Il discorso sulla Pace che è scomparso: andare avanti con passione e distacco

Autore
Jan Oberg

Foto di Alice Donovan Rouse (unsplash)

Osservate e ascoltate le tre sfere della società occidentale contemporanea: politica, ricerca e media. Il termine “Pace” e parole correlate, come nella Carta delle Nazioni Unite, nella norma di “creare pace dal significato di pace”, nonviolenza, negoziazione, sono scomparsi. E con le parole, anche il discorso. E con il discorso sono scomparsi l’interesse, l’educazione e la competenza, il focus, la consapevolezza, e le strategie.

Cominciamo con la sfera politica. In Scandinavia dove si dia il caso io stia vivendo, la situazione odierna è molto diversa dagli anni ’80. Non ci sono più politiche di disarmo globale o ministeri sul disarmo; il fondamento delle Nazioni Unite del peacekeeping non armato è assai raramente nominato; mentre la Svezia è entrata nella NATO e detiene militari sotto il controllo della NATO, partecipa in minima parte alle Nazioni Unite con un singolo peacekeeper.

Idee come sicurezza umana, sicurezza comune e misure per la costruzione di fiducia con il presunto nemico non sono nominate nel discorso politico. La crisi di coronavirus ha già mostrato che non esistevano programmi per la sicurezza umana. Quando la Danimarca è entrata in guerra, il che purtroppo, è stato fatto più o meno costantemente dal ’99 – una disonesta tendenza dello Stato iniziata con i Socialdemocratici –  i politici responsabili hanno semplicemente affermato che serviva stabilità, sicurezza e pace, per promuovere democrazia o rimuovere un dittatore. Non esiste alcun lavoro di analisi e di consiglio sul conflitto ed il peace-making prima del decollo degli F16, di solito meno di 24 ore dopo la chiamata di Washington.
 
 Nella sfera della ricerca, la Scandinavia è normalmente una regione abbastanza abile in critica e , per esteso, istituzioni nella ricerca di soluzioni orientate alla pace. SIPRI ora si definisce “risorsa indipendente per la sicurezza globale”. Le sue conference di Stoccolma che potete vedere in vari video sono piene di diplomatici, esperti di sicurezza e altri rappresentanti di governo che non approfondiscono sulle teorie, i concetti o lo sviluppo di questi. I suoi finanziamenti provengono da fonti governative NATO/EU. Nel 2020 ha lavorato a stretto contatto con la Conferenza di Monaco. Le sue fondanti teorie di sviluppo centrate sul fare proposte per la risoluzione del conflitto sono state escluse nell’ultima versione degli obbiettivi.
 
 In Danimarca, il famoso Copenhagen Peace Research Institute (COPRI) diretto al tempo da Håkan Wiberg è stato chiuso dallo stesso governo che ha reso la Danimarca una potenza occupante nel 2003-2007 in Iraq, forse il più grande sbaglio in politica estera dal ’45. Intanto, una serie di indagini belliche da parte delle basi militari hanno avuto la precedenza, viziate da uno storico abuso della ricerca in campo militare, come nella Defence Academy (Accademia della Difesa, n.d.t.).

Il Danish Insitute of International Studies, DIIS (Istituto danese di studi internazionali, n.d.t.) è finanziato sostanzialmente dal Ministero della Difesa; il suo direttore ha esperienza per la sua carica di deputato segretario permanente al Ministero della Difesa e nella delegazione danese per la NATO.

Alcuni dei dipartimenti rimasti, tra le università scandinave, nella ricerca sulla Pace potrebbero studiare i principi di pace o attivismo, un po’ qui un po’ lì, ma la spinta è sulle teorie e politiche del conflitto, violenza e guerra e nessuna alternativa al militarismo.

