Il cuore spezzato di Beirut | Un ponte per


Testimonianze dai campi palestinesi

Giovedì 6 agosto – A due giorni dall’esplosione che ha sventrato la città di Beirut, riceviamo e pubblichiamo questa toccante testimonianza di Kassem Aina, Direttore di Beit Aftal Assomoud, nostro storico partner nei campi palestinesi del Libano, con cui lavoriamo da decenni con il programma di Sostegni a distanza.


Care amiche, cari amici,

grazie per averci chiesto di noi, e per i vostri messaggi di solidarietà e preoccupazione. Siamo tutte e tutti in lutto per il tragico incidente che ha colpito la nostra amata città, Beirut.

Le persone in Libano, di ogni nazionalità e appartenenza, hanno il cuore spezzato.

Siamo grati che i danni alla famiglia di Assomoud abbiano riguardato solo perdite materiali, ma i nostri cuori e le nostre preghiere vanno alle famiglie delle vittime, delle persone ferite e disperse.

L’esplosione che ha colpito Beirut ha rappresentato il culmine dei giorni più neri che abbiamo mai vissuto. La pandemia, l’inquinamento ambientale, il caos, la crisi economica e politica, hanno tempestato il Libano all’improvviso: un colpo che un paese così vulnerabile non può sopportare.

Mentre vi scriviamo, le persone sono ancora in stato di shock per quanto accaduto, cercando fra le macerie i propri cari. Le scene a cui assistiamo sono ancora peggiori di quelle diffuse dai media.

La nostra vibrante Beirut si è trasformata in una città fantasma, in cui ci sono solo macerie e vetri rotti per strada. Interi quartieri sono stati distrutti.

Moltissime case sono state evacuate, perché a rischio di crollo. L’esplosione non ha risparmiato vite come ospedali, aggiungendo miseria, povertà e devastazione a quella già esistente.

In questi tempi difficili, continueremo a garantire sostegno psicologico alle persone nei nostri campi e nei dintorni, aggiungendo al numero dei nostri rifugiati quello delle persone sfollate interne.

Siamo rimasti forti davanti a massacri e guerre di ogni tipo in Libano.

Oggi, dobbiamo restare altrettanto forti e solidali con Beirut, con il popolo libanese, e con tutte le persone che hanno reso questo bellissimo paese la nostra seconda casa.

Grazie per la vostra compassione, e per la vostra umanità che non conosce né confini né barriere.

Kassem Aina


Beirut, l’ultima ferita inferta al Libano

Mercoledì 5 agosto – Centinaia di vittime, migliaia di feriti, persone rimaste senza casa, ospedali al collasso. L’alba su Beirut, questa mattina, è stata crudele. La città si è svegliata nuovamente ferita, dopo la crisi economica che l’aveva ridotta in ginocchio, la pandemia, le difficoltà di un paese che sembra non conoscere pace.

Il disastro avvenuto ieri è l’ennesimo colpo che il Libano riceve in una situazione già disastrosa. Da ottobre 2019 in poi con il susseguirsi delle proteste, cui ha fatto seguito la crisi del Covid-19, le condizioni generali a livello economico, sociale e sanitario sono peggiorate tantissimo e questo è l’ennesimo colpo inferto ad un malato già moribondo”.

David Ruggini è il nostro capo ufficio a Beirut. Raggiunto dai microfoni di Radio Onda d’Urto stamattina, ha cercato di ricostruire le condizioni del disastro avvenuto ieri pomeriggio, 4 agosto, nella capitale libanese.

Le cause del disastro sono ancora da capire. Ciò che ad ora si sa è che si sarebbe sviluppato un incendio in una fabbrica di fuochi d’artificio nei pressi del porto, e che questo avrebbe innescato, a catena, l’esplosione in un deposito in cui erano stoccate 2.700 tonnellate di nitrato d’ammonio. Che non avrebbe dovuto essere lì, e che ha provocato una deflagrazione di potenza inaudita, radendo al suolo interi quartieri della città. Le vittime sono già centinaia, ma tantissime sono le persone scomparse: il bilancio, purtoppo, è destinato a salire.

