Sistema Sanitario Lombardo: dove deve dirigersi il bisturi per “curarlo” | Anna Tempia

Abbiamo ricevuto il 3 dicembre 2020 da Anna Tempia (economista specializzata in sociologia, autrice di Ricomporre i tempi, Ediesse Roma 1993 e curatrice di Vivere nel tempo. Riflessioni sull’invecchiamento, Sandro Teti Roma 2017) ulteriori riflessioni, dopo il recente articolo di Maria Elisa Sartor, sulla “riforma” del Sistema Sanitario Lombardo. Anche in questo caso, una persona esperta e attenta ai problemi dei Servizi Sanitari ci induce e riflettere sulle trasformazioni in corso in Lombardia, dove continuando a parlare di servizio “pubblico” si va invece verso un’ulteriore privatizzazione del Sistema Sanitario Regionale. Come sottolinea l’autrice: “la coerenza tra struttura portante e principi ispiratori e fondatori di un Servizio pubblico da rilanciare, come quello sanitario della regione Lombardia, non deve esser materia accessibile per indiscrezioni o per indizi, né può essere fondata sulla bontà delle intenzioni dichiarate dei proponenti”.


Sistema Sanitario Lombardo covid-19
  1. Dal novembre 2020 la stampa ha dato notizia che sono in cantiere1 alcune proposte per modificare in profondità il Sistema Sanitario Lombardo (SSL). Non è un caso che vi sia una accelerazione di questo processo, anche per le ragioni che dirò successivamente. Quello che è evidente è che ciò avviene proprio nel cuore della seconda ondata della pandemia di Covid-19, mentre è principalmente la parte pubblica del Servizio Sanitario Lombardo a reggerne l’urto. 

Le proposte di modifica nascono a seguito delle gravi carenze di funzionamento del Sistema Sanitario Lombardo messe in luce dal tragico impatto della pandemia di Covid-19 sulla popolazione lombarda e sul suo servizio stesso. Le proposte raccolgono anche una evidenza diffusa nella percezione dei cittadini: l’esigenza di riformare in profondità il SSL. Perciò esse hanno anche l’ambizione di voler configurare la rifondazione del Servizio sanitario lombardo nel suo complesso. Non irrilevante fattore di accelerazione, è la prospettiva di accedere ai finanziamenti europei del Recovery Fund2 e forse del MES.

Per tutte queste ragioni sta accadendo che, in questa fase, la revisione del Sistema Sanitario Lombardo si vada posizionando nell’agenda politica nella forma del “superamento” della legge di riforma del SSL, la l.r.n. 23/2015 nel suo complesso. Tutto ciò anche in previsione della interlocuzione della Regione con il Governo.

La tesi che sostengo in questa nota (che è un work in progress non definitivo) è che:

  1. la pandemia ci ha fatto capire cosa ci è mancato del Sistema Sanitario Lombardo, ma in questo momento occorre chiarire meglio il “campo di gioco” e i tempi delle azioni che possono rilanciare/riformare il Sistema Sanitario Lombardo e le priorità da affrontare;
  2. per farlo occorre recuperare soprattutto: 1) il giudizio di legittimità relativo alla legge 23/2015 (la riforma Maroni del Servizio Sanitario Lombardo); 2) i contenuti della legge della regione Lombardia n. 41/2015 (abrogata nel 2018 dalla l.r. n.5, art.2, comma 1, lettera b) n° 79); 3) la risposta scritta della sottosegretaria al Ministero della Salute Sandra Zampa alla interrogazione (20 / 5 /2020 ) a risposta immediata da parte della deputata Elena Carnevali (con altri 11 deputati del PD) che è pubblicata nel Bollettino Commissione XII Affari Sociali 5-04017). La materia riguarda la valutazione della “sperimentazione” delle ATS e delle ASST di cui si dirà oltre;
  3. occorre concentrare prioritariamente l’attenzione sull’impianto del Sistema Sanitario Lombardo, che si regge sulle ATS e sulle ASST per tutta una serie di ragioni che cerco di spiegare. Questa è una priorità (anche per evitare un possibile vuoto normativo da approfondire).
  1. Innanzitutto la legge 23/2015 non era passata indenne al controllo di legittimità3. Per questo motivo aveva avuto come immediato seguito la l.r. 41/2015, in parte disapplicata (e poi annullata nel 2018!!), ma che oggi è da recuperare in tutto il suo significato, perché ha introdotto modifiche su due importanti leggi di riforma del servizio Sanitario Lombardo, la l.r. 33/2009 e la l.r. 23/2015.

