette a disposizione spazi di azione a uso degli oppressi, all’interno delle situazioni di dominio, ci aiuta a comprendere cosa Gesù intendesse offrire ai suoi interlocutori attraverso i suoi racconti.

IL VIAGGIO NEL LIBRO

Egli mette a fuoco 4 capitoli:

  1. Il sistema di dominio: attraverso i miti della violenza salvatrice che lo sostengono, la sua origine, quali nomi assume, qual è la sua natura, come smascherarlo;
  2. Il progetto di dio per una realtà nuova: inquadra l’ordine divino libero dal dominio, come rompere la spirale della violenza attraverso il potere della croce e approfondisce la necessità di purificarsi dal non umano;
  3. Rigenerare i poteri con la nonviolenza: presenta la terza via di Gesù e l’impegno nonviolento (vedi esempi), ci richiama a non trasformarsi in ciò che si odia, a evitare la reazione mimetica e il contagio del male, inquadra e va oltre all’opposizione guerra giusta/pacifismo, ci fa riflettere su cosa succederebbe se prendessimo sul serio la scelta della nonviolenza (e se …?) e inizia una rilettura della storia attraverso la nonviolenza documentando 70 eventi significativi che percorrono questi ultimi millenni;
  4. I poteri e la vita dello spirito: si può diventare “atleti dello spirito” attraverso la prova rivelatrice (amare i nostri nemici), il controllo della violenza interiore, l’utilizzo della preghiera di intercessione.

CI INVITA A DIVENTARE ATLETI DELLO SPIRITO, ATTRAVERSO IL LAVORO SU DI SÉ

Come rompere la spirale della violenza, evitando di cadere nel meccanismo del capro espiatorio? Impariamo l’arte di morire ai poteri. Al fatalismo e alla complicità con il loro sfruttamento, ci propone di valorizzare l’io e crocifiggere l’ego, inquadrando la confessione come denuncia della proprie complicità con il sistema di dominio (non come violazione delle sue regole) e assume il perdono come nuovo orizzonte di liberazione possibile, come atto liberatorio (non come reinserimento). Possibilità che la preghiera di intercessione, momento di contemplazione, offre e che lui riesce a coniugare magnificamente con l’azione.

Per me l’essenziale di questo libro, sta nella seguente frase: «chi prima si riteneva impotente scopre di poter riprendere l’iniziativa, anche la dove un cambiamento strutturale immediato è assolutamente impossibile … i consigli di Gesù offrono una misura pratica e strategica per dare potere agli oppressi». (pag. 308)

Ecco il testo dei 3 messaggi (direttamente dal libro)

Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra (pag. 301)

Perché la guancia destra? In un mondo di destri, un pugno dato con la mano destra avrebbe colpito la guancia sinistra dell’offeso. Lo stesso sarebbe accaduto con un schiaffo a mano aperta.

Per colpire la guancia destra con un pugno si sarebbe dovuto usare la mano sinistra, la quale però era riservata esclusivamente a compiti impuri. Presso la comunità monastica di Qumram il solo gesticolare con la mano sinistra era sanzionato con 10 giorni di punizione. L’unico modo in cui è possibile colpire in modo naturale la guancia destra di qualcuno usando la mano destra è con il dorso della medesima. Siamo allora di fronte a un insulto, non a una rissa. L’intenzione prima del manrovescio non era quella di fare male, ma di umiliare, di rimettere un inferiore “al suo posto”. Normalmente non si colpiva in questo modo un proprio pari. Nel caso il risarcimento che si rischiava di pagare era esorbitante.

Il trattato mishnaico Baba Kamma elenca i risarcimenti dovuti nel caso si colpisse un proprio pari: con un pugno, un giorno di paga; con schiaffi 50 giorni di paga, col dorso della mano 100 giorni di paga. Il manrovescio era un mezzo abituale per ammonire gli inferiori. I padroni colpivano in questo modo gli schiavi; i genitori i figli piccoli; gli uomini le donne; i romani i giudei. Abbiamo qui un insieme di relazioni di disuguaglianza, in ciascuna delle quali una reazione avrebbe provocato una punizione certa. Fra gli uditori di Gesù c’erano uomini e donne che erano soggetti a queste umiliazioni, costretti a reprimere la loro rabbia nei confronti del trattamento disumanizzante riservato loro dal sistema gerarchico di classe, razza, genere, età, status sociale e dalla situazione politica derivante dall’occupazione imperiale.

Perché allora Gesù consiglia a questa gente così umiliata di porgere l’altra guancia?

