Imparare da Gandhi oggi

Richard Falk

[Nota di prefazione: Ho scritto il testo che segue prima di venire a conoscenza delle drammatiche sfide poste alla specie umana nel 2020: la pandemia di Covid-19, il razzismo sistemico, Trump e il Trumpismo. Queste sfide sono state poste nelle loro forme più estreme negli Stati Uniti, non solo il primo stato globale, ma anche il primo stato globale fallimentare, che esporta i suoi fallimenti ben oltre i normali limiti spazio-temporali.

È tenendo a mente queste circostanze che pubblico la mia prefazione a “The Science of Peace” di Suman Khanna, una presentazione fedele e altamente accessibile del pensiero e delle pratiche di Gandhi per come possono essere applicati alle circostanze piuttosto opprimenti che, sommandosi, vanno a formare minacciose nubi di tempesta. Il cielo tanto oscuro che aleggia sul presente serve a richiamare la nostra attenzione sulle gravi minacce agli elementi ecologici e umani che affrontano tutti gli esseri sulla terra, siano essi a conoscenza di tali pericoli senza precedenti o meno. In tali circostanze in molti, spinti da un senso di solitudine, disperazione e alienazione, si rifugiano nei posti più pericolosi, il terreno psicologico su cui Trump e il Trumpismo costruiscono la loro architettura politica maligna, in maniera più lampante negli Stati Uniti ma che si sparge nelle società in tutto il mondo tramite le subdole strutture del capitalismo, del militarismo, della pacificazione e delle forme statali scioviniste.

Ciò che apprendiamo da Gandhi è la devozione dell’azione radicale come risultante del potere assopito dei senza potere [che si risveglia] nel momento in cui viene realizzata e messa in pratica una sufficiente volontà collettiva dedicata alla resistenza e alla trasformazione. Il contatto con l’approccio di Gandhi incoraggia le conversazioni e le riflessioni di cui abbiamo urgentemente bisogno se vogliamo ritrovare la speranza in un momento di disperazione.

Ms. Aggarwal è un devoto studioso di Gandhi e attivista gandhiano conosciuto in tutto il mondo. “The Science of Peace” è disponibile su Amazon in versione Kindle a $ 6.23. Non vi pentirete di leggerlo e di riflettere sulla sua rilevanza.]


Prefazione a “The Science of Peace” di Suman Khanna Aggarwal

In maniera lucida e avvincente Suman Aggarwal istruisce noi e il mondo intero sull’approccio alla pace estremamente originale e storicamente testato di Gandhi. A rendere tale approccio così tempestivo per il nostro mondo lacerato dai conflitti è il fatto che le idee di Gandhi non sono sentimentali o basate su un banale pensar positivo, ma derivano dall’esperienza scientificamente validata della pratica nonviolenta della risoluzione dei conflitti unita all’impegno incondizionato verso la verità e la perseveranza. Il libro di Aggarwal accompagna passo per passo il lettore nell’impatto rivoluzionario di Gandhi su come ci dovremmo sentire, come dovremmo pensare, credere e agire se miriamo sinceramente alla pace, sia privatamente che pubblicamente. Siamo guidati in un percorso che inizia con la comprensione del conflitto, si muove verso la comprensione del perché il sentiero della nonviolenza basato sulla verità sia più efficace e benefico degli approcci militari più diffusi, illustra tale impegnativo percorso nonviolento tramite un breve discorso sul genio tattico dimostrato da Gandhi nell’elaborare la pratica nonviolenta e conclude con una appassionante spiegazione del perché la nonviolenza sia una fonte di potere coerente con le verità scientifiche. Dopo la lettura e la riflessione su un tale libro è difficile non essere tanto illuminati quanto ispirati, perché ci rende in grado di guardare alle sventure del mondo con sguardo lucido e speranzoso.

Viviamo in un momento in cui i leader politici del mondo esibiscono e accentuano i suoi peggiori difetti più che far fronte all’importante sfida della prima crisi bio-etica della specie umana. Nel passato, le società, persino le civiltà, sono spesso state a rischio di collasso, eppure mai lo sono state specie e la sostenibilità del loro habitat planetario. Proprio come immediatamente compreso da Gandhi, non vi era niente di qualitativamente nuovo nelle bombe atomiche sganciate sulle città giapponesi, si trattava piuttosto del culmine visibile della logica di violenza portata al suo estremo, che chiariva in maniera indisputabile gli effetti mortali del far affidamento sulla guerra incoerente e mortale, e sul militarismo quale fondamento della sicurezza per gruppi e individui. Sappiamo che una guerra nucleare potrebbe condannare la specie umana producendo un inverno nucleare che potrebbe durare almeno dieci anni, distruggendo le fondamenta agricole della sana vita collettiva sul pianeta.