Il modello prevalente è rimasto sulle agende della ricerca per decenni. Criticismo del militarismo, politiche nucleari e interventismo sono difficili da trovare ora, ad eccezione di piccoli circoli locali di movimenti per la pace composti in prevalenza da soci anziani. Nonostante la loro conoscenza e esperienza di vita, non sono mai stati invitati a dare la loro visione sui canali d’informazione. Un gruppo di questo tipo che riceve un ricoscimento internazionale è “Fredsvagten”, Il guardiano della Pace, al di fuori dell’edificio del parlamento danese, a Christiansborg. Loro sono stai lì ogni singolo giorno dal 2001 quando gli Stati Uniti hanno cominciato la loro Guerra Globale al Terrore. Fanno 7000 giornate!

Per terzo, i canali d’informazione tradizionali non dedicano alcuno spazio. E’ abbastanza chiaro per me – avendo seguito gli affari internazionali di copertura anche sulla stampa principale per quattro decenni – che non c’è alcuna messa in discussione fondamentale sull’interventismo occidentale, sulle politiche degli Stati Uniti in particolare. Il New York Times è tuttora ritenuto l’unico giornale a essersi scusato per la sua cronaca fuorviante dell’intervento in Iraq, comunque ha continuato quel tipo di cronaca nei casi della Libia e della Siria.

Potrei scrivere un libro su a) tutti i media in cui ho lavorato dagli ultimi anni ’70 fino ad arrivare al 2005 dopodichè nessuna richiesta, e b) i tentativi di manipolazione di cui ho esperienza, inclusa la montatura. L’ultima narrativa di massa sulla Siria ha avuto forse meno a che fare con la realtà dei fatti rispetto alle altre. Nel dicembre 2016 quando mi trovato ad Aleppo Est mentre veniva liberata dall’occupazione dei terroristi, ero l’unica persona dalla Scandinavia ed uno dei pochi occidentali. Tuttavia, neanche uno dei più noti canali d’informazione tra quelli con cui ho lavorato ha voluto i miei testi o le mie foto, tutte pubblicate invece sulla nostra pagina.

La Svezia, dai giorni dell’omicidio di Olof Palme, si è mossa evidentemente in direzione dell’appartenenza alla NATO, i suoi media principali non indagano né su questa tendenza né sul come sia successo dopo quasi 20 anni di strategia precisa di ridurre al minimo il dibattito pubblico.

Di certo, la Scandinavia non è l’intero mondo occidentale, e alcune nazioni forse sono peggio, altre di sicuro meglio. Comunque, l’omogeneità dei media è così uniforme e sistematica che è naturale pensare esserci un conduttore che decide quale ruolo interpretare e quali movimenti di mano usare per iniziare e fermarsi. Per inciso, dal momento in cui ad Aleppo nel 2016 questo cambio politico occidentale di regime ha fallito miseramente, quanti sono i media che hanno parlato della Siria? 

Il militarismo come un Nuovo Dio

In seguito a queste osservazioni sparse, lasciate che mi butti sulle cause che giudico essere molteplici e complesse e lasciatemi parlare di quello che io chiamo il Military-Industrial-Media-Academic-Complex (MIMAC, Complesso accademico dei media dell’industria militare, n.d.t.) ovvero il motivo principale per cui il discorso sulla pace è scomparso.

È molto vasto e profondo il fatto che il presidente Eisenhower, nel suo lontano discorso nel 1961, abbia parlato del MIC – il Complesso militare industriale.

Mentre risorse sempre più grandi vengono consumate nel mondo odierno globalizzato rispetto ad allora, il MIMAC è diventato l’elefante al centro della stanza civilizzata, rivestito dagli interessi dell’elite che hanno un interesse comune in esso. E’ inoltre loro interesse assicurare che questo non sia visibile, interpretabile e certamente non venga disinnescato.

