Le radici religiose e il potere politico della nonviolenza

Autore
Jerry Folk


Le radici religiose e il potere politico della nonviolenza
(Unsplash/Neal E. Johnson)

Le radici religiose e il potere politico della nonviolenza. Sebbene la Chiesa a volte se ne sia allontanata, la nonviolenza ha le sue radici nella religione e deve essere accolta se vogliamo sopravvivere su questo pianeta.

Nel suo discorso “I’ve Been to the Mountaintop (Sono stato in cima alla montagna)” la sera prima di essere assassinato, Martin Luther King Jr. ha detto: «La scelta da affrontare non è più tra violenza e nonviolenza; la scelta da affrontare è tra nonviolenza e non-esistenza». La verità di questa affermazione diventa ogni giorno più ovvia. Se vogliamo prosperare e forse persino sopravvivere su questo pianeta, dobbiamo abbracciare la nonviolenza nella lotta per difendere e promuovere ciò che è a noi prezioso e in cui crediamo.

Le comunità di fedeli sono chiamate a fare strada verso l’adottare la nonviolenza in questa lotta, perché la nonviolenza è una forma di amore e l’amore è centrale nell’insegnamento della maggior parte delle principali comunità di fede. L’Hesed di Dio, tradotto come tenera misericordia o amore, è un tema importante in tutte le scritture ebraiche.

Il Buddha ha insistito sul fatto che nessuno può ottenere la “saggezza” dell’illuminazione a meno che non provi “compassione” per tutti gli esseri senzienti. Ogni capitolo, eccetto uno, del Corano inizia: «In nome di Dio, il Benevolo, il Misericordioso, il Compassionevole». Nessun leader religioso ha enfatizzato l’amore in modo più assoluto di Gesù. Tutto il Nuovo Testamento ne è testimone. «Fede, speranza e amore, questi tre, ma il più grande tra questi è l’amore», scrive Paolo in Corinzi I. L’autore della Prima Lettera di Giovanni in realtà equipara Dio e Amore. «Dio è amore», scrive non una, ma due volte.

Per Gesù, l’amore non è limitato alla sfera delle relazioni personali. È un’energia che ci unisce in quella che Martin Luther King chiamava l’Amata Comunità e in ciò che Gesù chiamava il Regno di Dio. Al centro dell’intera vita di Gesù e del suo ministero c’è l’annuncio che il Regno di Dio si apre al mondo; che è, invero, già tra noi. Gli insegnamenti e le azioni di Gesù ritraggono e realizzano proletticamente il Regno qui e ora. La sua accoglienza agli emarginati, i suoi pasti in comunione con le prostitute e gli esattori delle tasse, le sue interazioni egualitarie con le donne incarnano l’universalità dell’amore di Dio e la solidarietà della vita nel regno di Dio.

La proclamazione e l’incarnazione del Regno di Dio da parte di Gesù erano una minaccia letale per i capi religiosi e politici e per l’ordine sociale su cui presiedevano. Lo accusavano di ebbrezza e gola e lo chiamavano amico di prostitute e peccatori, come in effetti era. Difatti, ha detto a sacerdoti e uomini di legge, «Le prostitute entreranno nel Regno di Dio prima di voi». Le autorità si resero presto conto che dovevano distruggere Gesù se volevano preservare l’ordine sociale.

Quello di più rilevante in considerazione alla nonviolenza dal punto di vista della fede Cristiana non è l’ostilità delle autorità verso Gesù, ma la risposta di Gesù a questa. Gesù non si è mai tirato indietro e nemmeno ha misurato il suo messaggio o comportamento. A volte lo ha persino rafforzato. Ma ha respinto inequivocabilmente la violenza come mezzo per difendersi o per sostenere la sua causa e ha chiesto ai suoi seguaci di fare lo stesso. «Coloro che vivono di spada di spada periranno», disse a Pietro nel Giardino di Getsemani.

La nonviolenza di Gesù è evidente ovunque nei Vangeli, ma espressa davvero chiaramente nel Discorso della Montagna, con queste parole:

«Avete sentito dire: ‘Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico’, ma io vi dico, amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano … Se amate quelli che vi amano, quale è il vostro merito? Anche i peccatori amano coloro che li amano. Ma amate i vostri nemici, fate del bene, donate senza aspettarvi nulla in cambio…e sarete figli dell’Altissimo, che fa sorgere il sole sui cattivi e buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Sii misericordioso come Dio è misericordioso».

Gesù basa su Dio il suo insegnamento sull’amare il nemico. Dio, come crede Gesù, governa il mondo attraverso l’amore. I suoi seguaci dovrebbero imitare Dio.

L’accogliere la nonviolenza era un insegnamento ben noto di Gesù ed enfatizzato nella Chiesa durante i primi 300 anni. Lo studioso biblico William Klassen scrive che queste parole sull’amare il nemico erano le più frequentemente citate tra tutti i detti di Gesù nella Chiesa dei primi tempi. Nei primi tre secoli della nostra era, tutti i leaders più rispettati e influenti della Chiesa insegnavano che dai seguaci di Gesù ci si aspettava nonviolenza e amore per il nemico.

