La pandemia sta dimostrando che l’idea di Gandhi di «idealismo pratico» è possibile
Una nuova società può svilupparsi dai modi ispiranti con cui le persone di tutto il mondo stanno rispondendo a questo disastro senza precedenti
A Wuhan, in Cina, la fabbrica Honda è tornata a produrre a pieno regime. Le persone, molte delle quali ancora con le mascherine, si muovono di qua e di là in questa città industriale di 11 milioni di abitanti, riprendendo con forza le loro normali vite pre-pandemiche. Siamo felici per loro, ma – allo stesso tempo – questo non è il «normale» che vogliamo. Come è apparso di recente su un muro in Cile: «Non torneremo alla normalità, perché la normalità era il problema». Lo stesso Joe Biden ha proprio affermato che: «Quando ne usciremo, non potremo semplicemente tornare agli affari come al solito». Dobbiamo riparare ciò che è «profondamente rotto» nel nostro paese.
Una nuova società può svilupparsi dai modi ispiranti con cui le persone di tutto il mondo stanno rispondendo a questo disastro senza precedenti, e questo è ciò che dovremmo pianificare proprio ora nello spirito dell’«idealismo pratico» di Gandhi. Vale a dire: non dovremmo aspettarci miracoli come il presidente che «vede la luce» e cambia i suoi modi, o i suoi avidi seguaci che decidono di non volere davvero bere Kool-Aid [la famosa bevanda ufficiale del Nebraska, NdR], o che i cristiani evangelici trovino il senso di quel che diceva Gesù.
Dovremmo invece guardare a ciò che è emerso spontaneamente dal vasto serbatoio di resilienza e simpatia che sembrano aver bisogno di una tale emergenza per riuscire a essere richiamate.
Come ha osservato l’organizzatore e autore Paul Engler, «durante un evento scatenante, cose che prima erano inimmaginabili diventano rapidamente realtà, mentre la mappa sociale e politica viene rifatta». Allo stesso tempo, tuttavia, quando l’emergenza è superata e ci stiamo riprendendo dal disastro, scopriremo che alcune cose sono peggiorate in modo inimmaginabile. Come Ejeris Dixon ha recentemente scritto, parafrasando una vecchia citazione di Churchill, «Il destino ci ha offerto un’opportunità per cambiare la società, racchiusa in una tremenda sfida».
C’è una risorsa da non trascurare: il cambiamento sostanziale viene dall’interno. Durante una chiamata Zoom settimanale facilitata dal Metta Center, un partecipante ci ha ricordato che ogni volta che Gandhi veniva arrestato considerava l’incarcerazione come una grande opportunità per la sua meditazione, al punto che chiamava Yeravda Mandir (o tempio) la prigione che lo ospitava regolarmente.
E più di una persona che ha vissuto l’isolamento in atto è stata udita dire cose tipo: «Sembra un ritiro di meditazione». Be’ perché no? Se saremo abbastanza a prenderci il tempo per il rinnovamento spirituale, lo studio (della nonviolenza) e la pianificazione, potremmo uscire da questo periodo pronti ad affrontare il danno lasciato da chi/cosa ha approfittato cinicamente dell’inaugurazione di questa «dottrina dello shock». Inoltre, avremmo il mezzo per sostituire sistematicamente il cinismo con il frutto dell’immaginazione creativa e con la nostra rinnovata consapevolezza della santità e dell’unità della vita.
La nonviolenza ha un modo di convertire a nostro vantaggio le battute d’arresto. In Iraq, America Latina, Europa, India, e altrove, le persone non potevano più uscire e protestare in massa, in quella che chiamiamo «azione concentrativa». Ma i difetti di questa tattica erano già stati notati e considerati da attivisti e studiosi attraverso l’esperienza e la ricerca. Di conseguenza, gruppi come Extinction Rebellion nel Regno Unito e il suo «cugino» Sunrise Movement negli Stati Uniti stanno trovando altre strade.
I più promettenti di questi gruppi, a mio avviso, non saranno i cacerolazos [cacerolazo è un termine colloquiale della lingua spagnola che indica una forma di manifestazione pacifica e rumorosa, in spazi privati o pubblici, in cui l’espressione pubblica di protesta, o dissenso, si realizza tramite il rumore ottenuto percuotendo coralmente degli oggetti adatti allo scopo, come casseruole – da cui il nome – coperchi, tegami, mestoli e altri oggetti di uso comune, NdR] o gli episodi di pot-bang [sbattere pentole e padelle, NdR]– che spesso spostano proprio all’interno la modalità di protesta – ma i vari elementi di quello che potrebbe diventare un programma costruttivo: banche del cibo, aziende che si convertono alla produzione di attrezzature mediche vitali che il governo federale non ha, vergognosamente, fornito, e vicini che aiutano i vicini in innumerevoli modi – non ultimo il fatto di conoscersi l’un l’altro attraverso le distanze sociali (più precisamente, fisiche). Ricordate come Occupy Sandy e Rolling Jubilee[1], fornendo una critica riduzione del debito, sono sorte dalle ceneri dell’uragano Sandy? Per il nonviolento, la necessità è veramente la madre dell’invenzione.
Ma si va ben oltre gli attivisti. In sole due settimane di chiusura delle fabbriche, le emissioni al carbonio della Cina sono crollate di almeno 100 milioni di tonnellate metriche [un taglio di emissioni di CO2 pari a quelle generate dal Cile in un anno, NdR]. La gente dell’India del Nord sta riuscendo a vedere l’Himalaya in lontananza (qualcuno per la prima volta nella sua vita); si può vedere il cielo blu dalle strade di Delhi; i delfini sono già tornati nei canali di Venezia e così via. Chi vorrà tornare indietro dopo aver visto quanto velocemente la natura può recuperare se le diamo una possibilità?