Potrebbe ancora diventare una sorta di religione nella costruzione mentale di un pensiero strutturato. Può di certo essere constatato che i governi militari mettano a fondamento delle dinamiche MIMAC un sostituto senso di autorità, come una sorta di Dio che prima abbia prima secolarizzato l’intera società, trovandola in piena crisi di identità. Potrebbe anche essere che soddisfi l’umano bisogno di protezione – comunque, così in cambio avrebbe l’obbedienza ed il beneplacito di questa specie di Dio MIMAC.

Il noto docente e pensantore buddista, David Loy, ha scritto a questo riguardo che, il militare, stato corporativo inteso come una contemporanea deità occidentale invece non è stato utilizzato per il concetto di MIMAC.

Andando oltre, si può aggiungere la nascita della bomba atomica, come l’uomo abbia preso ciò che era stato finquando per prerogativa di Dio è stato chiamato a decidere su quanto l’umanità dovrebbe, o non dovrebbe, continuare a esistere. Allora, non abbiamo bisogno di Dio: noi prendiamo il ruolo di Dio. Ricordate il pezzo di Charlie Chaplin di Hynkel/Hitler che gioca con il mappamondo alla scrivania nel “Grande Dittatore” (1940)?

La deità del MIMAC è, certamente, invisibile. Essa tiene una mano invisibile a governare tutto (come la mano invisibile del mercato neo-liberale) e le persone che credono in esso si sentono protette. Non c’è più la ragione, il disappunto, il documento di qualsiasi fatto sul mondo osservabile; è abbastanza per dire ciò che serve a sostenere il MIMAC. Filosoficamente, risiede unicamente nella fede, che si creda o meno, potete contare anche quella.

Chiaramente sta nel paradigma superato Loro/Noi; c’è qualche diavolo là fuori che va combattuto e ucciso (purificazione del mondo, sterminio del male e degli infedeli, portato avanti con la Spada, oppure unisciti a noi, diventa come noi, senti come noi e guarda il mondo come facciamo noi, in missione con una Bibbia in mano).

In questa prospettiva, il commercio delle armi conta di più rispetto a trasferire la capacità distruttiva; è quasi una valuta o moneta di scambio che simboleggia e rende solida la comunità MIMAC tra le elite dei credenti di una stessa fede. Un patto.

La fede nel militarismo come arma principale per risolvere qualunque problema, essere ciò che il nemico teme, portando riforme al settore della difesa, ai governi stanchi e le società per portare avanti il messaggio che a differenza degli altri non ha limiti. Il sistema militare e le sue ristrette elite professano di essere capaci nel portare aiuto alle democrazie in terre e culture lontane, creando i presupposti (all’occidente) per poter capire l’uguaglianza di genere, i diritti umani, la tratta e la protezione dei rifugiati in corsa dalle loro zone di guerra.

Quando il mondo parla di cambiamento climatico, il militarismo risponde facendo le sue basi militari ed esercitazioni “green”, nel rispetto dell’ambiente. Nemmeno Greta Thumberg ha avuto il coraggio civile di menzionare l’enorme ruolo del militare globale nel processo di distruzione ambientale per non parlare della Creazione ad essere totalmente distrutti da una guerra nucleare.  

Mentre le persone si interessano all’ambiente e al cambiamento climatico (il termine di stampa preferito tra gli altri da quando il ‘cambiamento’ è positivo…), loro non sembrano fare molta attenzione agli armamenti nucleari come se fosse lontanamente la più immensa e potenzialmente più distruttiva minaccia alla sopravvivenza dell’umanità.

Uno potrebbe chiedere: Quel che è rimasto attualmente di militare come parte attiva del MIMAC può non essere incluso nel complesso? Se fossero stanziate le risorse adeguate dal denaro versato dai contribuenti – tipo una colletta ecclesiastica – ogni settore della società potrebbe posivimente attingervi, oppure essere rilevato dal MIMAC. Perciò, basta recitare il mantra della NATO, non importa cosa fa l’alleanza adesso, perché essa “crea stabilità, sicurezza e pace”. Tutto ciò manca di evidenza dal momento in cui quelle parole volano fuori dalla bocca di, cito, NATO’s S-G.

