Dossier statistico immigrazione 2020: il distanziamento sociale non è una novità | Maria Chiara Todaro

Photo by Sébastien Goldberg on Unsplash

Il 28 ottobre 2020 Luca di Sciullo, coordinatore del Dossier statistico immigrazione e presidente del Centro studi e ricerche Idos, ha presentato il nuovo rapporto, realizzato dallo stesso Idos in partenariato con il Centro studi Confronti, che da ormai trent’anni si impegna a offrire un quadro completo del fenomeno migratorio in Italia.

L’espressione che ha dato avvio alle riflessioni è stata DISTANZIAMENTO SOCIALE, atteggiamento raccomandato come misura di contenimento e contrasto al Covid-19, ma che in realtà non è nuovo nelle dinamiche sociali: anzi è da sempre una reazione spontanea e quasi naturalizzata quando ad avvicinarsi è un immigrato.

Il Dossier si apre con uno sguardo complessivo e dettagliato sul contesto internazionale ed europeo: i migranti internazionali nel 2019 sono arrivati a 272 milionie, includendo anche i migranti interni, oggi sarebbero 1 miliardo (79,5 milioni migranti forzati¸ 24,9 milioni migranti ambientali  e 164 milioni migranti economici).

In questo periodo delicato, i migranti incontrano numerose difficoltà, tra cui il limitato accesso alle risorse sanitare e alle misure pubbliche di protezione, le insicure condizioni socio-economiche, l’impossibilità di partenza o di transito a causa di frontiere chiuse, le espulsioni lavorative, il blocco di servizi internazionali di trasferimento di denaro con la conseguente diminuzione delle rimesse (con le quali i migranti mantenevano le loro famiglie nei paesi d’origine). 

È fondamentale in questo momento “non lasciare nessuno indietro” (motto dell’Agenda 2030 e degli Oss), ideale che si oppone alla reale situazione europea. La politica dei muri, dei porti chiusi e dei respingimenti ha costretto tante persone a cadere nell’irregolarità e spesso a sfiorare, se non toccare, la morte: il progetto Missing migrants di Oim dichiara che sono stati 1.772 i migranti che, nel mondo, hanno perso la vita nel vano tentativo di superare i confini tra Stati alti tra il 1° gennaio e il 15 settembre 2020.

La strategia europea di “esternalizzazione delle frontiere” aggira il principio di non respingimento, sancito dal diritto internazionale, attraverso il finanziamento di Stati a cui viene delegato di impedire il raggiungimento dei confini europei:l’accordo sui migranti tra Ue e Turchia (marzo 2016); l’accordo italo-libico (febbraio 2017); l’istituzione della “guardia costiera libica” e della “Sar”, zona di mare sotto il controllo dei guardacoste libici per bloccare i migranti che tentano la fuga.Questa strategia politica, unita alla mancanza ultradecennale di programmazione degli ingressi per lavoro e allabolizione dei permessi di protezione umanitaria (Decreto “sicurezza” del 2018) hanno contribuito a svuotare i centri di accoglienza per una fuoriuscita netta di quasi 100.000 migranti in appena due anni e mezzo.

Una piccola luce in questo tetro scenario sono i corridoi umanitari (programma Fcei, Tavola valdese e Federation d’Entraide Protestante), che rappresentano un’alternativa sicura ed efficace ai “viaggi della morte”.

In Italia, i residenti stranieri a fine 2019 sono in totale 5.306.500, l’8,8% della popolazione complessiva del paese, i soli non comunitari regolarmente soggiornanti sono però diminuiti di 101.600 unità (-2,7%) con il parallelo probabile aumento dei non comunitari irregolari, che a oggi sarebbero cresciuti di ben 120-140.000 unità. Eppure, nonostante questa abbondante presenza, utile a bilanciare la diminuzione della popolazione italiana degli ultimi anni, anche il mercato del lavoro italiano appare ancora rigidamente scisso su base “etnica” riservando massicciamente agli stranieri le occupazioni più rischiose, faticose, precarie e sottopagate: circa 2 su 3 di essi svolgono lavori non qualificati o operai, mentre ha un impiego qualificato solo il 7,6%.

L’emergenza sanitaria ha inoltre accentuato queste tendenze sul mercato del lavoro: durante la pandemia sono aumentati di 40-55mila unità (+15-20%) i lavoratori immigrati che, per le ore e le condizioni di lavoro, vengono sfruttati nelle campagne italiane, con una contrazione della loro retribuzione oraria e la mancanza di un dispositivo di protezione sanitaria.

Marco Omizzolo, durante la presentazione, ha parlato di 16 lavoratori indiani che, nel Pontino, hanno deciso di togliersi la vita per le gravi condizioni di sfruttamento. «È incredibile che, in un Paese di immigrazione da quasi 50 anni, in cui 3 non comunitari su 5 hanno ormai maturato un titolo di soggiorno di durata illimitata (e, tra i restanti, l’80% soggiorna per un motivo che sottintende comunque un insediamento stabile); in cui i matrimoni misti sono arrivati a rappresentare ben il 12% del totale, più di 1 neonato ogni 7 ha genitori stranieri, 3 alunni stranieri su 5 sono nati in Italia e che conta oltre 1,3 milioni di minorenni con un background migratorio, contiamo ancora oltre 800 mila nati in Italia che qui vivono, studiano, lavorano, prendono casa, costituiscono una famiglia e tuttavia non hanno la cittadinanza italiana. Per una legge antiquata che risale a ben 28 anni fa, che nessun governo, di destra e di sinistra, ha mai voluto riformare, nonostante le numerose campagne e i tantissimi disegni di legge depositati allo scopo in Parlamento» ha concluso Di Sciullo durante la presentazione, invitandoci a riflettere su quanto la legislazione italiana sia ormai decontestualizzata.

Il NOSTRO contesto sta mutando e l’emergenza sanitaria sta disegnando un nuovo orizzonte: è nostro dovere conoscere e comprendere questa alterità di fronte alla quale siamo tutti uguali, iniziando a considerare l’umanità come luogo di incontri e non di categorie. Siamo davvero pronti a combattere contro una pandemia senza prima aver deposto le armi contro l’uomo?


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