Le porte del mondo. L’Europa e la globalizzazione medievale | Recensione di Elena Camino

Paolo Grillo, Le porte del mondo. L’Europa e la globalizzazione medievale, Mondadori, Segrate (MI) 2019, pp. 282, € 22,00

Prima del coronavirus avevo il piacere – una volta alla settimana – di trascorrere un paio d’ore con la mia nipotina A. Spesso doveva studiare Storia, ma lo faceva con fatica: in effetti il libro era carico di date, elenchi di nomi e di battaglie. Il Duecento e il Trecento erano presentati senza offrire agli studenti l’opportunità di capire come vivesse la gente, quali rapporti ci fossero tra le comunità (al di là delle battaglie!), che mestieri e attività fossero praticati. Inoltre lo studio della Storia era separato dallo studio dell’Arte e della Letteratura, che nel frattempo offrivano testimonianze artistiche straordinarie (ma rigorosamente riservate a un altro ambito disciplinare). Inoltre il contesto geografico toccato dal libro di Storia era circoscritto all’Europa centro-meridionale, con appena qualche cenno ai saraceni, ai mongoli, alle minacce straniere…

Nella speranza di trovare qualche suggerimento per rendere lo studio di A. più interessante, ho acquistato un libro uscito da poco, di cui mi aveva attirato il titolo: Le porte del mondo. E mi è piaciuto così tanto che desidero presentarvelo: offre uno sguardo ampio sul Medioevo, ricostruendo in particolare una delle modalità più interessanti e creative con cui le comunità umane si sono incontrate: gli scambi commerciali.   È una lettura che consente di guardare al nostro passato in una prospettiva ampia, dove l’Europa si colloca in una posizione periferica e dove luoghi che (ancora oggi) nel nostro immaginario appaiono senza storia emergono nella loro complessa e vivace realtà. L’Autore ci racconta alcune delle «reti» che per due secoli  contribuirono a «globalizzare» il mondo: mancavano ancora le Americhe, ma tra Asia, Africa ed Europa gli scambi di merci, di culture, di lingue, le vie di terra e di mare – incredibilmente avventurose – contribuirono a creare nuovi modi di pensare e di vivere: « […] gliEuropei – ci dice l’Autore – eranoconscidivivereallaperiferiadiunmondoriccocolto ecivilizzato,unmondomultipolare,doveavrebberodovuto ritagliarsi un ruolo sviluppando il dialogo e i commerci, non certo cercando di imporsi con le armi».

Trichechi ed elefanti

Nell’Introduzione l’Autore ci trascina subito nel cuore del tema che poi svilupperà: il ruolo e l’influenza degli scambi commerciali nelle vicende storiche delle civiltà. Ci racconta infatti la storia dei Vichinghi che – poco dopo l’anno Mille –raggiunsero l’America settentrionale, e la frequentarono saltuariamente per 3 secoli. La colonia era piccola, un punto di raccolta e transito di merci tra una vasta area dell’attuale Canada e la Groenlandia meridionale: i Vichinghi portavano lana di pecora e monete d’argento, che scambiavano con pelli di orso e di bisonte, e con zanne di tricheco.  Era l’avorio – soprattutto – che interessava ai Vichinghi, che poi lo vendevano alle botteghe di scultori e intagliatori in Norvegia, Germania, Francia. Gli oggetti scolpiti erano poi venduti in Europa, fino al Mediterraneo, là dove il crescente benessere economico, tra l’XI e il XIII secolo, aveva favorito l’affermarsi di un’élite ricca e interessata all’arte.

Ma il commercio tra Groenlandia e Canada terminò nel XIII secolo: non si trattò di eventi climatici, ma di concorrenza economica: all’inizio del 1200 nell’Africa sudorientale si affermò un potente reame, che sfruttava le miniere d’oro nell’area del fiume Limpopo e controllava vasti territori, in cui vi era grande abbondanza di elefanti, le cui zanne divennero un importante oggetto di esportazione. Trasportate dalle zone interne fino a un’estesa area costiera dell’Africa, erano vendute agli abili navigatori swahili, che le immettevano sul mercato internazionale attraverso Egitto, India e Cina.  Negli ultimi decenni del XII secolo i costruttori navali italiani riuscirono a costruire grandi navi, in grado di affrontare l’Atlantico e di portare le merci (comprese la grandi zanne di elefante) fino ai ricchi mercati dell’Europa settentrionale. In breve l’avorio delle zanne di elefante sostituì quello dei trichechi, modificando radicalmente anche l’economia delle colonie scandinave in Groenlandia, che riconvertirono la loro economia dedicandosi alla pesca oceanica.