Perché questo gesto depriva l’oppressore del suo potere di umiliare. Chi porge la guancia sinistra dice di fatto: “Prova ancora. Il tuo primo schiaffo non ha ottenuto l’effetto che si proponeva. Io non ti riconosco il potere di umiliarmi. Sono un uomo proprio come te. La tua posizione sociale non modifica questo stato di fatto. Tu non puoi offendere la mia dignità.” Una reazione di questo genere mette l’offensore in grave difficoltà. In termini semplicemente fisici, come può colpire ora, la guancia sinistra che gli viene offerta?

Non certo con un secondo manrovescio destre (provate a simulare la situazione per rendervene conto). Se chiude la mano o ne usa l’interno, è costretto a trattare l’offeso come un suo pari. Ma aveva appena usato il manrovescio proprio per ribadire la propria superiorità istituzionalizzata. Anche se dovesse reagire facendo flagellare l’offeso per la sua reazione, questi avrebbe in ogni caso ottenuto il suo scopo; fare notare al superiore la propria uguaglianza naturale.

In un mondo di onore e di umiliazioni si è impedito a un pre-potente di svergonganre un “inferiore” in pubblico. Gli è stato sottratto il potere di disumanizzare l’altro. Come insegnava Gandhi, «il principio dell’azione nonviolenta è la non cooperazione con tutto ciò che si prefigge di umiliare». Questo stesso schema di reazione era già stato sperimentato proprio ai tempi di Gesù.

Appena dopo essersi insediato come procuratore della Giudea (26 D.C), Pilato fece introdurre nottetempo in Gerusalemme i busti dell’imperatore che adornavano le insegne militari; gli ebrei ritennero questa una profanazione della città santa. Una grande folla invase il quartier generale di Pilato a Cesarea, per implorarlo di togliere le insegne. Al suo rifiuto essi si prostrarono a terra e rimasero così per cinque giorni e cinque notti. Il sesto giorno, con la promessa che avrebbe dato loro una risposta, Pilato riuscì a farli radunare nello stadio, ma li fece circondare dalla milizia. Pilato dopo averli minacciati di sterminio se non avessero accettato le insegne ordinò ai soldati di estrarre le spade.

Gli ebrei allora, come per un segnale convenuto, si gettarono a terra come un solo corpo, scoprirono la loro nuca e proclamarono di essere pronti a morire piuttosto che trasgredire la Legge. Stupefatto da uno zelo religioso così intenso, Pilato ordinò di rimuovere immediatamente le insegne da Gerusalemme. Gesù non suggerisce un comportamento del tutto estraneo alla sua gente, ma lo innalza da reazione occasionale e spontanea a elemento centrale dell’impegno al servizio del Regno.

A chi ti vuole chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello (pag. 304)

A qualcuno si sta pignorando la veste esterna. Chi sono gli attori come si è giunti a questo? Solo i più poveri dei poveri potevano avere soltanto la veste da dare in pegno per un prestito. La legge giudaica esigeva che venisse restituita al debitore ogni sera al tramonto. La situazione cui accenna Gesù è fin troppo nota ai suoi uditori: il debitore si è impoverito ulteriormente, non riesce a pagare il suo debito, e il suo creditore l’ha citato in giudizio per ottenere risarcimento.

L’indebitamento era un fenomeno endemico nella Palestina del primo secolo. L’indebitamento non era tuttavia una calamità naturale che si abbatteva sui più sprovveduti. Era una conseguenza diretta della politica imperiale romana. Gli imperatori tassavano così pesantemente i nobili per finanziare le loro guerre, che i ricchi cominciarono a investire in immobili per mettere al sicuro le loro sostanze. La terra era il bene più ambito, ma da tempo immemorabile veniva trasmessa da padre in figlio e nessun contadino era disposto a venderla volontariamente. Si persegui dunque una politica di innalzamento degli interessi, per rendere sempre più difficile ai contadini il saldo dei loro debiti.

L’indebitamento, unito alle tasse elevatissime imposte da Erode Antipa per pagare il suo tributo a Roma, divenne così l’arma economica utilizzata per privare i contadini galilei della loro terra. Al tempo di Gesù questo processo era già in fase avanzata: enormi latifondi erano posseduti da proprietari assenteisti, gestiti da amministratori e lavorati da fittavoli, braccianti a giornata e schiavi. Non fa meraviglia che il primo atto dei rivoluzionari giudei del 66 D.C. fu quello di bruciare il tesoro del Tempio, dove era custodito il registro dei debiti. Gli ascoltatori di Gesù sono dunque poveri e condividono un risentimento bruciante nei confronti di un sistema che li umilia privandoli della loro terra, dei beni e infine dei vestiti.

Perché allora Gesù consiglia loro di dare via anche la sottoveste?