Quello che è certo è che il 2020 è la scadenza di un importante appuntamento, previsto da cinque anni. Si tratta della valutazione delle ATS (Agenzie per la tutela della salute) e delle ASST (Aziende socio sanitarie territoriali), istituite dalla l.r. 23/2015. Esse hanno incorporato le ASL e le AO (Aziende ospedaliere). La valutazione della sperimentazione delle ATS e delle ASST era stata disposta dalla l.r. 41/20154 e dal 2018 è rientrata nell’ “articolo 1 bis” della legge 23/2015 che recita così:

“L’articolazione in ATS e ASST del Servizio Sanitario e Sociosanitario regionale, come disciplinato dal Titolo 1° della legge regionale n.33/2009 a seguito delle modifiche introdotte dalla presente legge(la 23/2015), avviene in via sperimentaleper un periodo di 5 anni, al termine del quale la Regione, in collaborazione con il Ministero della Salute, valuta i risultati della sperimentazione”5.

Bisogna dire che la regione Lombardia non deve aver accettato mai di buon grado questa valutazione, fino al tentativo di far perdere le tracce di questo impegno6

Ma è importante recuperare, fra le altre cose, anche il percorso di monitoraggio avviato a seguito della 41/2015 (e definito il 4 aprile 2016 dal protocollo di intesa Ministero della Sanità e Regione Lombardia) intrapreso dalla Commissione paritetica Ministeriale7. Per la valutazione conclusiva della sperimentazione di ATS e ASST, il Ministero della Salute (scrive la sottosegretaria Zampa alla citata risposta all’interrogazione Carnevale) si avvarrà anche del Comitato paritetico di monitoraggio. È presumibile che anche la Regione Lombardia sarà chiamata in causa in questo passaggio. E questo spiega quanto il lavoro sul Servizio Sanitario Lombardo sia destinato a maturare in tempi brevi.

Alla luce di quanto detto, perché è proprio dall’impianto del Servizio Sanitario Lombardo che oggi occorre ripartire? Lo spirito non è quello di “fare i compiti” previsti, quanto quello di creare i pilastri per rilanciare il servizio su basi solide.

Teniamo anche conto che l’art.3 della legge 41/2015 aveva introdotto due modifiche importanti all’art. 2 della l.r. 23/2015, tendenti a circoscrivere la portata di questa riforma lombarda. Aveva disposto che: a) il termine “sistema” (sociosanitario lombardo), ovunque ricorra, è sostituito con la parola “servizio”; b) le parole “sono soppresse le ASL e le AO” sono sostituite dalle seguenti “le ASL e le AO, con tutto il loro patrimonio mobiliare e immobiliare, i rapporti giuridici in essere, le articolazioni e le strutture, i distretti e i presidi, vengono incorporate nelle ATS e nelle ASST …”

Questo dà l’idea che il futuro scostamento possibile dall’impianto previsto dal Servizio Sanitario Nazionale non può rincorrere modelli che ne aumentano le distanze e le differenze.

Bisogna dunque partire dalla valutazione della struttura portante del SSL per due ragioni fondamentali: perché la struttura si innesta in quella del SSN e perché è la base del funzionamento dei servizi sanitari per i cittadini. 

Agli effetti delle ricadute sui cittadini, l’articolazione del Servizio sanitario regionale svolge un ruolo fondamentale perché:

  1. deve realizzare i principi ispiratori del SSN (universalità, uguaglianza ed equità);
  2. deve organizzare le funzioni, i gradi di integrazione, le modalità di attuazione attraverso l’apparato tecnico organizzativo, l’ allocazione dei poteri e l’attribuzione delle responsabilità, i processi decisionali. Ovvero tutto ciò che dovrebbe far vivere il SSR alla stregua di un organismo che ha vari compiti: quello di prestare servizi sanitari efficaci ed appropriati in tempi ordinari, quello di realizzare le politiche sanitarie via via necessarie per rispondere ai bisogni di salute della popolazione e quello di intervenire in tempi emergenziali, come quello della pandemia che stiamo vivendo;
  3. deve garantire l’integrazione con il SSN  in quanto la tutela della salute rientra tra le materie oggetto di legislazione concorrente tra Stato e Regioni (in seguito alla legge di riforma costituzionale n. 3 del 2001)8. E deve farlo nello spirito che informa il SSN, che è pubblico.

È evidente a tutti che le otto ATS lombarde (prima della l.r. 23/2015 c’erano 15 ASL) sono partite con un dimensionamento anomalo per popolazione e per ampiezza della loro competenza territoriale. Meno evidente è che ciascuna di esse può muoversi con ampi gradi di autonomia e che “ha gestito” (insieme alla Direzione generale della sanità lombarda) con difficoltà e contraddizioni crescenti la regolazione del rapporto tra la componente pubblica e quella privata del Servizio Sanitario Lombardo.

