Combattere la glorificazione del nazismo e del neonazismo
Il 18 novembre 2020, l’ONU ha approvato la Risoluzione “Combattere la glorificazione del nazismo, neonazismo e altre pratiche che contribuiscono ad alimentare le contemporanee forme di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e relativa intolleranza”, un appello agli Stati membri affinché adottino tutti gli strumenti necessari per portare avanti una lotta nonviolenta contro un fenomeno tutt’altro che obsoleto ma, al contrario, tragicamente attuale.
“Il neonazismo è qualcosa di più della glorificazione di un movimento del passato: è un fenomeno contemporaneo”, degradante e distruttivo. Pericoloso promotore di razzismi. Discriminazioni, fobie, intolleranze. Questo è il neonazismo.
Se doveste aver dato per scontato che tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite abbiano votato a favore della Risoluzione, mi addolora e terrorizza dover demolire un pronostico così fiducioso e ottimistico.
Solo 122 hanno espresso la loro approvazione, Russia e Cina comprese. Mentre 29 Stati membri si sono astenuti. Tra questi, anche il governo italiano.
Due, invece, sono gli insidiosi refrattari: Stati Uniti e Ucraina.
Nelle repubbliche baltiche, i rigurgiti neonazisti non hanno alcun timore di uscire allo scoperto. Si dilatano e regrediscono in un crescente e concreto sentimento d’odio.
Come analizza egregiamente Manlio Dinucci in un articolo per il Manifesto, “vi sono ampie prove che squadre neonaziste sono state addestrate e impiegate, sotto regia USA/NATO, nel putsch di piazza Maidan, nel 2014, e nell’attacco ai russi di Ucraina per provocare, con il distacco della Crimea e il suo ritorno alla Russia, un nuovo confronto in Europa analogo a quello della guerra fredda. Emblematico il ruolo del battaglione Azov […].”
Il battaglione Azov, fondato nel 2014 da Andriy Biletsky, è il frutto marcio di un movimento politico e ideologico, lucidamente studiato e messo in pratica per condurre la “razza bianca globale nella sua crociata finale per la sopravvivenza”.
Non si tratta semplicemente di un’unità militare. C’è molto di più. È parte di un male culturale più ampio. Negarne l’esistenza è sintomo tangibile della portata virale con cui questo si diffonde a livello globale. Anche qui, a “casa” nostra.
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