Atenagora, filosofo e insegnante cristiano ad Atene, nella sua difesa del Cristianesimo all’imperatore Marco Aurelio intorno al 177 d.C., scrisse che i cristiani non potevano sopportare di vedere uccidere una persona anche se uccisa in nome della giustizia. Procedeva scrivendo: «Noi, reputando che guardare una persona venire uccisa equivalga praticamente a sottrarre la vita, rifiutiamo di assistere alle esibizioni dei gladiatori».

Origene di Alessandria, il più brillante e influente insegnante della Chiesa del terzo secolo, scrisse intorno al 220 d.C. che Dio «non riteneva che il permettere l’uccisione di qualsiasi persona divenisse legislazione divina». Commentando il comandamento “Non uccidere”, Lattanzio, un leader cristiano e consigliere dell’Imperatore Costantino all’inizio del IV secolo, scrisse: «In questo comandamento di Dio, non dovrebbe essere fatta alcuna eccezione alla regola che è sempre sbagliato uccidere un essere umano, che Dio ha voluto essere una creatura sacrosanta». Questi insegnanti e capi della prima Chiesa si riferivano al Sermone della Montagna come base dei loro insegnamenti.

Dopo che l’imperatore Costantino legalizzò il Cristianesimo nel IV secolo, gradualmente svanì la consapevolezza delle chiese sugli insegnamenti e la vita nonviolenti di Gesù. Ma non scomparve mai del tutto, e di tanto in tanto tornò alla ribalta. La vita e il ministero di San Francesco d’Assisi ne sono un esempio particolarmente notevole. Un accaduto in particolare dimostra la devozione di San Francesco alla nonviolenza.

Nel 1299, mentre infuriava la quarta crociata in Egitto, San Francesco si unì a questa con diversi frati francescani. Lui e Frate Illuminato lasciarono l’accampamento dei crociati e camminarono disarmati nell’accampamento del Sultano Malik al Kamil. Pensandolo un emissario del campo dei crociati, il soldato turco lo portò dal Sultano, che lo accolse gentilmente. Francesco rimase nel campo del Sultano per diversi giorni e conversò con questi di Gesù e di pace. Si dice che il Sultano abbia detto: «Se tutti i cristiani fossero come te, ne diventerei uno».

In un discorso agli ambasciatori presso la Santa Sede poco prima del suo viaggio ad Abu Dhabi e in Marocco nel 2019, Papa Francesco ha fatto riferimento a questa missione di pace di San Francesco. Ha detto: «Queste (prossime) visite rappresentano due importanti opportunità per promuovere… la comprensione reciproca tra i seguaci di (Cristianesimo e Islam) in quest’anno dell’800° anniversario dello storico incontro tra San Francesco e il Sultano Malik al Kamil».

L’insegnamento e la pratica della nonviolenza di Gesù sono nuovamente tornati alla ribalta nelle chiese cattoliche e nelle principali chiese protestanti negli ultimi tempi. Nella Chiesa cattolica questa rinnovata consapevolezza della nonviolenza del Vangelo è iniziata negli anni ’60 con il papato di Giovanni XXIII e ha raggiunto un nuovo livello sotto Papa Francesco. Ma la nonviolenza radicale di Gesù è stata riscoperta anche prima da persone non direttamente o per niente collegate alla Chiesa.

Nel 1894 Lev Tolstoj, ispirato dal Sermone della Montagna, scrisse il libro Il regno di Dio è in voi. Tolstoj sostenne che l’ingiunzione di Gesù contro l’uso della violenza anche di fronte al male deve essere presa alla lettera. Gandhi, un devoto indù, fu ispirato dal libro di Tolstoj e iniziò una corrispondenza con lui negli ultimi anni della vita dell’autore. Ma lo stesso Sermone della Montagna, che leggeva quotidianamente, era l’ispirazione principale di Gandhi per ciò che chiamava “I miei esperimenti con la Verità”.

Nella sua autobiografia, sottotitolata La storia dei miei esperimenti con la Verità, Gandhi spiega che l’obiettivo di questi “esperimenti” era quello di sviluppare un metodo efficace di combattere per la Verità basato sull’insegnamento di Gesù di amore per il nemico, e di sviluppare armi non letali ma potenti con cui combattere. I discepoli di Gandhi in tutto il mondo, come Martin Luther King Jr., hanno continuato questi esperimenti per tutto il XX secolo e fino al XXI con elevato successo.

«Nel 1989, tredici nazioni comprendenti 1.695.100.000 individui hanno sperimentato rivoluzioni nonviolente che hanno avuto un successo oltre le più sfrenate aspettative», ha scritto lo studioso del Nuovo Testamento Walter Wink, commentando questo successo nel suo libro The Powers that Be. «Se aggiungiamo tutti i paesi toccati da grandi azioni nonviolente nel nostro secolo (Filippine, Sud Africa, India…) la cifra raggiunge 3.337.400,00, uno sbalorditivo 64 per cento dell’umanità. Tutto questo nonostante l’affermazione, ripetuta all’infinito, che la nonviolenza non funziona nel mondo “reale».