Sappiamo anche che gli stili di vita della modernità continuano ad immettere quantità insostenibili di gas serra nell’atmosfera. Un tale comportamento irresponsabile causa il riscaldamento globale che minaccia di contaminare la terra e renderla per sempre inabitabile.

Sappiamo anche che cosa bisogna fare per essere all’altezza di tali sfide, eppure non agiamo con sufficiente ambizione. Al meglio ci affidiamo alla vana speranza che una leadership prudente salverà il mondo dalla catastrofe nucleare e che la tecnologia salverà il pianeta dal surriscaldamento globale prima che sia troppo tardi. Pur essendo una specie al corrente  della grave crisi, per la maggior parte del tempo guardiamo dall’altra parte, affidando il futuro a coloro che stanno aggravando questi problemi con il loro militarismo e la loro cupidigia economica. Ci rivolgiamo a leader che considerano “invasori” gli stranieri disperati che cercano asilo, che fanno proprie le idee dell’ultra-nazionalismo, esprimono disdegno per la partecipazione e le forme di governo realmente democratiche, alimentano l’evasione e persino il diniego della pacificazione e sviano lo scontento generale quando si tratta di riconoscere tali minacce senza precedenti per il benessere e la sopravvivenza del genere umano. Le ideologie prevalenti del nazionalismo, capitalismo e realismo politico sono tutte fondate sulla frammentazione dell’umanità in una moltitudine di identità distinte correlate allo stato, alla nazionalità, alla religione, alla razza, al genere, al guadagno e così via. Questa fissazione sulle differenze impedisce di fare esperienza e di agire sulle similarità essenziali che sole possono produrre uno spirito di unità, precondizione necessaria per realizzare il potenziale spirituale dell’umanità e affrontare le sfide pratiche che aleggiano come nubi di tempesta sulle nostre speranze per un futuro benigno.

Un tale sfondo lascia presagire che noi umani, come specie, non stiamo soltanto annaspando ma sprofondiamo verso catastrofici scenari di estinzione. Ciò che sembra chiaro a chi ha occhi per leggere e orecchie per sentire è che il modo di affidarsi ai sistemi statisti di ordine mondiale in cui il pianeta è organizzato è prono alla violenza, guidato dal nazionalismo e ecologicamente insostenibile. Il mio stesso paese, gli Stati Uniti, ha tracciato la via accentuando la frammentazione politica, assecondando una forma sciovinista di narcisismo nazionalista, eleggendo come attuale presidente un uomo che banchetta sulle divisioni, impiegando una diplomazia coercitiva basata sulle minacce e sugli armamenti e costruendo sul proprio suolo domestico un ordine sociale che fa sfoggio del controllo plutocratico delle ricchezze e delle risorse. Un tale panorama sociale è insensibile rispetto alle tremende ineguaglianze socio-economiche vissute dai cittadini e ignora completamente la minaccia posta dalla biodiversità in rapido declino e dai crescenti e molteplici pericoli correlati al cambiamento climatico e al nuclearismo. 

Se tale modo di intendere l’attuale condizione umana è almeno in parte corretto, esso ci suggerisce che stiamo tralasciando gli strumenti disponibili che potrebbero far molto di più nel gestire il modo in cui viviamo assieme sul pianeta terra. Le ideologie e le prospettive culturali almeno vagamente in grado di rispondere nel presente alla realtà dell’epoca in cui viviamo sono state virtualmente abbandonate praticamente ovunque. Nell’oscurità di tale notte, in occasioni molto rare, viene fuori un libro che illumina tutt’attorno a se tramite la sua   profonda sensibilità a queste sfide pendenti alle nostre circostanze di vita. The Science of Peace di Summa Khanna Aggarwal è esattamente questo tipo di libro. Con lucidità, erudizione, diagrammi visuali e un commento esperto esso esplora il pensiero e le pratiche di Mahatma Gandhi, spiegando le sue idee cardine e facendoci di comprendere al meglio le sue  coraggiose pratiche di digiuni eccezionali e potenzialmente mortali e di mobilitazione di grandi, storiche manifestazioni di opposizione nonviolenta della popolazione indiana contro il poderoso impero britannico. Il radicalismo Gandhiano ha unito in maniera creativa la ricerca della verità, la nonviolenza e l’amore, offrendo una cura per le malattie ancora impropriamente diagnosticate che affliggono l’umanità.

