Colpo di stato in Myanmar: inizia la disobbedienza civile

Autrici
Giulia Cecchinato e Cristina Tha


Colpo di stato in Myanmar
Immagine di RoseAda | Fonte Myanmar’s graphic

#SaveMyanmar

Proteggeremo la Democrazia. Tatmadaw (n.d.r.: l’esercito) considera prioritario l’interesse nazionale e i diritti dei gruppi etnici. Ci saranno libere elezioni quando terminerà lo stato d’emergenza e le frodi di quelle passate saranno state risolte.

Colpo di stato in Myanmar. La giornata di lunedì termina con queste parole del generale dell’esercito Min Aung Hlaing, che risuonano come una beffa. Chi le ha espresse è accusato di essere coinvolto in gravi violazioni dei diritti umani e ha appena esautorato il Centro Nazionale per la Riconciliazione e la Pace, l’organo di dialogo tra il governo e i vari stati e gruppi etnici presenti nel Paese. Con l’imposizione del coprifuoco e il divieto di aggregazione di più di 5 persone si segna anche l’entrata in vigore della legge marziale in diverse divisioni amministrative del Paese.

Lunedì 1 febbraio il generale Min Aung Hlaing, dopo aver ordinato l’arresto della leader della democrazia Aung San Suu Kyi e di tutti gli esponenti del partito che ha vinto le elezioni di novembre, ha preso pieni poteri, indicendo lo stato di emergenza per un anno.

Quasi immediata è stata la mobilitazione, prima simbolica, da casa, battendo pentole e coperchi per scacciare il maligno, poi sempre più spostata nelle strade. Centinaia di migliaia di persone sfilano pacificamente da quattro giorni consecutivi nelle città più grandi. Ma protestano anche in quelle più piccole, esprimendo tutta la rabbia, lo sconforto, la paura, e soprattutto l’indignazione di veder negata con la forza la propria volontà di democrazia. Anche martedì, all’indomani dei divieti, sono continuate le manifestazioni e in alcune città la polizia ha risposto con cannoni ad acqua e armi da fuoco.

Anche questa volta per esprimere il proprio pensiero è necessario un grande coraggio. Le ultime due volte che i birmani sono scesi in strada contro i militari, nel 1988 e nel 2007. Le proteste si sono concluse in un bagno di sangue, con migliaia di morti, feriti e arrestati. La maggior parte delle persone che manifesta oggi era presente in quegli anni, e nessuno vuole rivivere un passato così recente. Un passato caratterizzato da violenza e repressione indiscriminate, da un’insicurezza perpetua. Dalla paura di aver chiacchierato sbadatamente alla tea house di un qualche argomento scomodo o di una qualche persona di cui si erano perse le tracce. Senza preavviso si poteva scomparire, si potevano vedere amici e parenti portati via, per motivi futili.

Questa volta, però, i birmani hanno vissuto dieci anni di una transizione verso una specie di democrazia che ha portato a numerose aperture verso il resto del mondo.

Lo sconforto è tanto perché, nonostante un colpo di stato militare sia sempre stato considerato un’eventualità, nessuno avrebbe creduto che sarebbe davvero successo.

La comunicazione tra le persone grazie alla rete è quasi immediata. Questa volta, la maggioranza della popolazione ha un cellulare, un profilo Facebook e centinaia o migliaia di amici virtuali.

Il popolo del Myanmar, oltre a manifestare in strada, sta cercando di far sentire la propria voce su tutti i social disponibili perché nel Paese si ristabilisca la democrazia.

Una democrazia, quella birmana, già comunque molto distorta, concessa dalla giunta militare nel 2012. Prevede per l’esercito un quarto dei seggi in parlamento, oltre al ministero dell’interno, della difesa e dei confini, frenando de facto qualunque modifica alla Costituzione. Una democrazia piena di compromessi di cui tutti sono consapevoli. Ma nello stesso tempo una democrazia che comunque ha permesso una notevole apertura verso l’esterno e l’ottenimento di diritti che dalla nostra parte del mondo si danno spesso per scontati.

Questa volta le famiglie intere sono in strada a manifestare, bambini piccoli in piedi sui motorini in mezzo ai genitori, genitori e nonni consapevoli dell’enorme rischio che tutto sfoci in un bagno di sangue. Ma non sono disposti a vedere i propri figli e nipoti crescere nella paura che ha caratterizzato la maggior parte della loro vita.

Questa volta è stata scelta l’azione della disobbedienza civile, a cui tutti sono stati chiamati. A medici e infermieri che hanno smesso di  lavorare (garantendo comunque le emergenze), si sono aggiunti  insegnanti, avvocati, giudici, fino agli impiegati dello Stato. Tutti con l’obiettivo dichiarato di rendere ingovernabile il Paese. In un momento di pandemia da Covid-19 e con una possibilità di movimento limitata da parte delle Nazioni Unite e con la Cina che osserva strategicamente come sfruttare la situazione a proprio vantaggio, lo sciopero può essere una strategia efficace per destabilizzare dall’interno. Perdere il lavoro ed essere arrestati, questa volta, è considerato un rischio da correre necessario. Diverse banche non hanno aperto perché semplicemente nessuno si è presentato.

Questa volta le informazioni e le immagini arrivano più lontano, più in fretta. Sta a noi mantenere alta l’attenzione e amplificare la voce di tutti gli hashtag che chiedono aiuto. Tutti gli hashtag che denunciano violazioni dei diritti umani.

#SaveDemocracy


1 commento
  1. ROSA DALMIGLIO
    ROSA DALMIGLIO dice:

    è singolare che solo il Cardinale Bo mi ha scritto una lettera con appello a lavorare per la PACE
    mi domando dove sono le 4 DONNE PREMIO NOBEL per LA PACE che mi avevano chiesto in passato di firmare la lettera rivolta a fermare la persecuzione delle minoranze religiose in Myanmar governato dalla Presidente arrestata?
    perchè non parlano ora?

    Rispondi

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