Mondi in espansione

Dopo questo inizio affascinante l’Autore accompagna lettori e lettrici in una serie di viaggi straordinari, svelando un mondo che è ben raffigurato dalle carte geografiche (utilissime) presentate nelle prime pagine, nelle quali si vede chiaramente quanto fosse periferica la posizione dell’Europa rispetto alle rotte commerciali che caratterizzarono il Duecento e il Trecento, estese dal Mediterraneo fino ai confini orientali del continente asiatico. Intorno al 1280 fu portata a termine la Mappa di Hereford, un’opera devozionale che intendeva riprodurre il mondo allora conosciuto sulla base di nozioni storiche, bibliche, classiche e mitologiche, e collocava al centro Gerusalemme. Ma nel frattempo ai confini orientali di questo mondo si stavano già affacciando i Mongoli, aprendo itinerari commerciali e prospettive di conoscenza fino ad allora inimmaginabili. Nei capitoli che seguono Paolo Grillo racconta di viaggi, di città, di imperi, e soprattutto di commerci, che misero in contatto popoli, tradizioni, lingue, merci in una continua scoperta.

Città

Tante sono le descrizioni che l’Autore offre delle città, sulla base dei documenti che ne attestano l’importanza, gli scambi, gli aspetti sociali, le relazioni di potere… restituendoci una visione completamente nuova dell’Italia e di una vasta parte del mondo.

«Palermonegli anni Trenta del XII secolo era una metropoli ricca e dalla vita culturale vivacissima. […] era una delle più grandi città europee, dato che la sua popolazione superava i 100.000 abitati, quasi tutti musulmani. Era sede di raffinate manifatture […]».

«Samarcanda, nell’attuale Uzbekistan, era una delle città-oasi che fiorirono nell’Asia centrale, lungo quel percorso commerciale che univa la Cina alla Persia e all’Europa».

Assieme ad altri centri in Uzbekistan, Turkmenistan, Afghanistan, costituiva una fascia di centri urbani di grande splendore, che divennero importanti poli culturali, con una vasta popolazione e un retroterra agricolo ricchissimo, dotato di sofisticati impianti di irrigazione e produzioni manifatturiere rinomate.

Tabriz è una grande città dell’Iran nord-occidentale, capoluogo dell’Azerbaigian Orientale.  Alla fine del 1200 a Tabriz, posta allo snodo delle strade carovaniere che giungevano da Oriente e le vie che procedevano verso i porti del Mar Nero e della Cilicia, «i mongoli fecero costruire imponenti caravanserragli destinati a ospitare i commercianti e le loro merci, ben muniti di bagni caldi – un piccolo lusso a cui gli uomini d’affari italiani che operavano in Oriente si erano rapidamente assuefatti».  A frequentare la città non vi erano solo gli italiani, ma anche uomini d’affari persiani ed ebrei, e una nutrita comunità di commercianti buddisti provenienti dall’Asia centrale. Verso la fine del 1200 tra le merci che era possibile acquistare sulla piazza di Tabriz, portate da Oriente e da Occidente, si potevano trovare «sete, indaco, corallo, ambra, argento, cinabro, stagno, tessuti di pelo di cammello, drappi di lana, perle, pelli di vaio, ermellino, leopardo, martora, faina, e infine oro e argento».

Il nome di Ibn Ba????a ricorre spesso nelle pagine del libro di Paolo Grillo: Ibn Ba????a (vissuto tra il 1304 e il 1369) è considerato uno dei più grandi viaggiatori di tutti i tempi, e nel suo libro al-Ri?la (che significa «Viaggio») egli riporta ricordi e osservazioni dei suoi viaggi, tra coste africane, Medio ed Estremo Oriente.

Nel libro di Grillo è riportato un suo commento su Mogadiscio: «[…] città di sterminata ampiezza dove risiedono mercanti molto ricchi e si consumano enormi quantità di carne di cammello […] celebre per gli omonimi e ineguagliabili tessuti che vengono esportati in Egitto e altrove».