Quindi, stiamo dicendo che il militarismo riduce la società civile ad una pattuglia e che la società lavora sotto al controllo top-down di un leader autoritario? No, siamo lontani da questo.

Il militarismo contemporaneo è qualcosa di molto diverso dai tempi in cui, cito, Alfred Vagts che nel 1937 pubblicò il suo classico, ‘A History of Militarism: Civil and Military’ (Storia del militarismo: civile e militare, n.d.t.). Oggi questo riguarda due mutue tendenze di lungo periodo, in oscillazione: il militare opera sempre di più in maniera civile all’interno della società; e la società diventa sempre di più autoritaria nella sua struttura e modi di operare. Se il pensiero militare si è instaurato nella società, significa che il pensiero civile non si è inserito negli ambiti della difesa e della sicurezza. Se loro avessero operato e le società fossero andate verso una risoluzione civile del conflitto, la difesa di sicurezza, la nonviolenza e le negoziazioni, il militare non sarebbe stato a lungo capace di usurpare la società civile da cui dipende, per la sua sopravvivenza.
 
 A mantenere il MIMAC e continuamente trovare nuove “minacce” (come ricercare tutto il tempo la prossima dose di eroina), il fuoco è localizzato sulla Nord Corea, Iran, sul classico nemico Sovietico-Russo (con l’8% delle spese in calo tra i 30 membri NATO) e da quando Obama si è impuntato, anche sulla Cina.

Chiamatela fobia nordcoreana, iraniana, russa o cinese. Come ha affermato di recente Gordon Dumoulin, durante l’ultimo Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, ha letto un po’ come i Dieci Comandamenti come l’Occidente deve e non deve affrontare il faccia-a-faccia con la Cina. Ciò è basato più sulla fede che sui fatti.

Conclusione

Tutto sommato, il discorso di pace è stato messo ai margini, quasi scomparendo. Il vincitore, il militarismo, lo ha soppiantato. Per adesso e per qualche tempo. Ma è autodifesa. Quando arriva l’hybris, l’ipertensione, un centro che non verrà controllato e, più importante, l’incapacità di trattenersi ( “il pensiero del gruppo”, groupthink in v.o.) e il fatto che il resto del mondo sta cambiando rapidamente.
 
 I nemici sono inventati/immaginari e in realtà molto proiettati dalle proprie oscurità personali sugli ‘altri’.

Per difendere il MIMAC, l’Occidente deve aumentare la distorsione della realtà e basarsi sulla creazione di falsi nemici che non esistono, secondo le narrative distorte dei media, il silenzio assenso dei suoi stessi fallimentari progetti politici e morali in ciascuna delle zona di guerra, e il tasso che queste guerre hanno avuto nelle proprie società interventiste e guerrafondaie; una protesta nella più ampia accezione del termine.
 
 E’ stata anche omessa ogni menzione dei lati positivi dei cosiddetti nemici. Non c’è niente di buono da dire sulla Nord Corea, la Russia, Iran e Cina. Una frase. E solo cose positive vengono da dire di noi stessi: nobili motivazioni, civiltà superiore, “migliori” valori.

Come in Unione Sovietica verso la fine, meno e sempre meno ci crederanno. La legittimità calerà. La verità, da allargare in caso ce ne sia una, è che non c’è nessuno che minaccia l’Occidente. E’ proprio l’Occidente che sta facendo uno sforzo incredibile per screditare la sua economia, legittimità, visione, democrazia e la sua forza morale.

Per ultimo, certo, screditato dalle politiche ingannevoli incise nel breve e fiero discorso del segretario di Stato, Mike Pompeo:

«Abbiamo mentito, abbiamo incastrato, abbiamo rubato. Abbiamo un intero corso di addestramento. Questo vi ricordi la gloria dell’esperienza Americana».