Gli scrittori Peter Akerman e Jack Duvall, nel loro libro A Force More Powerful – che è stato base dell’omonimo documentario televisivo della PBS – scrivono:

«Alla fine del secolo scorso, le onde radio e librerie del mondo erano piene di materiale che guardava indietro a quelli che sono stati chiamati i cento anni più distruttivi della storia. Nastro su nastro, pagina dopo pagina, ci veniva mostrata la carneficina, il terribile costo, così è stato detto, per sconfiggere il male. Ma raccontata solo in questo modo, la storia dei conflitti del secolo trascorso rafforzerebbe un terribile errore. Solo la violenza può vincere la violenza, che le lotte con la posta in gioco più alta devono essere risolte con la forza delle armi. Eppure, se fosse vero, come è stato possibile che nello stesso secolo, governanti e oppressori che avevano tutti i vantaggi immaginabili della forza violenta siano stati messi da parte in ogni continente da persone che non ricorrevano alla violenza?

Il più grande malinteso sui conflitti è che la violenza sia sempre la forma ultima di potere, che nessun altro metodo per promuovere una giusta causa o sconfiggere l’ingiustizia possa superarla. Ma Russi, Indiani, Polacchi, Danesi, Afroamericani, Cileni, Sudafricani e molti altri hanno dimostrato che le scelte di una fazione durante un conflitto non sono precluse dall’uso della violenza dell’altra. Differenti misure nonviolente possono essere una forza più potente. Se i grandi sacrifici di vite e di onore richiesti dal secolo scorso saranno ricompensati nei prossimi cento anni, sarà perché quella verità verrà più pienamente compresa».

Queste citazioni forniscono prove storiche dell’efficacia della nonviolenza come mezzo per lottare per la giustizia e i diritti umani. Più recentemente questa prova è stata supportata dalla ricerca accademica. La dott.ssa Erica Chenoweth (professoressa alla Harvard Kennedy School) e la dott.ssa Maria Stephan (Direttrice dell’Azione Nonviolenta presso l’Istituto per la Pace degli Stati Uniti) hanno esaminato 323 campagne di cambiamento sociale dal 1900 al 2006. L’obiettivo della loro ricerca era quello di creare il primo studio a cercare di rispondere in modo sistematico ed empirico se metodi di opposizione nonviolenta oppure violenta fossero migliori nel produrre cambiamenti politici a breve e lungo termine.

Nel loro libro hanno accantonato la questione su quale metodo di resistenza sia moralmente giusto o sbagliato e hanno invece valutato quale fosse la scelta più strategica. I loro risultati mostrano che le principali campagne nonviolente hanno avuto successo nel 53% delle volte, rispetto al 26% delle campagne di resistenza violenta. Hanno anche scoperto che i paesi coinvolti in rivolte nonviolente hanno molte più probabilità di emergere dai conflitti come paesi democratici e con un minor rischio di ricaduta in guerre civili rispetto ai luoghi di insurrezioni violente.

La centralità della nonviolenza nella vita e nell’insegnamento di Gesù e della Chiesa della prima era e la sua continua, sebbene meno dominante, influenza in tutta la storia della Chiesa – così come i sorprendenti risultati della nonviolenza nei secoli XX e XXI – si pone di fronte alla Chiesa con una seria domanda. In un tempo in cui la violenza ecologica e politica minaccia il pianeta e tutte le sue creature viventi, continuiamo a ignorare questa tradizione evangelica? O insistiamo sul fatto che sia importante solo nella sfera personale e non in quella pubblica?

Oppure cingiamo e incorporiamo tutto ciò come una delle principali forze nel nostro insegnamento, nella predicazione e nell’evangelizzazione come faceva la Chiesa primitiva? Potrebbe la nostra testimonianza cristiana essere abbastanza coraggiosa da sostenere, partecipare e persino a volte avviare azioni nonviolente a favore della giustizia e dell’amore, anche se disturba gli affari e ci mette a rischio personale o istituzionale? Queste sono le domande che i leader e le persone della Chiesa devono considerare. Nello stesso tempo si deve riflettere su cosa significa per noi cristiani e come comunità di fede seguire Gesù oggi.


Jerry Folk

Jerry Folk è un ecclesiastico in pensione della Chiesa Evangelica Luterana in America. Ha servito come direttore esecutivo della Commissione dell’ELCA per la Chiesa nella Società dal 1987 al 1992. Ed è stato direttore esecutivo del Consiglio delle Chiese del Wisconsin dal 1994 al 2003. Jerry è l’autore di due libri, “Worldly Christians: A Call to Faith, Prayer and Action” (1983, Augsburg) e “Doing Theology, Doing Justice” (1991, Augsburg Fortress). Ha insegnato studi religiosi, teologia e studi sulla pace al Bethany College, Bethany WV e all’Augustana College di Sioux Falls, South Dakota.


Fonte: Waging Nonviolence, Campaign Nonviolence, 11 febbraio 2021
Le radici religiose e il potere politico della nonviolenza

Traduzione di Alessia Garofalo per il Centro Studi Sereno Regis


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