Radicali, all’azione! Organizzare i senza-potere

Recensione di
Luca Ozzano

Saul Alinsky, Radicali, all’azione! Organizzare i senza-potere, edizioni dell’asino, Roma 2020, pp. 296, € 18,00

Radicali, all’azione! Organizzare i senza-potere è la traduzione del libro Reveille for Radicals, del 1946, in cui Saul Alinsky per la prima volta delineava le caratteristiche del metodo del community organizing. Insieme a Rules for Radicals (1971) costituisce l’unica opera (senza considerare gli scritti sparsi e le corrispondenze) di questo autore e attivista americano. Nel libro vengono analizzati il percorso e le condizioni necessarie per la costruzione di un’organizzazione di quartiere viva e partecipata, che secondo Alinsky costituisce l’unico antidoto possibile all’apatia e al fatalismo in cui è caduta la democrazia americana.


Il libro si divide in due parti, delle quali la più interessante è probabilmente la seconda, in cui si cerca di definire le caratteristiche di un’organizzazione di quartiere (un programma onnicomprensivo, senza focalizzarsi su argomenti limitati; l’individuazione e il potenziamento dei leaders locali; la definizione dal basso di problemi e soluzioni, in opposizione ai programmi di ingegneria sociale calati dall’alto; e la funzione educativa dell’organizzazione di quartiere), le sue tattiche e strategie.

Molto interessante anche la corposa Introduzione, ad opera di Alessandro Coppola e Mattia Diletti – due studiosi attenti conoscitori di Alinsky e del contesto socio-culturale americano – in cui viene ricostruita in modo apprezzabile la formazione culturale e le posizioni del fondatore del metodo del community organizing.

La prima parte del libro è invece un po’ più datata e focalizzata sul contesto americano: questo vale in particolare per il capitolo I radicali: dove trovarli oggi?, che contiene una lunga digressione sul sindacato americano che può essere tranquillamente sorvolata dai non addetti ai lavori.

Non è un’esagerazione dire che la pubblicazione di questo libro in Italia costituisce un evento, atteso da decenni (da quando Olivetti ne considerò la pubblicazione nelle sue Edizioni di Comunità, per poi scartare l’idea).

Ovviamente, questo lavoro non basta a dare un’idea al lettore italiano delle complessità del community organizing, che dall’epoca di Alinsky si è evoluto e diversificato. Una lacuna che potrà essere colmata solo con la pubblicazione di lavori più recenti, come quelli di Ed Chambers e Michael Gecan.

Tuttavia, esso rappresenta una lettura imprescindibile per capire un fenomeno, come quello del community organizing, che non solo è sempre attuale e vivo negli Stati Uniti, ma per cui l’interesse, anche in Europa, è cresciuto in modo significativo negli ultimi due decenni, con la realizzazione di progetti in quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale, a partire da Regno Unito e Germania (ma anche, più di recente, in Italia).



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