Significherebbe togliersi tutti i vestiti e uscire dal tribunale completamente nudi! Immaginate gli scoppi di risa suscitati da Gesù. Immaginate il creditore, pieno di imbarazzo, con la sopraveste del debitore in una mano e la sottoveste nell’altra. La situazione si ribalta improvvisamente a vantaggio del debitore. Il debitore non aveva alcuna possibilità di vincere la causa; la legge era totalmente dalla parte del creditore. Ma, proprio denudandosi, il povero riesce a evitare di essere umiliato. Ad andare al di la della propria vergogna. Nello stesso tempo riesce a elevare un’aspra protesta contro il sistema che a causato il suo debito. Egli afferma di fatto: «Vuoi la mia sottoveste? Ecco: prendi tutto. Ora hai proprio tutto ciò che era mio, eccettuato il corpo: vorrai mica pignorarmi anche quello?».

La nudità era tabù in Israele, e la censura colpiva meno la parte denudata che quella che la guardava o ne aveva provocato la nudità. Spogliandosi, il debitore mette il suo aguzzino nelle stesse condizioni che portarono alla maledizione di Canaan.

Proprio come Isaia aveva «camminato nudo e scalzo per tre anni» come segno di denuncia profetica, così il debitore fa della sua nudità una protesta profetica contro un sistema che l’ha reso inadempiente di proposito. Immaginiamolo mentre lascia il tribunale, nudo. I suoi amici e vicini, stupefatti gli si avvicinano per chiedergli cosa mai è accaduto. Lui glielo spiega. Si forma presto una processione, sempre più nutrita che piano piano si muta in un corteo di vittoria. L’intero sistema che opprime i piccoli proprietari terrieri indebitati è stato smascherato pubblicamente. Il creditore non è apparso più come legittimo prestatore di denaro, ma come uno di quelli che hanno voluto portare alla rovina un’intera classe sociale, in passato del tutto autosufficiente.

Questo smascheramento, si aggiunga, non è di carattere esclusivamente punitivo: offre allo stesso creditore una chance di rendersi conto, forse per la prima volta, dell’iniquità del sistema a cui presta il suo appoggio ed, eventualmente di pentirsi. I poteri-che-sono si reggono letteralmente sul senso di dignità. Non c’è nulla che li corroda più a fondo del fatto di essere messi impietosamente in ridicolo. Rifiutando di lasciarsi terrorizzare da loro, chi prima si riteneva impotente scopre di poter riprendere l’iniziativa, anche la dove un cambiamento strutturale immediato è assolutamente impossibile.

Questo consiglio di Gesù offre una misura pratica e strategica per dare potere agli oppressi. Gesù qui da una chiave per affrontare l’intero sistema smascherandone la crudeltà e ridicolizzando il suo modo di scimmiottare la giustizia. Nell’esempio c’è un pover’uomo che non verrà più trattato dei ricchi come una spugna da strizzare. Questi accetta le leggi vigenti, ma le spinge fino all’assurdo rivelando così il loro stato di decadenza. Si denuda, esce dal tribunale incontro ai suoi compagni, ed espone più nudi di lui il creditore e l’intero sistema economico che rappresenta agli sguardi di tutti.”

Se un soldato delle truppe di occupazione ti costringe a portare il suo carico per un miglio, tu portaglielo per due (pag. 309)

Questo esempio si riferisce alla pratica relativamente illuminata di limitare ad un solo miglio la durata del trasporto forzato che i soldati romani potevano imporre ai civili dei paesi occupati. Questa corvée è stata la regola in Palestina, dai tempi dei Persiani a quelli del tardo Impero romano, e chiunque fosse trovato per strada poteva essere precettata per dei servizi. I servizi più frequenti erano legati alla temporanea requisizione di animali per il servizio postale o al trasporto dei carichi dei soldati da parte dei civili.

La situazione cui allude Gesù è proprio quest’ultima. Non si tratta della requisizione di un animale, ma di un uomo. Questi “lavori forzati” (angaria) erano fonte di aspro risentimento presso tutte le popolazioni soggette ai Romani. L’angaria è morte. La frequenza dei provvedimenti di legge che tentano di prevenire gli abusi in materia di angaria dimostra di per sé la ricorrenza di questi abusi. Un’iscrizione ritrovata in Egitto ordina «che i soldati (romani) di qualunque grado, attraversando i diversi distretti non debbano effettuare requisizioni o imporre trasporti forzati (angaria) a meno che non ne abbiano espressa autorizzazione scritta da parte del prefetto».