Un altro centro fiorente fu per lungo tempo Alessandriad’Egitto,«che era sicuramentela piazza più importante del Mediterraneo […] oltre a genovesi, veneziani, marsigliesi, pisani e catalani vi si trovavano imprenditori di Ancona, della Puglia, di Dubrovnik […]»; il porto di Alessandria doveva la propria ricchezza alla mediazione della città – stato di Aden, nello Yemen, dove si incontravano i mercanti provenienti dall’Egitto e quelli dall’India.

La principale via commerciale che dal Mediterraneo arrivava al Mali partiva da Fes, allora capitale del Marocco, e attraverso le montagne dell’Atlante giungeva al grande centro carovaniero di Sijilmassa, dove abitavano tra le 30 e le 40.000 persone, tra berberi, arabi ed ebrei. I berberi organizzavano le spedizioni verso Sud (Ghana e Mali), ebrei e arabi quelle verso il Mediterraneo. L’oasi al centro della città era circondata da mura, e all’interno c’erano campi, vigneti, palmeti, e una rete di canali e cisterne.

Persone, merci, itinerari…

Nel libro sono tratteggiate figure di viaggiatori, di mercanti e naviganti, di frati e avventurieri, che percorrevano le vie che per terra o per mare collegavano città, mercati e paesi lontanissimi. Tra i protagonisti compaiono – da parte italiana – genovesi e veneziani, pisani e fiorentini, e moltissimi frati di vari Ordini, che con alterne fortune parteciparono a far conoscere idee e credi dell’Occidente, e ad alimentare il mercato globale del Medioevo. Le principali rotte terrestri – come indica l’Autore del libro in una delle cartine – offrivano due itinerari: uno a sud del Mar Caspio, con partenza a Tabriz, attraverso l’altopiano del Pamir e il deserto del Gobi; l’altro passava più a nord, oltre il fiume Volga e il Mar Caspio, verso la Cina settentrionale, fino a Khanbaluk (Pechino).

La rotta marittima fu a lungo trascurata: era molto lunga, vincolata alle direzioni dei monsoni, e soprattutto prevedeva tappe in India, luogo insalubre per gli occidentali, prima di raggiungere il grande porto di Zaitun, nella Cina meridionale. Solo nei secoli successivi, con la costruzione di imbarcazioni molto più grandi e resistenti, le vie marittime divennero sempre più affollate.   

Il mondo visto dalla periferia

«Al contrario di noi – osserva Paolo Grillo – gli europei del Medioevo non si concepivano al centro del mondo. […] L’Europa medioevale aveva sempre guardato con grande rispetto all’Asia, considerata la culla dell’umanità.  I mondi dell’Asia erano descritti come esotici e talvolta impressionanti, ma erano soprattutto caratterizzati dalla prosperità e dall’abbondanza di risorse e di popolazione». Prosegue l’Autore: «Non dobbiamo dunque attribuire agli uomini del Medioevo tutta la pesante sovrastruttura di stereotipi razzisti che furono il frutto avvelenato della stagione dell’imperialismo europeo tra Otto e Novecento, e il conseguente successo delle teorie razziali le quali – oggi rinnegate ma mai del tutto superate – hanno alimentato il complesso di superiorità dell’uomo bianco occidentale.  Quasi nessun viaggiatore occidentale in Estremo Oriente sembra aver concepito i cinesi o i mongoli come esponenti di una “razza” differente da quella europea […]».

Dalla vasta letteratura consultata dall’Autore emerge interesse e stupore per le civiltà esterne, di cui vengono ammirate ricchezze, prestigio e capacità superiori a quelle europee: non solo alla Persia o alla Cina, ma anche alla «nera» Etiopia, riconosciuta come un reame più potente dell’Occidente.

L’Europa, consapevole di vivere alla periferia di un mondo ricco, colto e civilizzato, riuscì a inserirvisi con il dialogo e il commercio, sviluppando nuove relazioni e conoscenze. 

Purtroppo, le connessioni tra i tre continenti – Africa, Europa e Asia – insieme agli aspetti positivi portarono anche elementi negativi: nuove tecnologie distruttive, guerre, commercio di schiavi, e infine la peste, che negli anni Trenta del XIV secolo dall’Asia settentrionale si diffuse a tutta l’Europa, causando probabilmente (nella sola Europa) 20 milioni di morti.

Il libro è accompagnato da un’ampia e curata Bibliografia ragionata.

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