In mancanza di una Programmazione continuativa9 – cosa che ha caratterizzato il quarto di secolo di governo della sanità da parte del Centro Destra – c’è notizia che qualche ATS lombarda abbia almeno cercato di applicare l’art. 1, lettera h della l.r. 41/2015? Questo articolo dice che “le ATS ispirandosi ai principi di cui all’articolo 2, al fine di garantire un’efficace, efficiente, appropriata ed economica integrazione delle attività di erogazione dei servizi del Servizio Sanitario Lombardo, possono prevedere modelli di coordinamento delle attività erogate da tutti i soggetti pubblici e privati nell’ambito del territorio di rispettiva competenza”

Formalmente le ATS sono degli organi che, operando attraverso le loro ASST, dovrebbero realizzare il cosiddetto modello della sanità Lombarda: “misto pubblico privato” caratterizzato dalla concorrenza e dalla parità di trattamento tra operatori pubblici e privati10. Questo rischia di essere un enunciato privo di reale consistenza nel caso della Lombardia a causa dell’ampio sbilanciamento verso la componente privata degli erogatori, sia in ambito ospedaliero che territoriale. Ne sono derivate da un lato una maggior rigidità di risposta del sistema nel suo complesso e dall’altro un pesante aumento delle diseguaglianze nell’accesso alle cure per i cittadini. Ma la pandemia, pur nella violenza del suo impatto emergenziale sul SSL, non ha mancato di rivelare che la “gestibilità” del Sistema Sanitario Lombardo a fini pubblici è gravemente compromessa, avendo la Regione stessa partecipato per un quarto di secolo alla costruzione del mercato della salute in Lombardia11.

Infine una ragione importante per impostare bene fin dall’inizio le fondamenta del servizio è data dal fatto che buona parte dell’innovazione prevista (a torto o a ragione) va nella direzione della digitalizzazione, della telemedicina e della costruzione di piattaforme per l’accesso alle prestazioni. Non c’è nulla di peggio del calare una infrastruttura di questo tipo su di un sistema che non è in grado di funzionare come un organismo perché rischia di costituire una gabbia, anziché un apporto positivo per svilupparne le prestazioni.

  1. La valutazione delle ATS e delle ASST è quindi un crocevia in cui occorre per forza passare, con tutte le scelte del caso relative alla direzione da prendere per affrontare l’impostazione del servizio sanitario regionale che non può che essere pubblico e universale per coerenza con il SS nazionale.

In conclusione occorre rafforzare il dibattito pubblico sul tema dell’impianto del Sistema Sanitario Lombardo poiché la coerenza tra struttura portante e principi ispiratori e fondatori di un Servizio pubblico da rilanciare come quello sanitario della regione Lombardia, non deve esser materia accessibile per indiscrezioni o per indizi né può essere fondata sulla bontà delle intenzioni dichiarate dei proponenti.

Anche l’accezione di “pubblico” va affrontata poiché in Lombardia finisce per esser derubricata ad una vecchia questione ideologica, con il risultato che sembra esser declinata al minimo comun denominatore: nessuno mette in dubbio che il finanziamento debba avvenire con denaro pubblico. Le prestazioni sono formalmente garantite a tutti, seppur con tempi di attesa che talvolta rasentano quelli di un’epopea. Tanto più per chi non ha accesso agli strumenti informatici, alle piattaforme e così via.  In tempo di emergenza covid-19, molte prestazioni ordinarie sono rinviate a data da destinarsi, perché è prevalentemente sulla componente pubblica del Servizio che si scarica l’onere di fronteggiare l’emergenza e di curare i malati della pandemia.

Concludendo, nel “crocevia” della valutazione dell’impianto del SSR, occorre prendere decisamente la direzione di “pubblico” nella accezione legata alla tutela del diritto universale alla salute. Ciò si rende necessario per coerenza con i fondamenti del SSN e perché oggi la gravità e la profondità delle diseguaglianze, per le conseguenze sui soggetti e sulla collettività, sono tali da richiedere interventi universali, che per loro natura non possono esser altro che pubblici.

In questo momento quindi, il Pubblico è chiamato a intervenire, non solo per ragioni di efficienza – a causa dei “fallimenti del mercato” visibili in materia di tutela della salute e noti nella letteratura economica e nella pratica delle amministrazioni e dei governi – ma soprattutto per ragioni di equità. Cioè “il diritto alla cura della salute appartiene alla sfera dei diritti primari, il cui soddisfacimento non può per ragioni etiche essere sottoposto ai criteri che regolano lo scambio nel mercato privato. La tutela pubblica deve essere in questo caso universale”12. E la tutela pubblica dei diritti primari è assolutamente necessaria oggi poiché l’entità delle diseguaglianze è insostenibile dal punto di vista della coesione sociale e della governabilità di un sistema democratico, soprattutto in presenza di un mercato del lavoro molto fragile come quello italiano.


Note

1Al momento attuale nessuna proposta è stata resa pubblica e non è nemmeno accessibile attraverso i canali istituzionali.