Molti soldati privi di autorizzazione scritta stanno percorrendo il paese requisendo pecore, animali da soma e uomini, senza permesso alcuno, talvolta ricorrendo alla forza… fino al punto da minacciare e terrorizzare dei privati cittadini. Il risultato è che tutto quanto è militare è ora sinonimo di arroganza e ingiustizia. Per arginare il sentimento presente nelle terre occupate, Roma, cercava di punire chi più apertamente violava le norme in materia di corvée. Per quanto queste norme siano tarde, rispecchiano una situazione che era cambiata poco dai tempi dei persiani. Gli eserciti dovevano muoversi nelle diverse regioni per ricevere e inviare dispacci. Alcuni legionari acquistavano degli schiavi per farsi aiutare a portare il carico, che pesava dai 27 ai 38 kg (escluse le armi). La maggior parte della truppa doveva però servirsi di civili “requisiti”.

Esistono molti racconti assai vivaci di interi villaggi che si spopolavano all’improvviso per evitare di dover portare i bagagli degli eserciti e di ricche città disposte a pagare somme ingentissime pur di non doverli alloggiare durante l’inverno. Il generale a capo della legione amministrativa amministrava personalmente la giustizia solo nei casi più gravi. Il resto era lasciato al controllo disciplinare dei suoi sottoposti. Può darsi che chi abusava dell’angaria fosse possibile di una semplice ammonizione, ma è assai probabile che ciò fosse a discrezione dei suoi superiori e che questo ipotetico sodato non sapesse ciò a cui andava incontro.

In questo contesto di occupazione militare romana a che cosa allude Gesù nel suo esempio? Non incita alla rivolta. Non suggerisce di mostrare amicizia, prendere da parte il militare e infilargli un coltello tra le costole.  Gesù era sicuramente consapevole della futilità di qualsiasi tentativo di insurrezione armata e certamente non fece nulla che potesse incoraggiare coloro il cui odio per Roma era pronto ad esplodere nella violenza.

Ma perché offrirsi di portare il carico per un miglio in più?

Non significa fare passare all’estremo opposto della collaborazione e della resa al nemico? Niente affatto.

Anche qui si tratta di fare si che l’oppresso possa riprendere l’iniziativa e affermare la propria dignità in una situazione generale che per il momento non può essere cambiata. Immaginiamo allora la sorpresa del soldato quando oltrepassata la prima pietra miliare e in procinto di riprendersi il carico, si sente dire dall’ebreo «Oh no, lascai che te lo porti per un altro miglio». Perché lo vuoi fare? Cosa diavolo ha in mente? Di solito noi soldati dobbiamo costringere a forza la gente a portarci la roba, e questo giudeo fa addirittura il cortese e non vuole neanche fermarsi! È forse una provocazione? Vuole forse ingiuriarmi? Farmi andare in consegna per avere violato le regole sull’angaria? Vorrà forse denunciarmi? Farmi passare dei guai?

Da una situazione di stato servile temporaneo, l’oppresso ha preso improvvisamente l’iniziativa. Si è riappropriato della sua libertà d’azione. Il soldato viene disorientato e posto di fronte a una risposta imprevedibile da parte della vittima designata. Non gli era mai capitato di dover affrontare un problema simile. Viene costretto a prendere delle decisioni per cui la sua esperienza pregressa non gli può essere di aiuto. Se ha sempre goduto di sentirsi superiore ai civili, oggi non gli riuscirà. Immaginatevi un soldato romano che prega un ebreo di restituirgli il carico!

Lo humor di questa scena può forse sfuggire ai lettori moderni, ma certamente non sfuggiva agli ascoltatori di Gesù che dovevano sentirsi rivivere al pensiero di poter spiazzare in quel modo i loro aguzzini. Gesù non incoraggia a percorrere il secondo miglio per acquisire dei meriti in cielo. Sta aiutando un popolo oppresso a trovare un modo per esprimere la propria protesta e neutralizzare una pratica operante e odiata in tutto l’impero.

Non sta dando un messaggio impolitico di trascendenza spirituale. Sta esprimendo una spiritualità mondana in cui i soggetti agli ultimi posti della scala sociale o schiacciati dal gioco del potere imperiale possano imparare a riappropriarsi della loro umanità. L’amore verso il “nemico” non è contrario a che si impugni la legge e si sfrutti il suo momento oppressivo per portare l’occupante su un terreno di incertezza e di ansia in cui non si era mai trovato prima”

E mia curiosità ogni volta che ho occasione di parlare con qualche sacerdote o insegnante di catechismo porre loro la domanda a proposito di cosa intendesse Gesù con i 3 messaggi ma purtroppo non ho ancora trovato nessuno che sia in grado collocare quelle frasi nel contesto culturale profondo della Giudea di quel periodo.


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