Ms. Aggarwal sottolinea, in maniera originale e illuminante, l’importanza della convinzione fondamentale di Gandhi che il suo approccio alla politica e alla vita fosse una questione di “scienza” e non di sentimenti ed emozioni non concretamente verificabili. A tal proposito Gandhi era convinto di aver trovato nella nonviolenza e nell’amore delle fonti di potere che in loro stesse erano la risultante di leggi naturali radicate nella realtà tanto quanto lo sono le leggi di gravitazione. Presentare in tal modo Gandhi vuol dire ricordare ai lettori che il suo approccio alla conoscenza non era tanto una questione di moralità, di preferenze personali di risoluzione pragmatica di problemi o persino di convinzioni religiose. Gandhi agiva sulla base di una verità scopribile empiricamente, a ciò integrando la sua convinzione inamovibile che l’eventuale fallimento avrebbe portato al disastro, qualsiasi fosse l’iniziativa presa, fosse essa prettamente personale o eminentemente politica. Di contro, l’adesione paziente alla verità evocherà inevitabilmente il potere dell’amore, che per Gandhi diventerà inevitabilmente centrale in ogni vicenda umana. Dopo la lettura dello stimolante approfondimento di Aggarwal sulla natura scientifica, già segnalata dal titolo, del radicalismo Gandhiano emerge una migliore comprensione di questa grande figura storica.

Ci sono due modi distinti di pensare alla rilevanza della scienza di Gandhi. Il primo, caldeggiato sottovoce in questo libro, consiste nel suggerire che ciò che Gandhi propone è l’unico modo di progredire di cui l’umanità dispone, e che così è sempre stato ma ora è lo è diventato in maniera ancor più evidente. Di fatto non possiamo sperare di sciogliere la presa mortale della guerra e degli odiosi schemi dell’interazione umana senza un impulso nonviolento proveniente dalle genti del mondo e fondato sul loro riconoscere che un amore inclusivo sia estremamente potente nelle situazioni di conflitto. Il secondo modo, che è più vicino al mio punto di vista, consiste nel ritrovare nella vita e nel pensiero di Gandhi un radicalismo coerente ed eticamente sublime di una grandezza tale da corrispondere alla portata epocale delle attuali sfide umanistiche ed ecologiche. Questo libro dimostra in maniera convincente che l’umanità non sopravviverà senza un cambiamento radicale verso l’inclusività in ogni campo, comprese le nostre relazioni con gli animali e con la natura in senso ampio, ma che il particolare tipo di radicalismo Gandhiano sia adatto alla situazione storica mi sembra essere più discutibile, o per lo meno mi sembra necessitare la creazione di connessioni tra le sue specifiche lotte e la attuale pericolosa situazione globale.

Chiaramente, alcune domande pressanti sono implicite nella vita e nelle battaglie innegabilmente eroiche delle forme di radicalismo di Gandhi. Gandhi, così come uno dei suoi più ammirati precursori Gesù, è morto violentemente, e le eredità di entrambi sono state distorte e sfruttate persino mentre venivano onorati. Ovviamente, sappiamo anche, come rende evidente Aggarwal, che la vita di Gandhi non finì in un’atmosfera celebrativa per il crollo del dominio coloniale, ma piuttosto nello sconforto provocato dallo spaccamento dell’India e dalle rivolte che hanno spinto indù e mussulmani gli uni contro gli altri. Io credo che ci sia il bisogno di chiedersi se l’impegnativo dettame di Gandhi non fosse troppo difficile vista la schiacciante maggioranza di persone che, al massimo, sono capaci di ciò che Gandhi liquidava come “nonviolenza dei deboli”, cioè come strumenti per raggiungere un fine senza essere necessariamente impegnati in un percorso nonviolento sia in quanto ai fini che in quanto ai mezzi. È possibile che Gandhi pretenda troppo? E il mondo non beneficerebbe forse da un movimento transnazionale di persone dedicate alla pace e alla sostenibilità ecologica anche se non ricercassero una validazione scientifica e non insistessero sulla nonviolenza come il fine, oltre che il mezzo, verso cui indirizzare i propri sforzi? Non pretendo di poter avere delle risposte a questo genere di domande, ma la loro rilevanza in merito a quanto viene proposto nelle pagine di questo libro dovrebbe incoraggiare il lettore a intraprendere un dialogo attivo con l’autore.

Infine, dovremmo essere tutti quanti profondamente grati nei confronti di Ms. Aggarwal per averci reso coscienti dell’incredibile corpus di pensieri di Gandhi che, in maniera così diretta, parla al nostro presente. L’autrice argomenta in maniera convincente a favore della visione Gandhiana della pace, compreso il suo carattere non-condizionale, e, indirettamente, argomenta a favore di qualsiasi tipo di pensiero e azione radicale che sia in grado di realizzare obbiettivi tanto irrealizzabili quanto l’ottenimento dell’indipendenza politica dell’India, che comprendono l’aver cura della sicurezza e della salute della specie umana nel momento in cui affronta minacce senza precedenti al suo benessere e persino alla sua sopravvivenza. Se teniamo al futuro dell’umanità dobbiamo a noi stessi la lettura e la riflessione su questo bel libro.


Fonte: Global Justice In The 21st Century

http://richardfalk.wordpress.com/2020/07/12/learning-now-from-gandhi/

Traduzione di Stefano Pirisi per il Centro Studi Sereno Regis

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