David, come tutto il nostro staff italiano, non è più in Libano da quando è stato decretato il primo lockdown, nel marzo scorso. La nostra missione nel paese è stata evacuata, e lo staff ha continuato a lavorare da remoto in costante contatto con i nostri storici partner locali: tra questi, i componenti del gruppo Fighter For Peace, e la squadra di Basket femminile del campo palestinese di Shatila.

David li ha raggiunti per farsi raccontare cosa è accaduto ieri.

“Durante l’esplosione eravamo in ufficio, a lavoro, quando abbiamo sentito come un terremoto, e all’improvviso i vetri delle finestre sono esplosi su di noi”, racconta Nour, coordinatore dei Fighter For Peace a Beirut.

Siamo riusciti a scappare, per fortuna con poche ferite addosso. Immediatamente abbiamo cercato le nostre famiglie per accertarci che tutti stessero bene e fossero salvi. Non conoscendo la causa dell’esplosione, abbiamo pensato che fosse iniziata una guerra. Le persone per strada correvano, erano nel panico, nessuno sapeva cosa fosse accaduto realmente. Abbiamo deciso di restare in ufficio, per accertarci che non avvenissero altre esplosioni. E’ una situazione che conosciamo bene, qui in Libano: le bombe, le guerre. Sappiamo che stare per strada è più pericoloso che rimanere in un luogo chiuso. Il rumore della deflagrazione si è sentito in tutto il Libano: è arrivato fino a Saida e in alcuni villaggi a sud. Per fortuna stiamo tutti bene e nessuno è gravemente ferito. Siamo ancora sotto shock”.

Una guerra: a questo ha pensato anche Majdi, allenatore della squadra di Basket femminile del campo palestinese di Shatila. Perché il Libano, in questi decenni, di momenti duri ne ha vissuti tanti. E le persone sanno che quando si sente un’esplosione, il rischio è che non sia mai un fatto isolato.

Ero sul tetto di casa a prendere un po’ di fresco quando tutto ha iniziato a tremare. Ho pensato subito ad un terremoto”, racconta Majdi. “Ma subito dopo c’è stato un tornado d’aria, seguito da un enorme boato. Ho visto che c’erano aerei in cielo, ho pensato ad un bombardamento. Le persone sono scese in strada con i bambini in braccio, terrorizzate. Ne abbiamo passate tante qui, ma sono stati i minuti più spaventosi della mia vita”.

Quanto accaduto ieri si somma a una situazione già tragica per il paese. “L’economia libanese era al collasso, il Libano è un paese che importa quasi l’80% del suo fabbisogno totale, sia energetico che alimentare, e la crisi del dollaro già da tempo aveva messo in ginocchio l’economia”, spiega David.

Nei giorni scorsi diversi ospedali avevano già detto che avrebbero accolto solo le urgenze per scarsità di materiale sanitario. Con la riapertura dell’aeroporto i contagi sono aumentati, gestire la pandemia adesso sarà difficilissimo”.

Per queste ragioni a luglio abbiamo deciso di impiegare i primi fondi raccolti grazie al contributo di tante persone che ci sostengono destinandoli alle famiglie colpite da questa crisi, a partire dai campi profughi palestinesi, dove lavoriamo da decenni, e dove era urgente far arrivare kit igienici e dispositivi di protezione.

Oggi ci stringiamo attorno alla popolazione libanese, ai nostri partner con cui lavoriamo ogni giorno, ai nostri colleghi e colleghe delle Ong sul campo, alle tante famiglie che accompagniamo con il nostro programma di Sostegni a Distanza. A tutte e tutti loro il nostro abbraccio solidale.


Articoli pubblicati sul sito della ONG Un ponte per

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