Un’altra cosa da cui possiamo trarre vantaggio sono le nuove forme di organizzazione che nascono, come la vasta rete che fu creata da Gandhi per la produzione e la distribuzione di tessuti casalinghi – una cosa tipica e molto utile che spesso accompagna gli sforzi costruttivi del programma. Per noi, le nuove forme più promettenti di rete e organizzazione sono quelle nel «punto debole» tra i vecchi modelli gerarchici del sistema capitalista e l’orizzontalità totale che era rappresentata da Occupy.
Ora ci sono studi che dimostrano che la completa orizzontalità, per quanto attraente, non funziona. Ma ci sono esempi di organizzazione democratica di base e reti di supporto policentriche che sorgono nei quartieri – e oltre – che potrebbero facilmente formare le basi di una nuova cultura democratica – se ci aggrappiamo a quegli esempi e rifiutiamo di tornare al disastroso «normale».
Vivo alla periferia di un piccolo villaggio con una banca del cibo settimanale, che è diventata improvvisamente fondamentale per molte famiglie, e una rete radio e telefonica che tiene traccia di ciò di cui ogni singola persona nella nostra città potrebbe aver bisogno mentre prosegue l’emergenza. Due persone nella mia «comunità intenzionale» sono sedute ai loro telai e alle macchine per cucire da cui escono mascherine e protezioni per il viso. È forse solo l’ultimo esempio di ciò che è accaduto per eoni durante l’evoluzione: disastri e altre sfide sono il vivaio della cooperazione e dell’empatia.
Ma siamo esseri umani e non possiamo contare sul fatto che queste nuove forme e nuovi valori riscoperti – che stanno già accadendo – si fondano da soli in un nuovo mondo. Vogliamo una strategia a lungo termine di resistenza creativa, basata sulle «migliori pratiche» che sono state ben documentate negli ultimi 30 anni circa per azioni sociali nonviolente; abbastanza flessibile da adattarsi a ostacoli e opportunità imprevisti; abbastanza completa da focalizzare le energie dell’intero movimento; la nostra strategia delineerà un percorso partendo da cambiamenti relativamente facili e avanzando – di resistenza in resistenza – fino a trovare un modo per resettare il pianeta. Vedo un tale piano che si sviluppa in tre percorsi interconnessi:
democrazia, a cominciare da:
- diritto di voto (abolizione di Citizens United [trad. it. Cittadini Uniti, è un’organizzazione no profit conservatrice degli Stati Uniti, fondata nel 1988, NdR] e del collegio elettorale; altre forme di frode degli elettori) e proseguendo a includere;
- assistenza sanitaria universale;
- fine della totale disuguaglianza economica;
cultura: oggi i media violenti e praticamente ogni avviso commerciale e pubblicitario mirano a privare le persone della cittadinanza, per non parlare dell’autorealizzazione come esseri sani con uno scopo prevalente;
pianeta Terra: il Green New Deal [trad.it.: nuovo patto verde, è un progetto normativo dell’Unione Europea per rispondere all’emergenza dei cambiamenti climatici, NdR] è strutturato abbastanza bene; facciamolo.
Ricordiamo ciò che il grande pioniere degli studi sulla pace Kenneth Boulding ha chiamato, un po’ ironicamente, la prima legge di Boulding: «Se qualcosa è successa, è possibile». Parti di questo futuro desiderato stanno già succedendo, e c’è almeno un esempio su larga scala di una soluzione di emergenza che sembra essere stabilita in modo permanente, e uno ancora più significativo è in discussione.
Portando avanti i salvataggi in contanti istituiti dalla Spagna come misura di emergenza, il governo sta lavorando all’elaborazione di un piano di reddito di base universale per creare «una rete di sicurezza permanente per i più vulnerabili». E dopo che il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha chiesto un cessate il fuoco in tutto il mondo durante la pandemia di COVID-19 e la firma di 70 paesi, Medea Benjamin e Nicolas Davies hanno sottolineato, con una logica inconfutabile, che se la guerra non è un’«attività essenziale» perché tornarci tutti? Fra tutte le cose di cui scopriamo di poter fare a meno, la più spettacolare è la guerra.
Questa storia è stata prodotta dal Metta Center for Nonviolence
21 aprile 2020, Waging Nonviolence
Traduzione di Cinzia Picchioni per il Centro Studi Sereno Regis
Metta Center for Nonviolence
Forniamo risorse educative sull’uso efficace e sicuro della nonviolenza, riconoscendo che non si tratta di mettere al potere la persona giusta, ma di risvegliare il giusto tipo di potere nelle persone.
Promuoviamo un’immagine più elevata dell’umanità mentre autorizziamo le persone a esplorare la domanda: come funziona la nonviolenza e come posso contribuire attivamente a una società più felice e più pacifica?
Waging nonviolence collabora con altre organizzazioni e ne pubblica il lavoro.
Nota
[1] Iniziativa di soccorso organizzato creato in aiuto delle vittime dell’uragano Sandy (nel nord-est degli Stati Uniti). Come altre derivazioni del movimento “Occupy” (Occupy Our Homes, Occupy University, Occupy the SEC, Rolling Jubilee) Occupy Sandy è composto da ex e attuali manifestanti di Occupy Wall Street, membri del movimento “Occupy” ed ex volontari non occupanti. Lo sforzo ha funzionato in collaborazione con molte organizzazioni della comunità locale a New York City e nel New Jersey, concentrandosi sull’aiuto reciproco nelle comunità colpite piuttosto che sulla beneficenza, e sulla ricostruzione a lungo termine per quartieri più solidi e sostenibili [NdR].
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