Così l’Impero – gloria dell’esperienza americana – è arrivato al termine. Tutti gli imperi finiscono, e dopo cadono. Il militarismo sarà la più grande e singola causa del decesso, gli ammonimenti di Eisenhower del tutto ignorati così purtroppo i discorsi di Luther King Jr. “America, sei troppo arrogante.”

Quindi, se siete ricercatori/trici di pace, attivisti/e o giornalisti/e, che cosa farete in prossimità di un momento in cui la pace sarà completamente fuori dalla vista?

Io suggerisco:

Osservare in prospettiva macro. Pochi anni non sono nulla per la storia del mondo dopotutto, di sicuro, potrebbe dipendere dalla singola vita di ciascuno quanto lontano si è riusciti ad avanzare.

Non mollare e non ibernarsi.

Agire per la pace è ciò che si è sempre fatto; accendere una candela, non buttare via il vostro tempo vagando nell’oscurità.

Fare qualcos’altro simultaneamente e creativamente che vi ricarichi le batterie e vi dia gioia mentre si attendono periodi più pacifici.

E infine, ricordarsi Gandhi: “Una passione che arde insieme ad un assoluto distacco sono la chiave per tutti i successi.” (Harijan, 29 settembre 1946, pg.336)

Se il vostro lavoro per la pace è per diventare famosi o vincere premi di prestigio (per ricevere i frutti, o le ricompense) allora è meglio smettere. Ma se vi impegnate con la convinzione che è ciò che dovete fare, e non potete non fare, allora siete come artisti che continuano a lavorare creativamente perché è un bisogno interiore, una passione, più che la necessità di diventare ricchi e famosi.

In breve, non seguire il passato o il presente, che ammettiamo sembri essere un po’ oscurato adesso.

Non dare accordo al desiderio di coloro al potere, che governano più regolarmente, mentre vi sentite senza forze o smettete di ricercare, criticare, immaginare e battervi per far avvenire futuri migliori. Sopra le nuvole, il cielo è blu.

Con un altra citazione del pensiero di Gandhi, “sii il cambiamento che vuoi vedere”, è questo, svolgi il tuo lavoro per la pace solo rivolto al futuro, con passione in ciò che fai e totale distacco dai frutti immediati di questo impegno.

La pace è una parte buona della società. Noi non sappiamo che una società buona è impossibile da raggiungere, allora proviamoci. Se non ci riusciamo, possiamo essere sicuri che non avverrà mai. In una prospettiva più ampia, logicamente, la violenza è distruzione dell’altro e di sé, mentre la nonviolenza è costruttiva.


Jan Oberg

Il discorso sulla pace

Prof. Jan Oberg, Ph.D. è direttore del Transnational Foundation for Peace and Future Research, TFF e membro della rete TRANSCEND Network for Peace Development Environment.

CV: http://transnational.live/jan-oberg http://transnational.live 

TFF (Fondazione transnazionale per la ricerca di Pace e Futuro n.d.t.) a Lund, in Svezia è indipendente dal governo e finanziamenti corporativi e conduce veramente una libera ricerca. Grazie ai suoi 60 soci esperti in tutto il mondo, ha una comprovata competenza di conflitto sul campo, nell’analisi e lavoro di mediazione in territori come Georgia, ex-Yugoslavia, Isreale-Palestina, Iraq, Burundi e Iran. Dal 1986 TFF ha lavorato per le Nazioni Unite sull’obbiettivo della Carta, per la pace e i significati di pace. TFF produce analisi veritieri e comprensibili, critica l’esagerato utilizzo della violenza. Cioè diagnosi e prognosi. Ma ci impegniamo anche perché il mondo non diventi un posto migliore senza idee e un dialogo costruttivo. TFF @transnational.org


EDITORIAL, 21 Dec 2020 | #672 | Jan Oberg, Ph.D. – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Fabrizio Caridi per il Centro Studi Sereno Regis


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