2Il Recovery Fund è stato approvato dal Consiglio Europeo del 20 luglio 2020. Una quota parte potrebbe esser destinata anche alla sanità. I finanziamenti del MES potrebbero invece esser destinati tutti alla sanità.

3Il Ministero della Salute, il Ministero della Giustizia e il Ministero dell’Economia e delle Finanze avevano formulato delle “osservazioni”. Nella relazione al Progetto di legge 0272 (LR 41/2015) approvata nella seduta del 1.12.2015 alla III Commissione Sanità e Politiche sociali della Regione Lombardia, si rinvia a queste “osservazioni”, di cui alla nota prot. n. A1. 2015.0088735 e alla nota prot. n. A1.2015.0088918 del 9.10.2015. 

4A seguito degli esiti del controllo di legittimità, il Consiglio regionale con deliberazione n. X/928 del 10 dicembre 2015 ha approvato la legge n. 41/2015 (Ulteriori modifiche al Titolo I della legge regionale 30 dicembre 2009 e modifiche alla legge regionale 11 agosto 2015 n. 23). È questa legge della Regione Lombardia che definisce sperimentale e soggetta a valutazione definitiva dopo 5 anni l’articolazione in ATS e ASST del Servizio Sanitario Lombardo (art.2). Ma non stabilisce i criteri di valutazione.

5L’art. 1 bis qui riportato in corsivo, riproduce l’art. 2 (Integrazione della l.r. 23/2015, inserimento dell’articolo 1 bis) della l.r.n.41 del 22 dicembre 2015.

6La legge 41/2015 è stata abrogata nel 2018, dalla l.r. n.5 del 25 gennaio 2018, all’art. 2, comma 1, lettera b), n. 79.

7La Commissione paritetica ha lavorato (in sinergia con quella che si occupa della valutazione dei LEA) sul monitoraggio di 3 macroaree: la prevenzione, l’assistenza distrettuale, l’assistenza ospedaliera. Vedi la già citata risposta scritta della sottosegretaria Sandra Zampa (Bollettino in Commissione XII Affari Sociali 5-04017)

8Allo Stato è attribuita la definizione e il controllo dei LEA (art. 117, lettera m, comma 2)

9Opportunamente fatto, il Piano sanitario e sociosanitario regionale avrebbe consentito l’immissione degli erogatori privati ad “integrazione” delle componenti pubbliche, che non avrebbero dovuto essere così gravemente penalizzate come è avvenuto.

10Oggi il Covid mostra che il radicamento del privato è tale che esso si introduce nel campo delle politiche sanitarie pubbliche previste dalle norme nazionali (e che il pubblico non  realizza). Questo vale per i vaccini contro l’influenza, i tamponi, le unità USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) che intervengono per la cura dei Covid a domicilio, la medicina territoriale della prevenzione (intesa come diagnosi precoce). L’offerta nasce rivolgendosi direttamente ai paganti (in proprio o talvolta anche attraverso assicurazioni o fondi sanitari) e in qualche caso (la medicina territoriale della prevenzione intesa come diagnosi precoce) con qualche corsia di accesso riservata anche agli utenti del SSR. Sono gli erogatori privati, già accreditati e contrattualizzati dal SSR, che promuovono questi servizi, aprendo una via (o un vicoletto?) di accesso anche a chi utilizza il SSR.

11Si tratta di un percorso che viene da lontano: vedi Maria  Elisa Sartor, “La privatizzazione del SSR e la creazione del mercato della salute in Lombardia” nel Webinar del 16 novembre 2020 su “La privatizzazione irresponsabile del Servizio Sanitario” (Il webinar è stato oggetto di un pesante hakeraggio fin dall’inizio, ma tutti gli interventi si sono svolti regolarmente e sono disponibili dal sito di Medicina Democratica o su YouTube, cliccando i nomi dei relatori:  Chiara Giorgi (UniSapienza), Maria Elisa Sartor (UniMi), Marco Geddes (Epidemiologo), Angelo Barbato (Forum per il diritto alla salute).  Sulla scia della privatizzazione si è assistito ad una accelerazione di questo processo che ha riguardato gli ospedali e il territorio. Qui la Regione ha quasi azzerato l’offerta pubblica ma non ha realizzato i presidi territoriali PreSST e POT previsti dalla 23/2015. Inoltre il modello lombardo per la Presa in carico dei cronici – decollato con le Dgr di Giunta a partire dal 2017 – è stato un potente volano per l’aumento dei gestori privati (e dei loro contratti con erogatori privati di prestazioni), prestazioni a cui il paziente accede dopo la stipula di un contratto di diritto privato (il Patto di cura) con il gestore.

 12P. Bosi, Corso di scienza delle finanze, Il Mulino, Bologna, 2006, p. 405.


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