Abbiamo smesso di parlare con i fascisti (dal 25 aprile 1945)

Giorgio Barazza

Il 25 aprile 2020, nel condominio dove abito, ho organizzato una iniziativa in cui ogni famiglia dal proprio balcone si sarebbe messa a cantare Bella ciao come da indicazioni del Comitato nazionale del 25 aprile. Passo il giorno prima a distribuire il testo alle diverse abitazioni e trovo un’alta disponibilità a partecipare alla «corale del condominio». Il giorno dopo ben 12 famiglie su 19 hanno partecipato nonostante le diverse abilità canore.

Mi è successo prima dell’ora d’inizio di dover verificare alcune questioni organizzative e scopro appeso sul balcone di un condomino un cartello con la scritta «abbiamo smesso di parlare con i fascisti dal 25/4/1945». Allora ho suonato per dire loro che mia mamma era «balilla», e quando è morta tra le sue cose ho trovato un attestato del partito fascista che la premiava. Mio papà mi diceva che loro in famiglia avevano una camicia nera e che la mettevano a turno quando dovevano uscire. Allora chiedo loro se non avrebbero parlato con mio papà e mia mamma. Andando avanti nella conversazione con questi vicini, che sono anche amici, vengo a scoprire che intendevano dire che non volevano che si ricreassero quelle situazioni.

Ho colto cosi l’occasione per affrontare una questione a me cara: prima di inziare un conflitto è meglio riflettere e prendere una decisione circa cosa fare dei nostri «nemici». Li vogliamo eliminare fisicamente tanto noi ce ne andiamo dopo il conflitto, oppure – non potendo andare via, sia noi che loro, in quanto lì viviamo, lì abbiamo le nostre radici – dobbiamo pensare a trovare il modo per condividere con loro il futuro, naturalmente con altre relazioni, non di dominio, ma alla pari.

Così mi è venuta l’opportunità di parlare di queste tre tematiche:

  • della Commissione giustizia e verità nel Sudafrica post apartheid e della cultura «ubuntu» che ha permesso questo processo di riconciliazione;
  • dell’intervista immaginaria – Cosa direi a Osama Bin Ladenfatta subito dopo l’11 settembre 2001 da parte di Thich Nhat Hanh con la pratica buddhista della compassione e dell’ascoltoprofondo;
  • della formula per costruire la pace che Johan Galtung, fondatore della Rete internazionale dei ricercatori per la pace, ha creato per affrontare il conflitto.

Abbiamo una cultura, una tecnica e una matematica che ci aiutano ad affrontare questo tipo di relazioni riguardanti il passato.

Dentro a questo approccio può avere senso un percorso che porta a ripensare il passato verso un futuro condiviso attraverso un percorso di riconciliazione che dia voce alle sofferenze presenti in tutte le parti che si sono manifestate in quel periodo.

Da non dimenticare l’Etiopia, l’Eritrea e la Libia.

Dentro una cornice di questo tipo acquista senso parlare della liberazione da tutte le violenze accadute come festa.


 

1 commento
  1. roberto
    roberto dice:

    Credo, Giorgio, che quella frase potesse avere un significato diverso da quello che tu sembri dargli. Chi è fascista, nel senso che ci tramanda la storia, crede all’esistenza di una gerarchia naturale, tra le persone, le razze, le nazioni, che i campi di sterminio, gli abbandoni nel Mediterraneo, le guerre, siano giusti strumenti per il dominio del superiore sull’inferiore; per costoro il dialogo non ha il significato di confronto che (a fatica e non sempre) noi diamo, ma è dominare, in attesa di mezzi più efficienti, con le parole. Quell’abbiamo smesso di parlarci dal 25-4-45 può significare che quella modalità di dialogo la rifiutiamo, non che non saremmo disposti a parlare con la tua mamma, che è ben altra cosa.

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